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Il tempo muore con noi
1952 - 1954 - inizio 1955


Sei tornata bambina

Nonna la tua bianca testa di dolcezza
è come una magnolia, fiore di santità,
il tuo sorriso casto splende di tenera grazia,
E purezza sull'alta fronte pura si specchia.
Sei tornata bambina e due cose ti piacciono:
i dolci avvolti in carta dorata, i grani del rosario
che splendono fra le tue dita.
Angelo soave che ai « Vesperi » canti
con voce sottile, tremula,
svelami la pace dell'estasi
vicino all'altare.

Forse io sono fuori da quel mondo
e cerco smarrita la strada,
non gettai lungo la via
bricciche di pane per ritrovarla.

La strada

Lunga la strada
ch'io devo percorrere sola
e la polvere entra nel sangue.
Seduta sopra una pietra miliare
per mio riposo conterò le formiche.
(Ah, regolar con esse la mia vita...

Trasparenze

a Aldo Capasso

Trasparente di sogni

rido, sorrido, piango
o mi abbandono col capo riverso:
gli occhi neri cerchiati
per un dolore ignoto.
Attimi accesi, rossi
mi danno un'ebbrezza cruda,
un sapore di sangue in bocca
nell'ansia d'un desiderio.
E per incanto poi ridivento
bambina con gli occhi grandi
davanti ad un ramo
di pesco che ha brividi rosa.

Ora sogno d'affondare i denti
selvaggi nel frutto acerbo,
sporcarmi il viso.
Oh sotto il cielo infinito
desiderio infinito
di correre scalza,
guazzando in pozzanghere;
cadere, rialzarmi
piangendo lacrime dolci.

Troppo ebbra? Bello è scordare chi fui,
chi sono, vivere senza saperlo
come erbetta nuova.
E se tu strappi la prima
margherita oggi ch'è marzo
mi fai tanto male.

Bisbigli tra il fieno

Su un carro di fieno distesa
sprofondo, — sprofondo dinnanzi all'azzurro.
A tratti si sente tra il fieno
un dolce bisbiglio sommesso,
un tenue ronzio ch'assopisce.
Il sole
con lentissimo amore
mi scorre sul corpo supino,
delizia leggera e tormento.
Il petto ondulato sussulta.

Segreto come un bocciuolo
che s'apre al tepore.

Due mottetti

a Elpidio Jenco

Frammento scritto in primavera

...Io vivo donna-fiore e trascoloro
se penso che una mano sconosciuta,
crudele forse, spezzerà lo stelo.

Tanka

Finsi
mille modi di essere
per trovare quella che sono:
ai recessi dell'anima
stupita m'arrestai per troppa luce.

Primavera

Sbocciano semiaperte
bocche di fiori —
una dice: ama, bevi la mia dolcezza... —
un'altra: offusca con il tuo fiato queste corolle,
mordi con i tuoi denti questo stelo...

Alla primavera

Le mie fragili rose
non cresceranno
su nessuna zolla due volte.
Ma tu l'eterna Adolescente scalza
esulterai pei prati,
per millenni spunteranno i tuoi fiori

e, se il mio amore di fanciulla mortale
ridestandomi un'alba, avrò perduto,
il tuo richiamo mi sarà crudele,

seguire non potrò
più
la tua corsa... a

Il mio riso

Il mio riso?
s Inganna quel riversar follemente
la testa bruna all'indietro
e squillando ridere
di tutto.
Solo il mio pianto è sincero,
quel pianto che poi cancella
la bugia d'un sorriso.

Ultima Aretusa

O fossi io la sicula fanciulla
dal piè danzante, fiore dell'Ortigia,
che alle correnti d'Aretusa
affida le bianche membra
e bruna e risplendente
cerca tra il verde
il viso del suo Alfeo,
poi scalza fugge.

Il simulacro

Giacqui sul letto del desiderio di molti
e non fui di nessuno,
nel sogno ebbero di me
il simulacro dell'illusione.

Intatta è la mia verginità
come una pesca verde.

Il tempo

Il tempo cammina furtivo sul cuore
della fanciulla, sul cuore ella donna
calpesta i virgulti dei sogni appena nati.

Forse

Forse in me rivive la schiava assira
con sull'esile spalla l'anfora rossa bruciata dal sole.
Forse la dolce fanciulla dal petto colore di miele
che nei verzieri di Lesbo, sola,
cantava canzoni d'amore.
Ogni terra ha l'impronta dei miei sandali,
ovunque nei millenni vissi,
ansiosa d'ombre e di luci sulla carne,
di riflessi di foglie nei miei occhi,
foglie calde, dorate come pelle viva.

