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Letteratura Italiana Contemporanea. Antologia del nuovo millennio
Pensieri e poesia: Pietro Nigro
Andrea Pellegrini
Durante un ciclo di quattro lezioni
tenute alla Columbia University, dove era stato chiamato come visiting professor
nel maggio del 1964, illustrando la sublime sua Canzone, il poeta Giuseppe
Ungaretti disse che “la conoscenza che il poeta ha della realtà ideale è una
conoscenza avuta soltanto attraverso ad echi, e non una conoscenza diretta”. E
aveva proseguito dichiarando per modi davvero affascinanti che “noi tentiamo di
arrivare al vero sapere, tentiamo di arrivarci nel nostro essere profondo, ma
non ci riusciamo”.
Leggendo le poesie dell’avolese Pietro Nigro, limpidamente e
con forza tornano alla memoria proprio quelle lezioni fondamentali. Commossa
dall’inettitudine della mente di afferrare le mete di un aldilà iperuranio, come
di contemplare talmente oltre il reale da uscirne liberati, la vita attenua –
nelle liriche di Nigro – l’angoscia dei pensieri umani traslocandoli su terreni
meno intransigenti, scortandoli fra i sensi e le effimere indoli, nel mondo
sensuale, fra le tremanti voluttà di passaggio. Va esplorando, la mente,
scavalcamenti di dogane sensibili. Esige spingersi oltre se stessa, per valicare
i confini che si prendono gioco dell’umana impotenza, per scoprire la vera
realtà, ma non ci riesce perché ciò non è possibile altro che di sbieco, per
rimandi, per echi –come diceva Ungaretti – e la forza misericordiosa della vita,
edotta di tale inabilità, “crea attrattive che la carne reclama”. Profumi
tornano a inebriare momenti felici e lacrime blandiscono dolenze temporanee.
Eppure anche questo non basta. E ritorna e rintrona senza tregua la brama, lo
sforzo di liberarsi dal giogo della materia.
La mente vuole vedere il mondo
delle essenze: le idee iperuranee, il nucleo originario assoluto dei pensieri e
delle azioni, delle situazioni e delle cose. Ma solo riflessi delle
archetipiche purità riesce a scorgere. L’occhio non smette mai, nell’esistenza,
di intuire simboli perentori di un ordine di un altrove suggerito di volta in
volta all’intelletto. Che riprende la sua inesausta ricerca della verità: però
una verità appannata e soffocata, una verità prigioniera del reale.
Platonicamente, scrive il filosofo e poeta Pietro Nigro, “coglie l’occhio
simboli d’esistenza / ordine che trasmette all’intelletto / alla ricerca di una
verità donde nacque / e che la realtà offusca”. Ed ecco, il poeta reclamare che
la sua voce umana dalla realtà umana si elevi con una veemenza tale da penetrare
una volta per tutte impenetrabili mondi e da trascendere gli immortali ordini
della primordiale onnipotenza. Vorrebbe svegliarsi, la mente, da viva, nella
consapevolezza dell’essenza e nell’ardore dell’assoluto: oltre la realtà
confinante dell’Essere. Oltre le prigioni del corpo. Perché la realtà è prigione
dei pensieri e solo quando il fragile corpo umano avrà terminato il proprio
ciclo, soltanto allora lo spirito “brancolerà nel cosmico nulla / senza meta
d’esistenza”. Un tono e un ritmo di consumata esperienza poetica cibano i
filosofici endecasillabi e i versi lunghi e solenni di queste liriche, che un
vocabolario fermo e altosonante corrobora producendo la voce baritonale e mai
secondaria che li salmodia: una voce dal basso fra sonorità di echi diffusi,
riverberanti per l’assoluto del dettato. Una voce spirituale e filosofica:
“Lasciami quest’attimo” dice Nigro rivolgendosi a un tramonto che fa fuggire il
giorno, “vivere in eterno / viva la mia vita quell’attimo / che fermò sulla
carta il verso”.
Nato ad Avola, vicino a Siracusa,
nell’estate del 1939, Pietro Nigro risiede a Noto ed è stato docente d’inglese
nei licei. Ha cominciato a comporre versi sin dagli anni Sessanta e ha
pubblicato numerose raccolte poetiche a partire dal 1982, ininterrottamente fino
a 2012 quando è comparso in Poeti italiani scelti di livello europeo con
l’editore milanese G. Miano. Si sono occupati del suo caso poetico, fra gli
altri, i critici letterari Giorgio Bàrberi Squarotti, Leone Piccioni, Neuro
Bonifazi, Franco Boveri, Andrea Pugiotto e Vincenzo Bendinelli. Nel 1985 gli è
stato assegnato il prestigioso Premio “Luigi Pirandello” per la Letteratura a
Taormina e nella Sala del Cenacolo di Montecitorio – Camera dei Deputati – gli è
stato conferito il Premio “La Pleiade” nel 1986.
Il senso della vita
Strumento la tua mente
del desiderio di afferrare
inaccessibili mete
contro una barriera
che irride la tua impotenza.
Conforta la lunga scia
una notturna speranza
di una fievole luce
benefica offerta
al buio che soffoca i sogni.
Pietosa la vita muta i pensieri
e li conduce a contingenti valori
che inibiscono la tua volontà
vento che voluttuosamente
la materia trascina
in vortici inebrianti.
Compassionevole mano
crea attrattive che la carne
reclama.
E’ il richiamo dei tuoi percorsi
delle parole dette e taciute
degli aromi che inebriano
i tuoi momenti felici
e dei pianti che lenirono
i momenti difficili.
Trasuda immagini il tempo
ma la luce si stempera nel caotico
groviglio
di una mai estinta stirpe del caso.
Coglie l’occhio simboli d’esistenza
ordine che trasmette all’intelletto
alla ricerca di una verità donde
nacque
e che la realtà offusca.
Se fondamento è la verità
pur non tangibile la sua essenza
e dell’esistenza mistero
è il suo profondo senso.
Tramonto
Godo quest’ora quando il vento tace
colori di fiori sulla terrazza muta
oro di raggi d’un sole che tramonta.
Come fugge il giorno fugge il mio
tempo,
ma lasciami quest’attimo
vivere in eterno;
viva la mia vita quell’attimo
che fermò sulla carta il verso.
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