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Motivazioni delle giurie a
Sul viso umano
Biagio Balistreri
Premio nazionale di poesia Insieme nell’arte
XIII edizione 2001
in:
Equipèco – luglio 2002
Nasce spontanea, parlando della poesia di Danilo Mandolini, l’esigenza di
intessere il discorso con le sue stesse “parole fredde”, con le scarne
espressioni che accompagnano il viaggio della solitudine che il poeta conduce
“Sul viso umano”. Un percorso nel quale il mondo circostante rivela i segni
accumulati del passaggio dell’uomo, mostrandosi tuttavia algidamente abbandonato
alla propria vecchiezza, coagulo della costante ripetizione dei gesti
quotidiani, autoreferente nella sua rappresentazione.
Citando il poeta: “un mondo…sospeso tra grovigli di lenti passaggi e folle
di saluti notturni”; oppure: “un cumulo di dimensioni e misure…che cercano
frenetiche altri specchi, per riflettersi”; o ancora: “una ripetuta schiena di
sentieri che…va a rantolare in lontananza”; e infine: “la bianca campagna…stanca
di sé”. Un paesaggio, dunque, nel quale l’uomo non appare, e tuttavia vi è
passato, e vi passerà ancora.
Ma anche
quando l’attenzione si rivolge direttamente all’uomo, non è il presente ad
assumere rilevanza. Sempre citando Mandolini: “non riusciva a immaginarsi il
viso che avrebbe avuto una volta vecchio”; oppure: “la sbigottita distanza della
solitudine degli anni”; o anche: “la ripetuta scomparsa dei giorni”.
In questo
contesto, il presente è colto soltanto se rappresenta uno iato, una cesura,
l’interruzione – densa di angoscia – della ripetitività dei gesti e della loro
abituale sequenza, quasi risiedesse proprio in questa sincope, il senso
dell’esistenza.
Come ha
scritto Giovanni Commare nella postfazione al volume, “Mandolini ha il coraggio
di contemplare le fauci del nulla”. E le rappresenta, queste fauci, al lettore,
con una misura essenziale e sapiente, senza sbavature dell’io, con versi che non
sembrano traspirare sofferenza vissuta, ma dolore assoluto, nel quale gli scarti
dell’esistenza generano, per citare un’ultima volta il poeta, “l’inquietudine di
un interstizio nei meandri affollati della ragione”.
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