Pietro Nigro
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PROPOSTE: POESIA E STATO
Quante volte mi sono trovato a scrivere, tante
volte sono stato preso dal dubbio se ne valesse la pena. Scrivevo per me o per
gli altri? Scrivevo per una sorta di autoesaltazione o perchè ne scaturisse un
monito rigeneratore? Ad un attento esame di coscienza capii che ero sollecitato
da impellenti problemi sociali ed esistenziali, da un desiderio di affermazione
di valori che vedevo lesi anche da parte di note personalità della cultura. Non
si trattava dunque di me; il mio "io" veniva cancellato da una forte
esigenza spirituale - quasi "incarnata" e perciò più avvertita -, da
una pietà per la condizione umana che mi spronava a scrivere, convincendomi che
l'artista fosse strumento di un'ignota volontà di perfezione.
Sì, ne è valsa proprio la pena.
La Poesia come RABBIA contro chi ti scanna la
giustizia; la Poesia come DENUNCIA contro chi ipocritamente ti dice di amarla,
ma esibisce "maschere" sociali a "Premi" e a
"Prime" camuffato da autorità civile e culturale (e non), corpo
inerte senza slanci nè ideali, senz'anima (NON HA CETI LA POESIA); la Poesia
come PANE per chi soffre la fame e ha bisogno di chi glielo porga come spada di
riscatto; la Poesia come AMORE se, per caso, l'Arte vincerà la sua battaglia.
Il mio vuole essere un messaggio di pace,
d'amore per una società che si fondi sulla giustizia, pur essendo consapevole
della difficoltà, per la natura stessa dell'uomo, di realizzare una tale
aspirazione. I miei versi vogliono pertanto scuotere e sollecitare ad un'azione
concreta chi a questi valori crede, ma in realtà coltiva teoricamente solo nel
proprio intimo, appagandosene. Ma vorrei anche scagliare i miei versi a chi,
responsabile degli immediati destini umani, possa non restarne indifferente. Ma
ai giovani penso principalmente affinchè capiscano il vero scopo della poesia.
Sebbene le strutture educative siano piuttosto carenti, e sperando che il futuro
vi ponga rimedio, affido ai mezzi di comunicazione, casuali e non, il compito di
diffondere le mie "idee poetiche" che potrei anche definire la mia
"politica poetica".
E' compito dello Stato educare alla Poesia:
senza di essa non c'è verità e amore; resta solo la violenza e l'odio.
Ma suppongo che gli uomini che fanno lo Stato
- nelle sue varie espressioni di potere: il quarto, il quinto al giorno d'oggi
particolarmente importanti (per favore, escludete noi semplici cittadini, non
come vorrebbe un semplicistico luogo comune che favorisce soltanto chi veramente
detiene il potere) - abbiano a cuore ben altro che non il bene dell'
"anima" da cui deriva il bene sociale.
Ah se i politici amassero la Poesia come
l'amano i Poeti!
Ah se governassero i poeti! Non i presuntuosi,
però: ne siamo sommersi, purtroppo, anche in Arte!
Oh UTOPIA U-T-O-P-I-AAAaaa!
PROPOSTA: Educare alla Poesia, all'Arte non
come mezzo di affermazione, ma come bisogno quasi di spirituale sensualità che
esalti la mente e soddisfi i sensi.
RISCONTRO: Mi chiedo fino a che punto ciò
possa interessare chi del successo e della ricchezza ha fatto lo scopo della
vita.
EPILOGO: Che cosa augurargli di terribile per
farlo rinsavire e dargli la possibilità di giudicare che il vero valore della
vita è la vita stessa, senza altri affanni che quelli derivanti dalla sua
povera carne destinata alla distruzione? In quei momenti di sofferenza non credo
che si curerebbe d'altro se non della propria salvezza. Ed è per questo che mi
rivolgo a voi fautori di successi e di ricchezze, di profitti e di tangenti,
d'ingiustizia e di ipocrisie, di crimini e di bestiali violenze, augurandovi che
almeno un malanno (catartico) possa salvarvi l'anima e la POESIA possa salvarvi
anche la vita.
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