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Michela Torcellan
Vita di cimitero
Matilde non se lo sarebbe mai aspettato
quando entrò per la prima volta nel camposanto. Prima di allora le sue visite
si erano limitate alle tristi e un po' formali circostanze dei funerali di
famiglia. Ma quando, dopo aver perso il marito, cominciò a frequentare con
regolarità il luogo del riposo eterno, si accorse che strani fermenti lo
percorrevano. Tutto cominciò una mattina che stava disponendo fiori freschi
sulla tomba di Renzo: un garofano qua, una rosellina là, due o tre iris -
peccato che sfioriscano così presto- un po' di fresia, tanto verde. Era scesa
dalla scaletta per ammirare il suo lavoro da lontano, quando una donna le si
piazzò davanti fissandola.
«Matilde?» domandò.
«Sì!» rispose, ma non riconobbe subito
chi le aveva parlato.
«Sono Eleonora, Eleonora Righi!» si
qualificò. Sì, Eleonora, era lei, la vecchia compagna di banco delle scuole
commerciali. Quanti anni erano passati? Quaranta, cinquanta forse. Anche lei
aveva perduto da poco il marito, poche tombe più in là. Cominciarono a
ritrovarsi: qualche ricordo sbiadito, tanti sogni dimenticati, i racconti
vicendevoli di intere esistenze scanditi dai ritmi sempre uguali di
fidanzamenti, matrimoni, maternità, ansie, lavoro, casa…poi il nulla. Era
strano come tante vite, anche di persone diversissime, si assomigliassero. Un
giorno Eleonora era in compagnia di un'altra. «Matilde, te la ricordi Gioconda?».
Sì, come no! Aveva anche tentato di soffiarle Renzo, ma non gliene voleva. Poi
aveva avuto una vita triste, con un marito ubriacone e manesco che, dopo molti
anni di sofferenze (sue), finalmente si era tolto di mezzo. Cominciò a
chiacchierare anche con Gioconda e poi con certe sue amiche, mai conosciute ai
tempi della gioventù ma solo lì, nell'apoteosi dello stato vedovile. Non erano
però solo vedove le frequentatrici del cimitero. C'erano anche madri, povere
figure piegate dal dolore di un figlio perduto, spesso per motivi occasionali e
sciocchi, talvolta per malattie o errori diagnostici che nessuna causa penale
-anche qualora la si vincesse, il che non è certo- avrebbe mai rimediato.
In breve Matilde si accorse della quantità
di gente che si incontrava in cimitero, ma notò anche, con sorpresa, la
diversità dei rapporti umani lì dentro. La città era ormai invivibile,
degradata al rango di immondezzaio, frequentata dopo una certa ora solo da
delinquenti e, durante il giorno percorsa, anzi corsa a perdifiato, da un'umanità
indaffarata e stizzosa, incapace del più piccolo gesto non solo di solidarietà,
ma perfino di banale cortesia. Al cimitero invece, chissà per quale strano
mistero al quale non era certo estranea la presenza dei defunti, il contatto con
il prossimo diventava civile ed umano, o meglio lo ridiventava, come se un
incantesimo avesse portato indietro l'orologio della storia ad altri tempi:
quelli della gentilezza e della buona educazione. Comunque fosse la stessa gente
che al di fuori appariva diffidente e ostile, una volta entrata nel cimitero
abbandonava le proprie riserve, diventava amichevole e ben disposta, tanto che
chiunque poteva attaccare discorso con chiunque senza che nessuno si offendesse.
