Poesie da
In Boboli
di Liliana Ugolini
la Scheda del libro

Boboli
Come
ghiaccioli i prati a margherite.
La mia
nebbia cateratta è una cascata di stupori.
Succhi
d’acqua i fili emergenti
e terra
sgola la rinascita. Un turbinio di voci
è nelle
voci e s’intravedono caratteri d’uccelli.
Dall’inverno le foglie secche semi-nate
sugli
alberi severi
sorridono ai canti in cumoli d’età.
Così con
loro anch’io mi cingo d’erbe
e radico
di già.
Furtiva
arrivo alla panchina
sede di
ragni e mosche.
Il
territorio è loro nel giardino
e un
gatto ha una domanda negli occhi.
Sono
l’intrusa, colei che potrebbe
spolverare la panchina e far fuggire il gatto con un oh…
Piccola
come gli alberi mi fanno
sono in
difesa come loro. Quanto sappiamo
senza
ferire allontanati mondi
uguali
nell’incontro di quell’attimo?
Eppur
conosciamo la matrice
dentro
la pietra della panchina.
Radici e
fonde buche di alberi mancati.
Qua la
storia si sa dalla profondità di scavo
dove
d’alto c’erano linfe e vene.
Ora un
buio profondo cimenta
del
passato la storia che infinita
ritorna
proprio lì sbucata dalle membra d’un anfratto
nella
piantina precoce dal futuro ignaro
stupefacente d’essere sperando.
Fugacemente mare
Il mare
è l’orizzonte.
La folla
scorda a piedi la spiaggia
in
vetrine. Camminata sui fianchi
la buffa
parodia.
Piove la
Pasqua rosa caramello
e
assorda il Jokey al Bar.
Lo
tzunami cancella l’infinito
e
l’orizzonte è fisso e in attesa.
Il gioco
delle seduzioni
è il
niente che corre violento
in
asfalti.
Il porto
luccica in legni e metalli
muti al
momento d’ogni storia.
Lambiti
fianchi beccheggia
la
lingua. Un tuffo d’oceani
smemora
in secca le tempeste
d’ogni
tempo. il prezzo ( alto)
s’incrocia di vele sopra il molo.
Dopo gli
inverni l’età cresce di sole
e scorre
dell’uguale stagione.
Odora
terra -mare al becco
e il
verme saporito l’attimo vivifica.
Straordinariamente cellule
ci
confondiamo noi dentro perché.
Ascolti
Un
attimo di sopraggiunta sparizione.
Il
tempio vuoto riecheggia la storia
di
panche in fila nel ronzio d’un ape.
Tace
l’organo, spente le luci.
Il
pavimento memoria riposi
e le
colonne restano nel crocifisso.
La porta
che s’apre nasconde il suo buio
d’un
fuori accecante. L’ascolto
è
silenzio che perde pensiero
nel
perfettibile. La Fede
vorrebbe
fermarsi.
Miei
libri di autori infiniti
quanto
d’essenza compresi
vivono
svaniti in memorie,
quanto
parole vergate hanno formato
geroglifici di coscienza e quanto
d’immagini cancella (invano)
la punta
incisa.
Stamani
c’è un insolito frastuono di potature
e i
tronchi in sotterrate radici, ridono a chiose.
Si
frantumano spazi di silenzio e s’intravede un fauno.
Fattivo
è contenere la natura che dolce adagia in borracine
il
compianto d’erbe. Voci appena giunte
subiscono la dimensione del cinguettio
uguali
nella loro somiglianza.
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