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Elisa Lizzi

Una rilettura dei Sepolcri

Estrapolando alcune idee dell’estetica di Heidegger, mi è parso subito di poterle applicare al carme foscoliano, in una rilettura di alcuni suoi luoghi. I Sepolcri sono stati letti come uno dei testi poetici più positivi sul tema della morte, nel fornire certezze e consolazioni universalistiche, non diversamente dalla concezione provvidenziale cristiana di autori  coevi, e allo stesso modo creano un legame tra meriti ed eternità. I suoi modelli d’ispirazione appartengono agli exempla epico-eroici  di stampo classico, recuperati da un’aristocrazia culturale che aspirava a svolgere la funzione eletta di guida del popolo nel periodo del Risorgimento italiano. Il poeta, in seno a tale aristocrazia, era in grado di raccogliere gli atti di valore e le azioni meritevoli degli eroi della storia, per comporli in sintesi ideali eterne.

La funzione di valutare le azioni e i meriti, nel carme, è assegnata prima alla storia, poi, in modo definitivo, alla poesia, con gli strumenti di cui ciascuna dispone. Tale visione costituisce la filosofia del Foscolo, argomentata nelle sequenze del carme,  nel momento più costruttivo dell’impegno poetico e sociale di questo autore.

Alla storia e alla poesia si attribuisce, dunque, un potere etico e teoretico assoluto, che più opportunamente Manzoni riconosceva ad un’entità divina, depositaria di tale potere. Garbatamente smaliziato prima di lui è stato l’intervento di Ariosto sulla funzione eternatrice dei poeti; egli, individuando i miraggi dell’umanità, non riconosce nulla di  assolutamente valido nella storia, neppure la poesia, tesa ad immortalare i sovrani generosi e munifici.

Il carme del Foscolo, così letto,  risulta, certo, ben inserito nelle aspirazioni del suo tempo, ha trasformato la storia italiana in una galleria di eroi, di cui si aveva bisogno per un’azione di riscatto ed impegno; ha elevato agli eroi italiani un sacrario paragonabile all’innografia degli eroi dell’antichità. Ma, al di là dell’impegno argomentativo storico epico, la poesia del Foscolo mi pare si concentri in momenti ed immagini meno appariscenti, ma emotivamente vibranti, sempre alla luce di una sensibilità educata alla visione classica della vita. Dal meccanicismo, che affianca e approfondisce le delusioni di un giovane in crisi nel romanzo epistolare, si passa ad un ricostruito senso di religiosità originaria, come in un ritorno alla culla del mondo.

 Questa profonda e sottile visione  elude la sfera dell’attività umana,  con le sue idee guida di dominio e progresso,  e riporta l’uomo a contatto con gli elementi primi, con la totalità della terra abitata dal Dio. Questo Dio si rivolge all’uomo interiore, chiamandolo a partecipare della sua vita,  della vita del tutto. Questa visione Foscolo non la esplicita, ma la traduce in immagini potenti ed espressive, come quella del mare che trasporta le armi di Achille sulla tomba di Aiace, o quella del deserto della Troade, spazio inanimato, eppure suggestivo ed universale alla pari della marea. Sono spazi simbolici da cui emanano voci arcane, come templi in ampie vallate, in cui ci si pone in religioso raccoglimento, in una comunicazione totale. L’uomo perde il ruolo di artefice dominatore, per vivere all’unisono con la terra, il mare, con l’immensità dell’universo. Ci sembra di cogliere la potenza dell’Essere e del divino, come nell’arte e nella poesia greca. Il vero approdo alla divina e serena totalità dell’Essere è possibile, ci pare di percepire nei versi del carme, solo con la morte, con la poesia,  con dimensioni, cioè, che riconducono l’uomo, fuori del tempo e della storia, a quell’unità suprema che  il mondo tende a lacerare.

Non so se il Poeta volesse offrire anche questa opportunità interpretativa del suo componimento, in un’epoca di impegno civile e politico, ma sicuramente la suggerisce, in un implicito richiamo all’idea del sacro, che si era formato nello studio dell’antichità.

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