E non erano le solite vecchiette, sole e occupate nella difficile arte di
passare il tempo, ad essere socievoli -ché questo si sarebbe spiegato- ma anche
le donne di mezza età, i pochi uomini e perfino i rarissimi giovani in visita
estemporanea al sepolcro dei nonni. Tutto ciò accadeva mentre il resto della
città diventava sempre più aggressivo, in preda all'incuria e alla guerra per
bande. Così Matilde, che mai avrebbe pensato di arrivare a tanto, cominciò a
frequentare il cimitero, a vestirsi con particolare cura, a portarsi una
seggiola pieghevole per sostare in comodità presso la tomba del povero Renzo,
dove le amiche erano certe di trovarla. Fu un esempio contagioso. Presto anche
le altre si portarono la seggiola e, con l'estate, anche la sdraio, e poi una
rivista, il lavoro a maglia, un libro. E siccome già da prima si portavano
forbici e innaffiatoi, stracci, cere e detersivi, ecco che molte persone
cominciarono ad arrivare cariche di roba con borsoni sempre più grandi, poi con
sacche da palestra e valigie con le ruote.
Si ritornò presto ad un'antica usanza,
dimenticata da almeno un ventennio e di cui i giovani avevano appena sentito
parlare. Si trattava di camminare in su e in giù e di fermarsi a parlare con
quelli che si conoscevano, in quanto quelli che non si conoscevano sarebbero
stati comunque presentati da altri. Un tempo questa attività era praticata con
entusiasmo in centro, tra caffè e boutiques,
ora tutti spariti e sostituiti da negozi di abbigliamento con musica assordante
o fast-food di scarsa affidabilità
gastronomica. Fu Matilde la prima a notarlo quando, con due o tre amiche,
incrociando altri gruppi di donne che camminavano in senso opposto disse: «Sembra
di essere tornate ai tempi delle vasche! Fu così che incontrai mio marito,
quarant'anni fa». Furono tutti d'accordo, anche quelli che venivano dal sud,
quando fu loro spiegato che le cosiddette "vasche" non erano nuotate
in piscina, ma l'equivalente del loro "sdruscio". Da allora questi
termini furono ripresi e le signore, eleganti e profumate come se avessero
ritrovato qualcosa dei tempi perduti, presero a comportarsi come quando erano
giovani, in città o in lontani paesini. Camminavano, si incontravano,
chiacchieravano e si prendevano a braccetto, spesso cambiavano gruppo per poi
ritornare a quello di prima e ridacchiavano, bisbigliando tra loro, quando
vedevano qualche vedovo ancora prestante. Anche i pochi ambitissimi uomini
cominciarono a raggrupparsi tra loro. Preferivano stare presso una delle tombe
delle povere mogli e qui aspettare il passeggio guardando chi c'era e chi non
c'era con aria noncurante, talvolta fumando nervosamente, talaltra fischiettando
o facendo finta di niente, mentre i più tenebrosi ostentavano il loro distacco
ascoltando la radiolina con l'auricolare, ma intanto rimanendo lì. Nel
passeggiare le signore si fermavano all'una o all'altra tomba, spesso scoprivano
loculi di conoscenti di cui non avevano saputo più niente da anni, oppure
seguivano itinerari obbligati le cui tappe erano costituite dagli avelli di
amici e parenti di cui si raccontava la storia. Ed era tutto un infittirsi di
storie che attraversava il cimitero insieme ai gruppi: storie dei poveri morti e
storie di chi li aveva pianti, ricordati, onorati o, al contrario, dimenticati.
Questi sentimenti, del resto, erano già evidenti nella tomba in sé, sepoltura
o loculo che fosse, nella cura posta dai viventi, nella freschezza dei fiori,
nella lucentezza del marmo, nella presenza -che veramente tagliava la testa al
toro!- del lume votivo, che i più spietati dopo un paio d'anni non pagavano più
lasciando la tomba a parlar male di loro. Non valutabili, comunque private, ma
sempre indicative, erano invece le scelte personali. E se alcune tombe
mostravano un eccesso di ostentazione religiosa per via delle dimensioni
esagerate di statue e rilievi marmorei in atteggiamenti enfatici, altre erano
significative di una fede sobria e perciò più autentica, e altre ancora, senza
neanche una croce, testimoniavano una laicità esplicita e solenne, il dolore
dignitoso per un sogno in cui non si è creduto. Alcune, fregiate del simbolo
della donazione organi, dichiaravano un gesto generoso, compiuto in vita dal
defunto e ribadito dai suoi cari in un momento generalmente triste, in cui di
solito non si pensa agli altri, altre con doppio nome e spesso doppia foto
indicavano la cremazione di chi aveva voluto seguire, anche fisicamente,
qualcuno che aveva molto amato. Tante cose dicevano le tombe, soprattutto sul
conto di chi ancora vive!
