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Al di là del perdono
prefazione a Imperdonate
Paolo Vannini
Il testo di Liliana
Ugolini contenuto in questo libro, che dialoga con le
immagini viscerali e perturbanti di Laura Viliani, e dal quale
è stata tratta
anche una rappresentazione teatrale con l'intesa interpretazione di Sabina
Cesaroni, s`iutitola Imperdonate. Già il titolo chiamna in causa il
tema del
perdono e per questo cercherà di fare qualche osservazione sull'argomento.
Lo
farò parlando in generale del perdono, senza addentrarmi in un'analisi
specifica e dettagliata del testo. Prima di tutto perché esso
è così bello
che sicuramente lo sciuperei. E poi
perché non voglio togliere il piacere e la curiosità di leggerlo anticipandone i
contenuti. Personalmente, se c'è qualcosa che mi irrita,
è quella di essere sul
punto di leggere un nuovo libro e trovare qualcuno che me lo racconta e magari
me lo analizza o mi dice come va a finire.
Quindi parlero del perdono in generale. Ma voglio premettere che usando
il
termine perdono intendo
vero perdono. Non è vero
perdono quello di chi dice solo a parole ti perdono ma mantieue dentro di sé risentimento
e rancore. Questo è perdono solo apparente, e il perdono solo apparente non
è
perdono. Vero perdono è
quando una persona chiede sinceramente scusa per un male che ha commesso
oppure, dopo aver subito un'offesa, reale o percepita come tale, riesce a
depurare il suo cuore da ogni sentimento di odio, rivalsa, rancore e così via.
Il perdono, o è vero perdono o non
lo è. E, a seconda del punto di vista, si
configura essenzialmente in due modi: dalla parte di chi offende, si tratta di
arrivare a chiedere perdono, dalla parte di chi
è offeso,
si tratta di arrivare a perdonare.
In entrambi i casi però il perdono non
è facile.
Il perdono non è facile mai.
È facile a dirsi. parlarne, ma molto
difficile a farsi. È difficile chiedere perdono,
è
difficile perdonare, è difficile perfino accettare di essere perdonati.
ed è difficile anche perdonarsi perché a voite
facciamo qualcosa di cui poi ci pentiamo amaramente e diventa difficile
perdonare noi stessi di aver fatto quella cosa. Fabrizio De Andrè scrive in una
delle sue straordinarie canzoni che gli uomini "lo sanno a memoria il diritto
divino, e scordano sempre il perdono". Ed è tanto più
difficile quanto più l'offesa
è
grave e il dolore è grande. È possibile perdonare chi ci ha ucciso una persona
cara? E, su un piano collettivo, è possibile perdonare Auschwitz? Viene forse da
pensare che esista l'imperdonabile, ossia ciò che non può essere umanamente
perdonato. Anche se mi è capitato di leggere testimonianze sconcertanti
per esempio di persone ebree che, dopo aver vissuto nei
campi di concentramento e aver avuto le loro famiglie sterminate, sono riuscite a
perdonare i loro carnefici. Forse allora tutto è
possibile.
E che il perdono sia difficile significa anche che
il vero perdono non è poi così frequente e abituale, ma
è
relativamente raro. Forse non è male che sia così: il perdono
è
merce rara, preziosa, ed è bene non svenderla a basso prezzo. Se
una persona perdona troppo facilmente, perdona tutti e subito, c'è da diffidare. Così come non si può perdonare subito, non si perdona in un
solo istante. Il perdono ha bisogno di tempo, e di un lavoro, è come un
organismo ha bisogno di un suo tempo e di un suo lavoro, per rimarginare una
ferita del corpo, così anche
l'anima ha bisogno di tempo e di fare un lavoro
perché si rumrgini una ferita ricevuta.
Quindi il perdono è
frutto di un lavoro, di un'elaborazione, di un'attività che richiede tempo,
l'esito di un processo difficile e doloroso, una capacità che
va acquisita. Erich Fromm ha scritto un libro bellissimo, e
famosissimo, sull'amore, intitolato L'arte
d'amare. Anche a proposito del perdono si
potrebbe dire che si tratta di un'arte, e che dovremmo acquisire l'arte
di perdonare; un'arte certameme difficile da imparare
è però, anche,
accessibile a tutti. sempre, a qualunqne età.