Pensieri in soffitta

Vedrò quest'anno primavera?
Il sole mi frugherà in seno,
china a calmare la sete
dei gerani, come ieri,
come sempre?
Intanto una piccola febbre
mi consuma e gli occhi si fanno
più tristi e più grandi.

Forse l'amore non entra, s'è chiusa la porta.

.O cuore, cuore.di fanciulla,
che scalpiti come un capriolo
ai primi giochi d'amore sui prati,
irrequieto, non è giunto ancor marzo,
un po' di sole t'illude.

E' febbraio, le notti sono d'attesa per te...

L'anima ed il fiore

La mia anima sola
parla con il geranio che ruba un po' di sole
per veder la sua ombra sul muro sgretolato:
l'anima e il fiore,
creature silenziose,
piangono in solitudine
la loro grande pena:
di non saper morire
o di morir troppo presto?

Il cortile

Grigia la vita quando
il nostro mondo fu solo
un cortile,
ed un oleandro in un vaso
finse teorie d'alberi immensi,
alti per i nostri occhi socchiusi.
Le gocce d'una fontana,
lente, perdute tra i pochi sassi,
furono mare
per la nostra malinconia.
Nè chiedemmo alle cose
il perchè della loro felicità muta,
noi volemmo veder grande quel mondo,
dove sui tetti rossi, allineati
e scuri, i colombi fermi come di pietra
ci guardavano.

Parlava d'aria

Parlava, l'aria,
alla begonia rosa,
di larghi fiori distesi
su umide foglie,
e la begonia oscuramente pensa
se mai il misterioso polline
di quei fiori, nel vento
giunga a maturare l'ansia
dei suoi pistilli d'oro.

Passione silvestre

Dalla pioggia d'agosto
bagnata, l'erba
cantava canzoni di grilli,
bisbigli d'insetti
umidi e neri.
Fragili i fili verdi
tremarono
tra le mie dita sensibili:
un affetto umano per essi
mi stupiva,
riscaldati li avrei
col mio alito acceso.
Grande mi turbò la forza
d'un amore silvano
e per il desiderio
si tramutarono le mie mani
in brune radici,
affondate nel terreno pastoso,
e attinsi dal. suolo
l'essenza del vivere,
la gioia appagata,
incosciente di chi non sa
d'esistere e esiste.
Fui come l'erba
bagnata dalla pioggia
calda d'agosto;
passarono lungo
le mie vene azzurre
insetti dall'odore di terra
e i grilli canarono
vicino al mio cuore.

Fecondità

La fecondità della terra
mi commosse
e sentii nel mio corpo
ad ogni stagione
germogliare il seme,
gettato nei solchi.
Le spighe diritte
contro il sole
m'accarezzarono il mento
e diedero al mio sorriso
sprazzi d'oro.
Ed io sapevo come crescesse
la spiga fragrante,
accostando l'orecchio alla terra
e ne portavo una in seno
a luglio
e ridevo bruna come i miei campi
agli uomini di mio padre,
ma più d'uno
mi sorprese a piangere
sulle sue mani ruvide.
La città mi diede le vertigini
anche perchè tra le pietre
c'era solo un filo d'erba,
io smagrivo,
diventavo pallida.
Ma al ritorno
i campi m'accecarono
di luce,
il mio volto
splendette come bronzo
ed io palpitavo tutta
nella mia veste,
ondeggiando,
quasi una spiga vivente.

Mezzadria

La madre di mia madre
lavorò i campi degli altri,
perchè era nata povera,
i figli invece passarono l'oceano
e bagnarono di sudore
e di salsedine
il loro pane.
La madre di mia madre
restò sola,
ombra vestita di nero,
ma nessuno la vide
piangere.
Si spezzò le unghie
a sgranare le pannocchie
degli altri ed ogni chicco,
che cadeva nella cesta,
era un ricordo.
Curva per il peso
dei secchi di latte
badò a non spandere
mai una goccia,
come fosse il suo sangue,
e non le vidi sul volto
un segno di ribellione.
La madre di mia madre
non mise da parte nulla
se non quel grande
fazzoletto a fiori,
che mette ancora la domenica.

Il solaio parla

«Dentro il mio vecchio cuore di legno
c'è una cuna che cigola
vuota,
e dal buco d'un sacco, cadendo,
scandisce il minuto eterno
un chicco di grano.
Un topo s'aggira silenzioso e grave
intorno al giocattolo rotto
che ti fu caro.
Ma tu non salire le scale ripide del solaio
(no, sarebbe un tornare indietro ora,
che tutto corre).
Quassù c'è polvere, buio, la finestra bassa
che dà sui tetti è chiusa
da troppo tempo».

