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Prefazione a
La vita si scandisce limpida (1996)
Enzo Santese
Il Cristo in croce in copertina (da un
olio, cm. 40x50, con cui De Poli chiude la sezione dedicata all’estate del libro
La valle dei Mocheni), nella squadrata e filante essenzialità del costrutto,
fuso nel colore di un paesaggio dal quale mutua tonalità e luce, sembra essere
la sintesi significante di un’opera che nell’incontro tra Angelo Lippo e Mario
De Poli sviluppa una sintonia decisa di scrittura e pittura attingendo in
maniera profonda alle ragioni della poesia. Il titolo rimanda direttamente al
concetto di dinamica vitale sottesa alle cadenze di un ritmo ricreato dal
puntuale incalzare dei versi; qui si fa avvertita la coscienza che “qualcosa
all’ultimo momento ci distrae dal battito giusto”. La lirica segnala
cadenze interne ricche di risonanza emotiva, composta in una sequenza di
pensiero fluida nella sua organizzazione tesa fra slancio evocativo e vibrazione
dell’anima.
La valle dei Mòcheni – indagata dal
pennello di De Poli, pulsante di luminosità atmosferica trasferita in percezione
di sensibilità – è luogo sacrale per una storia fatta di lontananza, silenzio e
solitudine. In quest’opera i caratteri della località trentina slittano da
condizione geografica ad alveo di poesia, dove la lirica di Lippo e la pittura
di De Poli si fondo nella fragranza di un pensiero che sulla pagina “si
scandisce limpido” come la vita a cui alludono. L’artista fissa alcuni
tratti costitutivi registrati in un’osservazione puntigliosa che nell’attimo del
loro trasferimento sulla tela dilatano i contorni palpitando di “presenze”
strappate a quella zona in bilico tra leggenda e tradizione popolare; i colori
graduano con seducente variegazione d’umori l’adesione dell’autore al tema
dipinto ed esaltano la distanza misteriosa tra il luogo e la sua storia. I
riflessi fisici che ripropongono l’incanto della valle si stagliano con nitore
anche nelle grafiche di questo libello dove la casa si conferma involucro di
umanità, perimetro custodito nel quale la dimensione privata riceve il massimo
di celebrazione. I mille riverberi e le cifre armoniose dei paesaggi accendono
morbidezze innestate nella fusione tra il testo e le illustrazioni e conducono
lo sguardo alla ricerca di qualcosa di tanto elementare, che appunto per questo
ci sfuggirebbe determinando la consapevolezza di una mancanza. Il fascino
avvertito per la valle dei Mòcheni unisce pregio naturalistico e risonanza
storica nello scandaglio delle ragioni motrici di un afflato leggibile anche tra
le righe (o, meglio, tra i versi) oppure oltre il livello letterale della
pittura.
La poesia di Lippo, intensa
nell’espressione di un pensiero che oscilla nella sua duttilità dalle punte di
rarefazione fino a passi condensati nel concetto, diffida dal volo metaforico
per condurci alle pieghe autentiche della parola dove immagini reali e luoghi
mentali si fondo dentro la sostanza di una poesia che sa essere forte anche
quando è sussurrata. La lirica si prospetta con forza come richiesta di
esistenza e su tale orbita sviluppa una sorte di indugio illusionistico, capace
di farci uscire dalla vicenda del nostro tempo, che implode di attualità, per
consentirci di trasmutare la tensione del vissuto dentro i limiti di una
essenzialità vera della poesia; qui le frasi incidentali appaiono sacche
protettive di una sospensione dove il pensiero va a convergere con il dato
interno che lo genera o con l’effetto che ne scaturisce.
“Rimirare oltre” significa anche
scoprire il senso più nascosto delle cose, penetrarne la sostanza per avere
piena la percezione che “la vita si scandisce limpida mentre noi ingemmiamo
– è molto di più di un mero auspicio – di mirto il respiro del mondo”.
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autore |
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