Prefazione a
Momenti diversi
Nino Majellaro
credevo d'essere quasi speciale
perché urtavo ogni cosa con la mente
e senza toccarla la penetravo
Questi versi sono l'inizio di una delle ultime poesie di
Momenti diversi raccolta che appare dopo anni di silenzio: anni in cui Laura
Pierdicchi ha operato senza sosta spogliando il suo lessico di ogni retorica
esistenziale, presente in parte nelle sue raccolte precedenti, raggiungendo
un'essenzialità e una misura inconsuete nel panorama poetico di questi ultimi
anni.
Il rapporto oggetto-destino è qui unificato nella parola che
assembla tutte le pulsioni del quotidiano raffigurando le cose toccate e viste
in memoria poetica in cui si possono cogliere il respiro di una foglia, il
minuto che passa "lentamente", i "pensieri oltre il finestrino" di un treno, il
"rumore del pensiero", accantonando tutti gli scarti proastici e le
aggettivazioni che facevano d'inciampo allo scorrere interiore delle emozioni.
Perché è dal di dentro che vengono in superficie tempo, figure, ricordi, sogni
che rimandano a quella levigata e irraggiungibile eternità del mondo di Emily
Dickinson così tanto lontano per sonorità e ritmo da quello di Laura Pierdicchi,
ma tanto simile per quell'aria di solitudine e di raccoglimento che accomuna,
pur con le docute distanze, le due poetesse.
La poesia di questa raccolta non eccedono i quindici versi,
gli spazi bianchi fanno da cornice ad un racconto ininterrotto di sé che alterna
alle emozioni interiori la visibilità degli oggetti quotidiani. Ma la sua poesia
è sempre rivolta a un altro, l'altro è sempre qualcuno o qualcosa che le sta
vicino, oppure è una memoria dell'adolescenza: una presenza e un'assenza, un
alternarsi del tu e dell'io che fanno pensare alla condensazione di un unico
momento interiore in cui la vita appare come un miraggio irraggiungibile dentro
un "ultimo sogno da continuare". A volte le prende la paura di essere fuori
campo, in uno spazio in cui la sua voce poetica sembra stonata:
a volte ho paura di stonare
lascio la penna al foglio
e me ne vado
a volte la presenzxa e l'assenza di una persona generano
fastidio e timore: fastidio per la presenza, timore per la sua assenza. La
contraddizione del quotidiano in cui si alternano i pensieri dello stare al
mondo e di essere il mondo prefigura il principio della morte, non enunciata ma
sottintesa. La morte è anche l'altra faccia della solitudine che sta al limite
dell'annullamento e del "relativo niente". È il dolore dell'adolescenza che non
ritorna: "la gioia prescritta a gocce | giusta medicina | dopo una comprensione
di dolore".
Si entra nel quotidiano, con gli stessi gesti, le stesse
abitudini, gli stessi silenzi:
ti sto di fronte
mi guardi senza vedermi
l'unico rumore
il sibilo della pensola a pressione
volevo parlarti –
non mi sforzo
neanche di cominciare
I versi scorrono fluidi, sembra che intorno ad essi non ci
sia alcun rumore, alcuna distanza, alcun mutamento. Inoltre l'assenza di
qualsiasi punteggiatura, salvo quei piccoli trattini che rimandano ad una grafia
tipicamente dickinsoniana, marca e nello stesso tempo annulla le distanze fra
passato e presente. Il futuro sembra non contare per la Pierdicchi se non negli
oggetti della sua casa che spolvera e lucida con amore:
penso che quando finirà
essi resteranno qui – immobili
e tutto sarà come prima
mancherà
solo il mio riflesso nello specchio
In quest'ultimo verso il futuro marca l'assenza come a
significare che il tempo sta soltanto dentro la vita e l'immagine è soltanto
quello che resta di esso. La nostra esistenza trascende gli oggetti, ci è
appartenuta ed è dedicata a quelli che ci sopravviveranno. È questa l'eternità?
Quell'eternità su cui anche la Diclinson s'interrogava e che immergeva senza
risposte nel piccolo mondo di un giorno qualunque racchiuso tra i confini di una
casa e di un giardino. Sopra le stava il cielo e così anche per Laura Pierdicchi
il suo giorno:
un giorno come tanti – speciale
per me che in sofferenza
il primo grido lanciavo al cielo
In quest'ultima raccolta di poesie e maggiormente evidenziato
il suo respiro lirico che a volte sembra cantare in sottofondo una canzone in
cui le parole non si distinguono dalla musica ma sono la musica stessa delle
parole. Sono le parole di un poeta e sono come il cuore di un bambino che:
gioca e ancora si accende
poi si ferisce — sanguina
giura non lo farà più
come un bambino dimentica
e gioca ancora
Nei brevi e distillati versi si ha la sensazione di una
interrogazione-conversazione continua con lo specchio riflettente la propria
immagine, un altro se stesso frantumato, sdoppiato e poi ricomposto in una luce
che raccoglie un mondo di inquietudini e di rimpianti, come se nell'ombra che
sta al di là in quella terra che non conosce, semmai si conoscerà, sia rimasto
intatto quel regalo che il poeta non ha (ho) saputo cogliere.
La poesia di Laura Pierdicchi fluttua dentro un'aria
rarefatta dove il tempo "ha corso più in fretta di noi" per cui ogni parola
sillabata, ogni immagine evocata sembrano apparire come brani di un discorso
interrotto e poi ripreso davanti a un confine che non si può oltepassare né
aprire se non trasformando ciò che non si riesce a dire in un commiato:
per non disturbare
siete partiti in silenzio
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