Matilde -che pur non era una piccola donna
a cui non fosse rimasto altro- cominciò ad apprezzare le visite al cimitero, a
farne il momento cruciale della giornata, quello della socializzazione e dello
svago, provando, dopo anni di solitudine, la sensazione di essere capita,
apprezzata, considerata. Se non ci andava per qualche giorno, al ritorno le
chiedevano subito: «Come mai non c'eri nei giorni scorsi? Stavi male?». C'era
della sollecitudine affettuosa nelle amicizie cimiteriali, non falsata
dall'interesse che spesso offusca i rapporti tra gli umani moderni. Così il
cimitero cominciò a diventare il luogo "sociale" della città;
perduti ormai i bar e le caffetterie, i cinema e le vie fitte di negozietti, fu
il giardino della morte a prenderne il posto. Escluso il periodo della festività
dei defunti, quando arrivavano a stormi gli occasionali e volgari visitatori
annuali, -"quelli del due novembre", come li chiamavano, gente che
soffoca i sensi di colpa in enormi mazzi di fiori destinati a marcire in
solitudine fino a primavera inoltrata- e le signore si dileguavano; escluso quel
periodo, infernale ma per fortuna breve, il cimitero finì per diventare il
salotto buono della città, un salotto serio però, dove si parlava delle cose
che contano davvero: gli affetti, i ricordi, i dolori, le gioie, le speranze.
C'era chi si portava il caffè o il thè nel thermos per offrirlo alle amiche in
tazzine da campeggio, chi aveva un tavolino pieghevole e un mazzo di carte, chi
una colazione al sacco e insomma, in breve, tutti i frequentatori cominciarono
un po' a bivaccare, oltre che a passeggiare, con capannelli accomodati su sedie,
e d'estate c'era anche l'ombrellone, mentre qualcuno usciva a comprare gelati
per tutti. Così tra vecchie storie, di vivi e di morti, si svilupparono storie
nuove: amori, amicizie, simpatie, ma anche qualche antipatia e piccola rivalità.
In tal modo Matilde e Gioconda si ritrovarono ancora rivali per Armando, ma
stavolta fu Gioconda a prevalere conquistando l'aitante e maturo gentiluomo,
mentre Matilde, come già Gioconda quarant'anni prima, rimase con un palmo di
naso. Ma non se ne curarono più di tanto e la nuova coppia, formatasi per
tardivo riciclaggio, continuò a frequentare il cimitero per diverse ore al
giorno, in quanto solo lì ritrovava tutti gli amici, morti e vivi.
Il guaio era che il camposanto chiudeva
presto. Al tramonto il pesante cancello di ferro veniva implacabilmente serrato
e incatenato con un lucchetto e la zona diventava luogo di spaccio e di sesso
occasionale. Non si poteva far niente, purtroppo, e i tentativi, più volte
azzardati, da alcuni frequentatori ammanicati con il Comune erano andati a
vuoto. La Legge vietava l'accesso ai cimiteri nelle ore notturne, non si sa se
per paura dei fantasmi o per sbarrare l'accesso ai profanatori. Ecco che allora
una passeggiata romantica tra le tombe, al chiaro di luna o sotto le stelle, non
la si poteva fare. Dura lex sed lex. E
molta gente che volentieri sarebbe uscita di sera, come si faceva una volta,
doveva restare chiusa in casa a guardare, in mancanza d'altro, ignobili
programmi televisivi. Ci si telefonava, ma non era lo stesso parlare con uno,
quando si poteva, andando lì, parlare con tutti. Così le serate erano tristi,
le vacanze allo sbando, i fine settimana di una noia insopportabile. Ma per
fortuna c'erano i giorni normali, quando le compagnie sciamavano in cimitero con
valigie e bagagli contenenti i generi di conforto per rendere più ameno il
soggiorno.