Apriamo il cancello all'azzurro

Apriamo il cancello all'azzurro ...

Il cancello chiuso rattrista
il cuore del vecchio custode,
anche se il ferro ha le sue radici nella terra
e sente di sotto nascere le prime viole.
Il vecchio custode ha la ruggine addosso,
nel suo canuto inverno poche sono le gioie.

Apriamo il cancello all'azzurro!

Donna

Donna, cosa di carne e d'anima.

Tue tutte le epoche
dall'inizio del mondo.

Eterno il pianto, il sorriso degli occhi tuoi

Tu sei Eva,
ella che colse il frutto divino,
sentì il piacere inquieto,
sentì l'angoscia del suo corpo ignudo,

e non mente
in te l'origine antica.

Ma l'anima è pura
dal male dei secoli
che l'alimenta,
un giglio divino
fiorito sopra una palustre canna.

Le tre vite

«Scendevano le trecce un po' disfatte
sulle tue spalle,
avevi sedici anni.
Il primo bacio ti turbò,
smarrita, la mano sulla bocca ancora
umida,
fuggisti col sapor del tuo peccato ...

E ti svegliasti donna, un'alba,
tenera donna:
il corpo tepente, anelante
non possedeva più il virgineo segreto di ieri,
ma uno tanto dolce: il palpitare
nascente nel tuo seno.

Oh quanto tempo ! Ed ora ti contemplo,
io che allora non ero se non quel tenue palpito,
la tua treccia è ormai bianca,
ma sei bella:
quasi incanto di un paesaggio lunare,
e spazi sereni la tua fronte».

Lodoletta

Lodoletta, il tuo seno di bambina
liscio pur ieri,
s'addolcisce di curve al tuo respiro,
un boccio appena schiuso.

Già tu senti, la prima volta, come
io un giorno,
alitare di vite nuove e antiche,
e il peso del futuro,
d'un passato non tuo,
t'opprime il grembo.

Piccola donna
inconscia del prodigio,
che arrossisci ad un cenno, una parola,
io ti guardo stupita,
me cercando,

tu sorridi pensosa a questa, un poco
misteriosa per te,
tessitrice di sogni e di follie.

Stanchezza

a Ettore Allodoli

Stanca in un sopore dolce
dimentico di essere,
ombre azzurre intorno agli occhi
densi ancora d'un sogno notturno.
E non esiste per me che questa infinita stanchezza,
m'affonda nel nulla.

Ora chiudo gli occhi
per non rivedere le stesse cose:
le tendine incolori,
il gioco troppo lucido delle piastrelle.

Il nuovo cantico

Il dialogo tra lo sposo e la spesa si svolge in un prato, l'incontro avviene appena cessata la pioggia, quando I'erba è ancora bagnata e 'lucente.

Lo Sposo

Quanto son belli i tuoi piedini
bagnati di pioggia,
il tuo seno è una coppa di vino d'Ebron,
ove non manca promessa d'ebbrezze.
Il tuo ventre ascoso è fecondo come il grano:
la tua purezza m'appartiene.
T'elevi alta come una verde palma adolescente
e la tua bocca ha sapore di mele,
infatti sotto il melo t'ho svegliata,
ivi morsi il frutto più dolce.
Mi hai dato mosto delle tue sorridenti melegrane,
non mi guardare negli occhi, mi confondi.

La Sposa

La tua bocca sulla mia bocca,
tutta perdermi nel nostro amore:
battono febbrilmente le vene nei giovani polsi.
Palpita il tuo nome d'ansie di fanciulle,
fruscii di vesti a primavera.
Ma la mia bellezza che il sole
matura come l'uva odorosa sui tralci
bruna,
traspare il sangue inquieto ...

Eppure . . .

a Salvatore Rizzo

Disperdere i sogni in un soffio,
quando al mattino nuovo aprii gli occhi,
parve crudele alla mia giovinezza,
sorriso di melagrana aperta.
Sogni, io vi compresi
troppo più necessari del Reale.

Da allora nel vostro tenero guanciale
affondo la gota avida di tenerezza:
se di sera si spegne dentro di me un giorno,
uno ne rinasce, precoce, e nell'attesa febbrile soffoco le ore notturne lunghe di minuti oscuri.
soffoco le ore notturne lunghe di minuti oscuri.

Eppure la testa poserò sulla pietra sterile
senza inganno di muschio,
nè più i semi rossi dei giorni
renderà fecondi il desiderio di luce.

Amo gli spazi infiniti

Mi piacciono i monti nudi,
ove un fiore,
se cresce, squallido alimenta lo squallido silenzio.

