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Postfazione a
Elegia provinciale

Mauro Baroni

Dalla storia massima alla storia minima

Doria non sa leggere la musica...
Ha le mani nelle farine e impasta, il grembiule (grembiale in Versilia) di lino — e il colletto di pizzo come la Lucia manzoniana o la ragazza che legge una lettera di Veermer. Il Don Rodrigo di turno è un sor che fuma sigari e indossa il cappello: ha i baffi quasi dipinti (mi ricordano quelli di Poirot) e la voglia di conquista... Lui sa che le fanciulle del West o le Tosche si inchinano (o si chinano) sempre; sa di Butterfly ed altre farfalle e falene e di geishe tutte innamorate dell'amore — o meglio, del rito d'amore. Le tratta come i suoi cani, i suoi fucili, le sue pipe: la caccia è natura e gli è naturale, gli s'impone. Così ne dispone. Vede inverdire i falaschi, fiorire i giaggioli, le anatre (anitre in Versilia) figliare e, poi, ferite palpitare nelle bocche dei setter dopo il colpo.

E tutto gli si confa, quasi come una trappola, proprio come nella caccia alle folaghe dalle zampe brevi e, per i profani, dalle carni poco pregiate: statuine di legno galleggianti a richiamo, come le illusioni dei sentimenti; basta esaudire l'istinto, il bisogno, spermatizzare — freudianamente — il mondo — ché intanto si muore di tabacco e di fama. Chi se ne frega se altri si spengono di fame di consunzione d'amore? —, l'importante è poggiare il bastone sul viale della Regina, e brindare al Margherita di Viareggio, giuntovi con carrozza e belle époque, con un vino lucchese (sovente il Greo) o appoggiare il fucile carico nella botte per un sorso da un'altra bottiglia (d'Arsina, stavolta) e per accendersi una "Chesterfield" o una "Players Navy Cut" giunte appositamente da Montreal con un pacco espresso.

E così per lei il seto (si dice così in Versilia) della lavanda per profumare le federe e i cuscini, dove lui posava il capo, la naftalina e la canfora per non fare infiltrire le giacche di velluto da cacciatore e per scacciare le mangiatrici di lana, le mutande con il merletto appena sotto le ginocchia, le lenzuola di lino della Cucirini Cantoni da inamidare, le ceneri e le liscivie per le tinozze del bucato; per lui la lascivia, e poi la De Dion Bon, il cappello a falde larghe, il "toscano" della Manifattura Tabacchi e il fucile inglese per le pernici, il pianoforte tedesco, il padule (il palude) e rincorrere tutto quel che si muove alla "vista", in volo, anche nei sentimenti - e che ti fa ancora sentire adolescente.

A lei il fascino aspro dell'uomo di tabacco e dolce di note (mai di notte!) e desideri, a Lui la voglia e/o la necessità di comporre e ammorbidire su un altro spartito un’altra vita (l'aspettava il destino); a lei il desiderio di rifare un letto disfatto; a Lui quello di disfare un letto rifatto.

C'è sentore di vanità (oh!, vanità delle vanità) in questa storia, un profumo oscuro: le fanciulle del più profondo West, o le Butterfly — e la loro poesia — scompaiono nel desiderio carnale di fronte a una giovane fille, ch'è quasi, come una bestia indifesa (ad aspettare il filo che recide).

Era così facile... E lei era così felice.

Si potrebbe qui ripartire da Duby e Le Goff, dalla nouvelle histoire — pensavano (grande illusione) che la Grande Storia venisse fatta dal basso, ignorando che la scrivono sempre i potenti e il corteo dei vincitori (cito il titolo d'una raccolta di poesie dell'ormai dimenticato Pietro Ingrao).

Ecco, sta qui (è qui) la bellezza del romanzo di Giancarlo — ricco anche di informazioni documenti costumi (moeurs, alla Voltaire) — che ci riconduce alle camicie da letto, tra le sospese note e notti, di ruvido filaticcio, all'orinale da svuotare, in segreto, al mattino, e cogliere i bocci di rosa da porre sul davanzale; poi Doria ascoltava, Lui partente per la caccia, il guaito del cane e dipoi le ali del colombaccio che si spengevano, negli ultimi sventagli, nel Lago dove annegavano anche i sogni di Doria; lei voleva dormire per sempre, con quelle note e quelle notti mai avute per intiero, ma che sapeva, con commozione, a lei dedicate... Ma era soltanto lei che versava lacrime, l'Altro se la cavava meglio con il pentagramma e gli spari, e talvolta con un po' di assenzio... ritornava alla battaglia, frettolosa, affinchè nessun s'accorga.

Non potevano esserci gli abbracci quieti che lei desiderava, Lui, dopo lo stupro intellettuale, si conduceva via con il suo cane e la sua musica. Lo portavano lontano, in Paris o in Bruxelles, mentre lei restava nel letto bagnato, con il sorriso istupidito o appena cennato, gli occhi e il cuore illuciditi, la voglia inespressa e non finita. Anche se lui le aveva lasciato sul comodino un biglietto d'amore. Una carta "strettamente" privata e un capello sul cuscino...

Eppure, Micheli, che ha compiuto una vera e propria, documentata fino al dettaglio, bohème, e anche il postfatore, a sua volta, bohémien, rimangono dalla parte dei perdenti: ascoltano il pianto, e capiscono la voglia di andarsene via una volta per tutte. Giacomo continuerà ad essere, con merito, celebrato in tutto il mondo... Doria, grazie alla sapienza narrativa di Giancarlo, qui, in questo romanzo si riprende vita e dignità, e quell'abbraccio che meritava.

In fin dei conti, diventa un'eroina di tenera pucciniana memoria. Ma, Giacomo, hai saputo veramente amare chi ti ha veramente amato?, si domanda ancora, nella coltre del marmo, Doria.

Giancarlo sì...

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