Fu la tombola a rovinare tutto e la causa
involontaria fu proprio la coppia Gioconda-Armando. «Perché non facciamo una
tombola per Natale?» avevano proposto e subito l'iniziativa aveva riscosso
successo. Avevano fissato il prezzo a cartella, raccolto i soldi, -tanti, visto
il numero dei partecipanti- acquistato ghiotti premi e distribuito le cartelle.
La settimana prima di Natale, un venerdì freddo e soleggiato, erano arrivati
con sedie e tavolini, bevande calde e bottiglie di grappa. Si erano piazzati in
uno slargo e qui avevano cominciato a estrarre i numeri. Matilde tirava fuori i
dischetti numerati, Gioconda li faceva vedere alzando la mano, Armando, con la
sua voce da ex-baritono dilettante, li declamava. L'ambo, il terno e la quaterna
erano già stati assegnati e il gioco stava diventando appassionante, quando
alcuni Vigili in divisa capeggiati dall'Assessore ai Lavoro Pubblici entrarono
platealmente in mezzo il gruppo intimando: «Basta! Fuori di qui! È contro la
legge».
«Ma quale legge? Dov'è il reato?» domandò
Armando rimasto con un numero per traverso. Allora l'Assessore, con la consueta
protervia dei burocrati, gli sventolò sotto il naso un pezzo di carta, il
solito im-por-tan-tis-si-mo pezzo di
carta, la cui assenza o presenza in certi momenti cruciali può rovinare vite
umane.
«C'è un'ordinanza del Sindaco, caro lei.
Faccia meno l'arrogante» sbraitò.
«È lei che sta facendo l'arrogante!» gli
ribatté Matilde.
«Nome e cognome, subito!» disse
l'Assessore additandola a un Vigile e, indicando tavolini e sedie: «Via,
circolare! Avete cinque minuti. Sennò faccio ribaltare tutto!».
«Ma qual è il reato? Spieghi almeno la
motivazione che viene addotta per impedirci di giocare a tombola» chiese
Armando.
«È scritto sull'ordinanza. Non sa
leggere?». Armando guardò, ma era scritto a caratteri piccolissimi, con
qualche scarabocchio illeggibile che poteva essere stato tracciato da chiunque e
una serie di sigle e numeri di cui ignorava il significato.
«No, non so leggere. Me lo spieghi» disse
tristemente.
«Occupazione abusiva del suolo pubblico
senza licenza e pagamento della dovuta tassa sul plateatico! Ma che credete? Di
potervi cincischiare come e dove vi pare? Sgombrate o faccio usare gli idranti!
Avete ancora due minuti!» e l'Assessore ai Lavori Pubblici tacque, compiaciuto
della propria fermezza, gettando uno sguardo intimidatorio sugli astanti.
Immediatamente sparirono tavolini e sedie, cartelle e bottiglie, anzi sparirono
tutti i giocatori in una fuga di gruppo che nel giro di pochi minuti lasciò il
piazzale vuoto. L'Assessore si volse verso i tre rimasti. «E questa è la
multa!» annunciò consegnando un altro foglio. «Avete sessanta giorni per
pagare o ricorrere, sennò scatteranno le sanzioni». La multa era di
centoventunomilaottocentosessantasei lire e l'unica soluzione fu la colletta.
Da allora al cimitero ci si incontra da
cospiratori, ma ci si incontra. Si cerca di non essere mai più di cinque quando
si chiacchiera e i più vecchi hanno già paragonato questi accorgimenti a
quelli che si prendevano sotto la dittatura per evitare l'accusa di
"adunata sediziosa". E mentre nella città si infittiscono le rapine,
i furti, gli scippi, gli stupri, lo spaccio e altre attività consimili il
sindaco, per prioritari motivi di ordine pubblico, ha ridotto a tre ore l'orario
di apertura del cimitero e ha fatto affiggere sulla cancellata di ferro un
grande cartello che, a lettere di scatola, ordina: "Visite brevi".
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