Non si è mai troppo vecchi per imparare a perdonare.
Ora il contrario del perdono
è il non-perdono, ossia la vendetta. Ci
sono tanti modi, anche raffinatissimi. di non perdonare, ma sono
altrettanti modi di vendicarsi. E il perdono si definisce prima di tutto proprio
come rinuncia alla vendetta. Tuttavia entrambi.
sia il perdono che la vendetta, vengono dopo, in seguito a un fatto, una volta
avvenuta l'offesa; entrambi presuppongono il danno, dopo il quale si apre
appunto l'alternativa se perdonare o vendicarsi.
Abbiamo detto che il perdono
è difficile. Difatti la vendetta è
certo la risposta più facile, più immediata, più automatica, anche più primitiva, più arcaica. Se qualcuno mi fa del male la
risposta più immediata è
quella di odiarlo e di volergli rendere del male. Ecco si potrebbe evidenziare
un primo tipo, una prima figura della vendetta, nel personaggio biblico di
Lamech. Si legge nella Genesi il celebre canto di Lamech che dice alle
mogli: «ho ucciso un uomo per una
mia scalfittura e un ragazzo per
un mio
livido. Sette volte sarà vendicato Caino ma Lamech settantasette». Settanta
sette volte significa sempre. all'infinito, senza limiti. Lamech rappresenta
una prima forma della vendetta, la più arcaica, la vendetta infinita,
illimitata, assoluta, che si potrebbe esprimere così: rispondi al male con più male, con
un male senza limiti; a un
male finito rispondi con un male infinito.
Ma è chiaro che se tutti seguissero questo
principio verrebbe a crearsi una spirale tale di crudeltà e di violenza che
renderebbe impossibile qualunque forma, anche la più elementare, di convivenza
umana. E allora si capisce che sorga storicamente
l'esigenza di limitare la
vendetta. Espressione di questa esigenza è la ben nota legge del taglione (occhio per
occhio dente per dente). Generalmente questa legge è per noi
sinonimo di crudeltà ma essa nasce proprio per limitare la crudeltà e la
vendetta sottoponendole a un principio di proporzione e di giustizia: ci dev'essere
giusta proporzione fra offesa e vendetta. Ossia se qualcuno ti toglie un
occhio, anche tu levagli solo un occhio, non due. Se il principio di Lamech era
''al male rispondi con un male più grande".
La legge del taglione dice "al male
rispondi con lo stesso male". La parola
taglione viene da talis (tale, da cui
legge del talione), ossia qual è
l'offesa. tale dev'essere la vendetta. È legge
applicata più o meno in
tutte le società antiche, e
ne libro dell'Esodo, nell'Antico Testamento,
è
consegnata da Dio stesso a Mosè. Ora la legge del taglione, come espressione di
vendetta limitata, è storicamente
un grande progresso rispetto al
principio di Lamech, e tnttavia rimane sempre vendetta,
è ancora
rispondere al male col male.
A questa legge si contrappone poi. storicamente, la
legge del perdono. E
il
momento culminaute dell'affermazione del principio di perdono, nella nostra
cultura, si ha con la figura di Cristo. Nel
Vangelo di Matteo, quando Pietro chiede «Signore,
quante volte
dovrò perdonare mio fratello, se pecca contro di me, fino a sette volte?»
Cristo, con esplicito riferimento a Lamech risponde «non sette
ma settantasette volte». Ossia a Lameck, che affermava
una vendetta
assoluta, Cristo contrappone il perdono assoluto. E a proposito della legge del
taglione si legge net Discorso alla
montagna: «Avete sentito che fu detto occhio per occhio dente per dente ma io vi
dico di non opporvi al malvagio: anzi. se uno ti percuote la guancia destra. porgigli anchc
l'altra...
e avete sentito che fu
detto "amate i
vostri amici e odiete i vostri nemici" ma io vi dico "amate i vostri nemici».
Qui Cristo
contrappone alla vendetta limitata il perdono illimitato. Non più
"rendi
male al male" ma "rendi bene al male".
E rendi bene al male per amore ossia
senza chiedere niente in cambio, come un dono disinteressato, gratuito, offerto
senza alcun tipo di calcolo. Perdono
significa appunto dono, anzi dono per eccellenza. dono più alto
tra
tutti i doni. super dono.
