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Achab

Uomo di mare e navi, di reti e d’arpioni,
sempre in cerca della Balena Bianca,
urli ed improperi detti a chi ti ferma.
Sempre vai con la ciurma imbronciata
a coglier sangue sulla schiuma cerea.
Lo sai che la tua bocca guida un percorso
e il dorso emerge quando sotto
la chiglia rompe il flusso.
Erompe dagli abissi il rombo d’una voce infinita
uomo
che tenti di soggiogar natura
e lì tra flutti, impigliato sarai dentro le reti
che la bocca imbrunata si richiude.


Boboli

In titrillo di gole, voli e calabroni
dalle foglie-penne di toni. Il fu qui sta,
incombe e, pietre come tombe,
il presente memorano eppur bellezza
d’una forza estrema scompiglia il tempo
e torce i tronchi. Tutto è voce. Le statue
immobili sembrano metter punto e Minerva è qui
e Giunone è mangiata. Bianco il cavallo arranca
alla giostra e corpi armonici si restaurano.
Nebbia differisce il velo attorto, secchi stecchi
celano la vita. Statico qui il cambiamento rode l’orecchio
e la fontana canta l’accaduto. Noi, le statue, raffigurati
in giochi celiamo il filo della ripetizione e la coscienza è parte
d’un sistema che si può spezzare. Marionetta complessa
è questo andare che non si ferma all’angolo a guardare.
Ora è quel velo di nebbia o la magia, ch’è dolce.

Altro d’un altro giorno dell’eterno passato
qui si spiega. Genuflesso e immenso nella gloria
di gole cinguetta ed urla l’attimo imprendibile
e fisso mi risuona Malher in eco e in rimembranza.
Come un volto finito in mille volti di lacca scorre
la metamorfosi e mi domando se questa primavera
gonfia sa della perdita. Ora m’abbaglia il passo
d’un bambino esterefatto dalla sua farfalla.


Buratti e Burattini

Il burattino s’anima di mani.
Sfiora la testa, ride d’occhi
e le manine sgomente alzano
al cielo lo stupore per caduta,
inerti nel biancore d’un grembiulino bianco.
La voce narra e il burattino
sensibile si muove con la grazia del cuore
del burattinaio. Insieme fanno persona
che narra la storia fuori dall’artificio.


Eco

La corsa ferma un’ istantanea
di corpi in fuga. Elegiaca.
Il tempo è lì, catturato dall’armonia.
L’inizio è l’andare nella decostruzione
fra plastiche gettate, stendini di panni,
bottiglie, contraffazioni, violenze.
Rialzarsi ogni volta dalla sepoltura
con grandi occhi, in moto continuo.
Assecondandone il suono,
eco di terra ed astri,
per la grande domanda del diluvio.


Il ritratto

Nella stanza folgorata simbiosi.
Tu lavori a colori-forme in difforme.
La spatola con decisa mano traccia braccia ventre e pelli.
Fiumi ancor diesis d’espressioni
trancian di scavi volti e parole.
Un cipiglio d’acqua passa il pennello acceso
e l’incavo è la linea curva sopra lo spessore del fondo.
Passa e ripassa la concretezza
che s’appiglia al terraneo trasloco dell’inconscio.
Del tuo guardarmi come mai
so che non vedi. Misuri le distanze con gli occhi
e son spazi o divinazioni d’uno strappo interiore.
Dirai quel che io sono o puoi immaginare
e nella piega perdente vedrai divinità.
Curiosare non posso mentre poso in studiolo di scrittura
per una futura rimembranza d’ immagini.
Una voce blanda accompagna la mano destra
(un concerto per la mano destra è questo lavorare in ascolto
di blu o rosati in basso continuo).
Dei nostri giochi ora seriamente sta la trasformazione
in semi che resiston di radici ai tagli.
Un tempo condensato di papiri e tele
ora son basi per presenti appigli
fuori da contrasti procurati
(una bolla che sta al di là d’un reale scontato)
vera finitudine d’arie e congeniale.
Come gocce, le atmosfere
cadono sulla tela a sorvolare estensioni.
Tu mi fermi in segni e densità,
dove resto nei nodi, colta al volo.

autore
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