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Presentazione a
A voce alta (1990)
Stefano Jacomuzzi
Un’esperienza unitaria – intendo esperienza
in senso esistenziale – mi pare segni queste diciannove poesie di Angelo Lippo,
in due diverse cadenze individuate da titoli – da Stazioni di un delirio
e da Atmosfere –, che vorrebbero anche definirne il carattere di tessere
di un futuro completo mosaico, che qui balugina e scompare. C’è, insomma,
un’allusione a una storia complessiva, ma fermata in momenti, isolata in
emozioni. Ma questi già sono gli stratagemmi di ogni operazione poetica ed è
possibile che non vi siano più tessere da aggiungere, più emozioni da fermare,
aggregate o aggregabili al nucleo.
Le due brevi sezioni (una di undici,
l’altra di otto poesie) mi pare inoltre – (mi pare: procedo per induzioni,
ovviamente, ma a veduta ragione di lettura e di interpretazione) che siano
segnate da forte evidenza di stacco, da una diversa natura di composizione
poetica. Quello che nella prima sembra procedere per approssimazione, quasi per
tentativi, anche con volute cadute nel colloquiale, diventa nella seconda
immagine e definizione non più provvisoria, come per una conquista di chiarezza
e quindi di significato unificante e quindi di completa deduzione immaginativa,
denso di raccolte allusioni metaforiche. Come per un discorso poeticamente
concettualizzato e trasporto in temi di emozione fantastica. Di qui nel primo
certi avvii di confessione gnomica (“Piangere è un’abitudine | a volte
che non muta | l’essenza delle cose”), che non traspaiono più, se non
risolte in liberazione di immagini (“E la tua allegria di porta in porta |
che scalpita zoccoli d’aria”) in forti astrazioni (“La distanza che
avvicina la misura del battito aperto | da una pausa all’altra”).
La tentazione dei riferimenti è forte.
L’assenza di pesanti sperimentalismi, l’assunzione della metafora (specie nella
seconda parte) come creatrice di allegorie emotive, ma insieme vita di autonomi
spazi inventivi, ti inducono a ricordarti del post (forse sarebbe meglio dire,
dell’ultimo) ermetismo, passato però attraverso esperienze del colloquiale, del
tono abbassato del dimesso e del sommesso.
Forse la poesia più significativa di
questa possibile, decifrabile ed efficace convivenza è quel Tracimazioni,
che incastona nel finale di insistita analogia una storia solo più
apparentemente occasionale, caricandola di tensioni e di significati che
vogliono essere risolutivi.
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