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Prefazione a
Il filo dell’affetto. Omaggio a Giacinto Spagnoletti
Alberto Altamura
Angelo Lippo, fine operatore culturale e
stimato critico, ha pensato bene di raccogliere i suoi scritti su Giacinto
Spagnoletti, per onorarne la memoria a cinque anni dalla scomparsa.
Si tratta di scritti, talora
occasionali, apparsi per lo più sul “Corriere del Giorno” di Taranto, che
testimoniano dell’attenzione di Lippo per l’opera dell’illustre maestro e della
continuità di rapporti con lui intrattenuti fino agli ultimi giorni di vita.
Che a Giacinto Spagnoletti la città di
Taranto, sua patria natia, debba un tributo di riconoscenza per i suoi meriti
culturali è fuor di dubbio, ma è anche indiscutibile che a tutt’oggi è mancato
un progetto di largo respiro tale da rendere giustizia allo studioso e all’uomo.
Non è il caso di Angelo Lippo che, da
sempre coinvolto nei fatti di cultura, letteraria ed artistica, della nostra
terra (e non solo), nella fattispecie offre all’attenzione pubblica una serie di
contributi, spunti e riflessioni che ci aiutano a rimeditare la figura e l’opera
di Giacinto Spagnoletti. Un autentico maestro, un finissimo critico letterario,
un delicato poeta e scrittore che, attivo dai primi anni ’40 del Novecento sino
ai primi del Duemila, è stato uno dei protagonisti della scena letteraria
nazionale.
Senza addentrarci nelle maglie della
sua fittissima produzione (alla quale ci si può rifare anche solo scorrendo i
titoli principali nella relativa bibliografia, posta in fondo al volumetto), non
mi pare fuor di luogo sottolineare che Giacinto Spagnoletti è stato uno dei
massimi rappresentanti non della cosiddetta “critica accademica” (quella
che si è sviluppata nelle aule e negli ambienti universitari e che, in qualche
modo, ne ostacolò la carriera per miopia e gelosa difesa dei privilegi di casta)
ma di quella “critica militante” (quella, per intenderci, che ha
principalmente operato sulle riviste, sui giornali, nelle case editrici…), che
tanto ha dato allo sviluppo delle lettere nel nostro Paese e che ha visto
l’affermarsi di personaggi del calibro di Elio Vittoriani, Italo Calvino, Geno
Pampaloni, Leonardo Sciascia, Michele Prisco, Claudio Marabini, Roberto Calasso
(tanto per fare qualche nome).
In virtù di questa rappresentanza,
Giacinto Spagnoletti ha ritenuto quasi un dovere morale quello di incontrarsi
non solo con i libri ma anche, se non soprattutto, con gli uomini
che ai libri vanno dietro. Non si è mai stancato di interrogare i libri e le
opere per farci scoprire la loro sostanza e struttura, la complessa tessitura,
le sottili relazioni intercorrenti fra le varie parti di un’opera e fra
quest’ultima e la tradizione letteraria (italiana e straniera), nonché il
contesto storico; ma soprattutto non si è mai stancato di interrogare gli
autori, per farci scoprire la loro visione del mondo, le idealità, aspirazioni,
stati d’animo, misteri…
Ha dichiarato una volta, quasi a
suggello della sua vocazione critica: «saper leggere gli uomini come i
libri, ecco la mia nascosta ambizione. E trovo, perciò, indispensabile far
collezione di uomini oltrechè di libri».
Alla luce di questa dichiarazione ben
s’intende allora la inusitata larghezza di contributi del Maestro riservati un
po’ a tutti gli scrittori e poeti del Novecento, specie della seconda metà
(molti dei quali, a torto considerati “minori” o “minimi”, debbono a lui la loro
consacrazione e visibilità), nonché la straordinaria frequentazione e
familiarità con i medesimi, da parte dei quali ha sempre ricevuto attestazioni
di stima ed affetto per le sue doti di equilibrio e di misura. Doti non facili,
in un ambiente come quello letterario, spesso attraversato da faide interne,
gelosie, contrapposizioni, giochi di cordata, come prova in modo sconcertante
l’assegnazione dei premi letterari, nei quali la tradizione italica di divisioni
in guelfi e ghibellini, laici e cattolici, destri e sinistri, trova il più vasto
ed esercitato terreno di coltura.
Inoltre mi piace sottolineare un
aspetto che a me sembra del tutto peculiare: Giacinto Spagnoletti, che non ha
mai creduto alla filologia pura di una parte della critica nostrana troppo
asservita alle ragioni esclusive del testo, ha fatto propria un’indicazione di
Roland Barthes, secondo cui – per lo sviluppo decisivo della critica – bisogna
che tra il lettore ed il testo si stabilisca un’intesa suprema, quella di
sentire il testo come un fatto amoroso. Un amore naturalmente, soggiunge il
nostro, dilaniato, mai statico, sempre problematico, dolente, misterioso, e alla
fine irraggiungibile…
A scoprire questa dimensione e questa
direzione di ricerca concorre il lavoro di Angelo Lippo che, mettendo insieme i
vari pezzi di un vasto ‘mosaico’ e cogliendo le diverse sfaccettature
dell’operare critico e creativo dello Spagnoletti, è riuscito a restituirci il
profilo di un maestro non solo di letteratura ma anche di vita: aperto,
generoso, colto, sensibile.
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