Mi piacciono i mari deserti,
i cieli vuoti,
gli spazi infiniti...

Amo le grandi tempeste
e l'uomo che s'affatica,
solo, dinnanzi al diluvio,
a costruire un'arca
bruna come una bara.

Genesi

Come azzurra vena, filtrando
attraverso le roccie
(umide e brune, pregne d'un secolare segreto)
è venuto alla luce il mio canto,
di lontano.

Con la gioia della donna prima
lieta d'un meraviglioso d'un ridente giardino
(oh pomi con entro il mistero
del divenire umano),
comincia il mio canto.
Con la gioia e con la pena:
la remota pena d'un bene perduto,
l'angoscia d'una nudità che sè scopre
mal nascosta dai bruni capelli.
Innocente giardino perduto, perduta innocenza

Oggi il canto non si disgiunge
dal dolore...
Ogni pomo ha le sue radici amare.

Erica

Erica, assetato fiore del deserto,
che argini in sotterranei abbracci
di radici le dune,
verde in riarsa sterilità
hai il colore dei miei desideri inappagati.

Anch'io in un deserto,
(camminano gli anni come l'avanzare
implacabile delle dune)
m'illudo di fermare il tempo.
Deboli le mie radici
disperatamente si espandono in tanta aridità.

Il tempo muore con noi

Sogno l'ebbrezza di un vivere senza tempo:

l'anno che s'aggiunge all'anno
mi rende intensamente vecchia,
d'una vecchiezza che non ha rughe
liscia come buccia di mela,
ma l'anima. invisibile,
porta invisibili solchi.
Gli anni... Nessuno s'accorge che passano,
quando il sangue si carica di brividi,
se uno sguardo attraversa la carne innocente.
Poi un bacio vi lascia il suo segno
e l'ora acquista un tacito sapore angoscioso.
Il tempo che nell'infanzia muoveva
lento come morbida onda di lago
s'incarna nell'uomo e corre col ritmo veloce
del sangue, -- e lo sentiamo per ogni vena.

Sì, il tempo muore con noi.

Esodo

Avevamo tanti campi (li credevo della mia Gente)...
Io non sapevo dove finissero,
se un forestiero ne chiedeva in paese,
gli dicevano con un largo cenno di mano:
«Finiscono dove il cielo si congiunge con la terra».
Ogni sera mio nonno, che aveva gli occhi lucidi
come capocchie di spillo, mi faceva una ruvida carezza
promettendo: «Al raccolto ti comprerò un vestito rosa come alle figlie dei signori».
Io aspettavo il raccolto, ma si dimenticavano di me:
rossa in viso giocavo coi chicchi delle pannocchie.
Un giorno mio nonno, battendo il pugno sul tavolo,
con voce rauca gridò: «Andremo a stare ìn città».
Io lo guardavo stupita ed egli mi diede
due dita di vino rosso e mi prese sulle ginocchia,
allora risi inconsciamente alla sventura,
guardando i suoi occhi lucidi, il suo naso paonazzo.
Oh la città ! Si parlava spesso d'inverno
nella stalla come di luoghi favolosi.
Alla partenza guardai con rammarico
gli zoccoli che il nonno mi aveva tagliato nel faggio.
Un'alba in cui il cielo grigio pesava sul capo
mi mancò il respiro: davanti a me
soltanto tetti riarsi e polverosi.
Seppi allora che non avevo più campi
e che il cielo non si congiunge mai con la terra.
Mio nonno forse morì di nostalgia,
io vissi per avere tanti vestiti rosa
come le figlie dei signori.
Con gli anni divenni donna, imparai
l'ipocrito gioco del riso, quando le lacrime bruciano gli occhi.
Ora, talvolta, guardandomi le unghie laccate,
vorrei averle con l'orlo nero di terra,
e vorrei che la bocca, oh la bocca, fosse rossa di fragole.

L'essere e il nulla

Chiudi nell'anima l'essere e il nulla.
se rinunci alle cose viste:
ai fiori, alle rocce torve sul mare.
Dentro di te vedi abissali vuoti,
che riempie la vastità del tuo pensiero.
Non più il fiore t'appare, ma l'essenza
più morbida al tocco
(oh l'assurda realtà!) delle corolle;
non la roccia, ma la forza raccolta
che s'addensa nel blocco glabro:
l'anima della pietra.

Allora coglierai la realtà vera,
rinunziando alla luce, che dona
colore alle cose, ingannevole forma,
e non svela l'essenza.
Tu non sarai più fanciullo, il poeta
che s'innamora di pochi fili d'erba,
ma, uomo nella tua matura filosofia,
avrai colto l'essere e il nulla.

autore
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