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Il poeta e il pozzo

da: Echi di riti e miti (2010)

Mi trovo, casualmente, in piazza Garibaldi, a Pescara. Senza nessuna ragione apparente, i miei passi mi conducono davanti alla casa natale del Vate, museo nazionale che conserva arredi, mobili d’epoca e oggetti dello scrittore e magico angolo di raccoglimento al centro della città vecchia, racchiuso tra corso Manthoné e via delle Caserme, le vie dell’antica fortezza, dove si respira ancora quell’atmosfera tipica delle classiche dimore borghesi dell’ottocento.

Poi, un’altra tappa del mio peregrinare in luoghi vetusti: la cattedrale di San Cetteo, dove riposa la madre del poeta, Luisa De Benedictis, in un monumento funebre opera del prestigioso scultore Arrigo Minerbi, artista prediletto di Gabriele D’Annunzio che, nella circostanza, donò all’abate della chiesa una tela di Giovan Francesco Barbieri, più noto con il nome di Guercino, raffigurante San Francesco orante nella grotta della Verna. Nel chiostro interno della casa ammiro il pozzo della famiglia, con la sua forma cilindrica e con la sua grata di ferro sormontata dal sostegno della carrucola.

Il pozzo che, ai vecchi tempi, era il centro delle attività domestiche, perché assicurava l’acqua, elemento essenziale per la vita di tutta la comunità.

E che vedeva intorno a esso, a Pasqua, donne affaccendate sotto il sole della primavera per rendere scintillante il rame di cucina con la sabbia grigia del fiume.

O, a Ferragosto, vedeva calare nel suo fresco rifugio gustosi cocomeri.

E, in autunno, era la volta della conserva e della vendemmia, poi, in inverno, assisteva all’uccisione del maiale. Certo, anche il poeta, bambino, avrà osservato e tratto ispirazione da queste scene.

Il vecchio pozzo è ancora lì, custode di ricordi in una pace da museo, in un cortile deserto pur se tra l’eco dei rumori esterni.

Forse, in qualche notte di luna, lo spirito del cantore ritorna ad aleggiare, tra rose rampicanti, lillà e gelsomini, in compagnia dei suoi tormenti, delle sue glorie e del suo motto “per non dormire”.

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