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Prefazione a
Diafonie poetiche a contrasto
di Rossano Onano e Veniero Scarselli
Sandro Gros-Pietro
La contesa poetica
è una tradizione radicata nella nostra letteratura. Nell'antichità romana era il
certamen honoris et gloriae che suscitava plauso fra gli spettatori, per lo più
nobili e patrizi. Erano le prime forme premiali e collettive degli attuali
concorsi letterari e si concludevano con vittorie di contenuto morale, tipo
l'apposizione della corona di alloro sulle tempie del vincitore. Il poeta, a
quei tempi, si inebriava solo di gloria letteraria anziché compiacersi di borse
di quattrini. Nel medioevo ha avuto molto successo la tenzone poetica ovvero il
contrasto: i poeti si affrontavano in duelli in cui sviluppavano poetiche
differenti, ma convergenti in un disegno di costruzione comune dell'argomento
ovvero in una compartecipazione al testo unico da comporre (celebre è la tenzone
fra Dante Alighieri e Forese Donati). Dal rinascimento in avanti le tenzoni
teoriche hanno finito per trasformarsi in rivalità personali e sovente si sono
risolte con episodi di criminalità comune. Celebre è la soluzione a pistolettate
dell'odio poetico covato da Gaspare Murtola per Giambattista Marino. La poesia
contemporanea celebra i due colpi di
pistola di Verlain diretti all'amante Rimbaud, come atto di nascita di Une saison en enfer, la madre di tutte le poesie moderne. Quelli furono autentici
colpi di fuoco d'amore, anche se di un amore definito, chissà perché, diverso.
Per tutto il Novecento la poesia è stata un fervore citazionale di erudizione
bibliografica e di competizione bibliotecaria. L'ultimo poeta a maneggiare armi
come se fossero pertinenze ancora letterarie è stato d'Annunzio, poi si è
sentito solo più il raspare dei pennini sulla carta e il soffio delle ciambelle
emorroidali sulle poltrone degli scrittori, chini dodici-diciotto ore al giorno
sulle sudate carte. Oggi la competizione letteraria, come incrocio e sfida di
teorie e di forme diverse dello scrivere, sta prepotentemente tornando a
furoreggiare. Si organizzano sfide in caffè alla moda, convegni in forma di
gara, simposi creativi. Addirittura sono stati messi in opera dei premi
letterari, che sfoceranno al Salone Internazionale del libro di Torino del 2010
nell'incoronazione di un vincitore, con meccanismi di selezione basati sul
duello diretto fra scrittori.
Il gioco è molto
semplice: ciascuno scrive contro l'altro, à la guerre comme à la guerre. I colpi
bassi sono i più terribili, diretti all'eros, alle emozioni e al ragionamento.
Sono i colpi preferiti dai lettori. Sesso, cuore e cervello sono i tre organi
vitali. Questi gladiatori del computer non risparmiano nulla l'uno all'altro.
Chi si lamenta per primo — o ricorre all'aiuto di altri o peggio che peggio,
massimo della vergogna, minaccia l'avvocato per fare smettere l'antagonista — ha
clamorosamente perso la tenzone: dimostra mancanza di genio e
inferiorità di stile e di contenuti. Nelle nuove agoni letterarie non serve più
sapere citare Dante e Shakespeare. Non serve sapere di latino o tradurre
epigrafi greche. Davanti a una penna che ti infilza e ti fa a pezzi occorre
sorridere e reagire con lo stesso metodo.
Perché si fanno
queste cose? Forse, bisogna prima chiedersi qual è la definizione moderna del
ruolo dello scrittore. Dopo essere stato un intellettuale che si trascinava
appresso l'ingombrante enciclopedia universale del sapere, oggi, che tutti
adoprano quotidianamente gli estremi di quella stessa enciclopedia grazie al
telefonino che li collega a internet, lo scrittore sta cercando una nuova
definizione di sé. E sempre più si propone come maestro di vita, di pensiero, di
comportamento. Si propone come stilista nell'arte di vivere. Chi scrive sa
combattere e sa patire, è capace di simulare gioia e dolore in una realtà
virtuale a tale punto bene ricostruita che si confonde con il mondo reale. Lo
scrittore di talento racconta sempre storie che appassionano e convincono, ma che
sono tutt'altro che vere. Eppure la letteratura è una proiezione indefinita
della verità. Dunque, il racconto è la grazia di una compromissione continua fra
facezia e serietà, simulazione e verità, furore e dolcezza, asprezza e armonia, lucidità e pazzia.
Un cocktail magistrale di ingredienti disparati.
Rossano Onano e
Veniero Scarselli, due noti ed esperti scrittori, provengono da due strade
diverse, ma entrambi sanno fare dell'ottima letteratura. Raccontano storie che
affascinano e appassionano e che non contengono neppure un chicco di verità.
Eppure la verità è l'unico seme della loro ricerca, cui entrambi sono sempre
stati fedeli. Onano applica le categorie della mente e i simboli del linguaggio
al mondo della letteratura. Egli proviene da una formazione lacaniana, ha un
orientamento strutturalista e destrutturalista; il problema del linguaggio resta
al centro della sua avventura letteraria, specie nel rapporto enigmatico che la
parola scritta intrattiene con la motivazione profonda dello scrittore.
Scarselli proviene dal fasto poematico di una letteratura epica e chiaroveggente
che ha il suo campione contemporaneo in Derek Walcott, ma che affonda le radici
nel romanticismo inglese alla Walter Scott, tra atmosfere gotiche e tradizioni
popolari. Autori di grande spessore entrambi, impegnati in un duello della mente
senza sconti e di grande fascino, nel quale si alternano le teorie della
scrittura oscura di Jacques Derrida con le teorie del mito e della geoepica,
Onano e Scarselli pensano a una cola cosa: darsele di santa ragione, ma senza
mai crederci troppo.
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