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Prefazione a
Caro Gozzano
Nel dare alla stampa questo breve scritto
su Guido Gustavo Gozzano, mi si è formata nella mente la riflessione: se fosse
ancora necessario scrivere di lui, considerando la notevole mole di scritti e
saggi di persone altamente autorevoli.
Forse non lo è.
Tuttavia la tenerezza che ne scaturì,
leggendo ed approfondendo la vita e la poesia di questo sfortunato giovane, mi
fece un giorno dire con commozione: “Caro Gozzano!”, e questa espressione
affettiva mi ha dato la convinzione che avrei potuto aggiungere un sassolino
nell’arena bibliografica.
Nella lettura della critica alle sue opere,
susseguite nel tempo, ho potuto constatare la convergenza verso una parola
“Ironia”.
Ho ritenuto che questo motivo conduttore
potesse essere valido se preceduto dalla parola “umorista”.
Questo mio pensiero non è immaginativo, ma
sostenuto dal carattere gioviale, ciarliero e ridanciano della giovinezza del
poeta e lo possiamo ritrovare ben oltre il Liceo con Ettore Colla sino alle
soglie del ‘900. Quando il quadro familiare muterà repentinamente con la
morte del padre e di conseguenza la situazione economica; muterà il suo
naturale umorismo in umorismo-ironico. Quando si manifesterà il sintomo di una
malattia assai grave diverrà “ironia”.
Ironia che diviene lacerante e poco importa
che egli abbia, come dice la critica più negativa: “carpito, invertito, usato
e modificato frasi poetiche altrui, parodiando D’Annunzio e Graf, apparendo a
certuni un Prati, un parnassiano, un romantico”, per quella parte di realismo
nel quale mette tutto se stesso, egli rimarrà sempre per coloro che lo amano e
lo comprendono: “Caro Gozzano”.
Ironia che diviene àncora di salvezza per
un poeta di belle speranze che vede tutto svanire: vitalità, amore, futuro per
un appuntamento fatale che deve vivere giorno per giorno fino alla
rassegnazione.
La consapevolezza del contagio altalenante
che gli consente solo di sublimare l’amore o, come un ladro, carpire un
effimero amore fisico.
Questa grave rinunzia egli la canterà con
tutto il residuo ardore della sua giovinezza con malinconia-ironia nella sua
poesia che diviene quindi diario giornaliero, spazio e confine.
A lui dobbiamo volgere lo sguardo su uno
squarcio di vita “provinciale” con le sue debolezze, egoismi e delicatezze
d’immagini che divengono valore da tramandare.
A noi rimane il piacere di camminare su
quel suo sentiero tracciato che fa da ponte verso una più libera espressione;
alcune sue pennellate poetiche ci portano ad osservare immagini di
impressionismo alla Monet o penetrare in alcuni giardini nascosti dei nostri
“macchiaioli”, dove ognuno si sofferma sul tutto o sul particolare di luce
vista da una certa angolazione.
Nel ringraziare tutti
coloro che parlarono ampiamente di lui, illuminando la sua figura che giunge
sino a noi intatta quasi fosse un nostro contemporaneo e le case editrici che
permisero questo; debbo dei ringraziamenti particolari alla mia amica Laura
Bracigliano Moruzzi, attrice di teatro e fine intenditrice di poesia che in
pratica, con grazia e fermezza, mi ha costretto ad approfondire Gozzano e mio
marito Livio che, da scrittore e bibliofilo qual è, ha subito messo a mia
disposizione le prime edizioni ed alcuni profili critici indispensabili.
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