E
Cristo, sulla Croce, dona il perdono ai suoi assassini,
muore senza odio, senza rancore nei confronti di coloro che lo uccidono, pronunciando
le parole "Padre,
perdonali, perché non sanno
quello che fanno".
Se dunque la legge del
taglione è un progresso rispetto al principio di
Lamech, il
perdono è a mio giudizio
un progresso rispetto alla
legge
del taglione. Dice Ghandi che se tutti
vivessimo secondo la
legge del taglione
tutto il mondo sarebbe
cieco.
Ma vendetta e perdono
sono qualcosa di complesso. non di
semplice: contengono molti elementi, e sono espressione di molti bisogni.
Nel perdono si sta nel dolore, si soffre per
il danno e la perdita. Nella
vendetta invece c'è
distrazione dal dolore, ci si sposta dalla stanza del dolore a quella dell'odio,
del rancore, o anche del piacere, trasformando il dolore nel piacere di far
soffrire l'altro, magari anche facendolo sentire in colpa o facendogli provare
rimorsi. Non si può capire come la vendetta possa essere una passione
così potente se non si capisce che risponde a un principio di piacere. Ma essa
è
soprattutto una strategia di fuga dal dolore: e un'incapacità
di tollerare che, col danno, qualcosa sia cambiata. ci sia stata una
trasformazione e quindi una morte giacché quando c`è trasformazione c'è sempre
qualcosa che muore. Qui la vendetta ci mette di fronte a quell`intolleranza
verso il dolore e la morte che forse è la radice di ogni intolleranza.
Nel perdono c'è il tentativo di riconoscere le proprie colpe, i
propri peccati, le proprie responsabilità,
la propria parte attiva nel
distruggere o di complicità nel provocare il danno. Per esempio, se l'altra mi
ha abbandonato, la capacità di domandanni cosa ho fatto io perché questo
avvenisse. Ossia c'è confessione, e perciò
verità, perché confessarsi
significa dire la verità a se stessi: ed anche
umiltà: l'offesa forse mi informa
che c`è qualcosa di me che devo rivedere, può essere un'opportunità
preziosa per ripensarmi, per un cambiamento e una crescita. Nella vendetta, al
contrario, c'è espulsione della colpa. Le proprie colpe e i propri
sensi di colpa non sono visti ma tutti proiettati nell'altro. E l'offesa diventa
l'occasione che autorizza a liberare la propria aggressività
distruttiva scaricandola sull'altro: lui
è colpevole, io sono vittima
innocente. Dove in realtà io aggredisco l'altro come lui ha aggredito
me, mi faccio identico a lui, mi identifico con lui. scendo sul suo piano,
accetto in sua logica e perciò in fondo, gli do ragione. La vendetta si basa
snll'identificazione con l'aggressore.
Nel perdono c'è libertà. Quando si perdona si prova un senso di
liberazione. Il perdono Iibera: ha forza catartica e purificatrice perché
purifica dal rancore e dall'dio. Nella vendetta invece c'è schiavitù. Stando in essa sono
prigioniero prima di tutto delle mie fantasie punitive,
dei miei pensieri
aggressivi, dei miei pensieri e cioè di me stesso. carcerato
e carceriere
insieme. I pensieri negativi hanno un effetto boomerang: li lanciamo contro
l'altro e ritornano immancabilmente verso noi stessi.
Nel perdono c'è apertura. Proprio perché non sono più prigioniero
dei pensieri che mi ricordano sempre l'offesa e mi incatenano al passato,
posso aprirmi al presente, alla realtà che vivo qui e
ora, e alle
molteplici possibilità che la vita sempre ci offre.
Nella vendetta,
di contro, c'è
chiusura e immobilità, perché consiste nello star fermi. in modo monotematico,
a crogiolarsi nella rabbia, a compiacersi di fare la vittima, a riciclare sempre lo stesso odio. Così la vendetta diventa un
alibi per non cambiare, e i fantasmi del passato ci impediscono di avere
contatto con la realtà presente e di gustarla.
Nel perdono c'è
accettazione della limitatezza e debolezza umana, nostra e quindi anche
dell'altro. Riconosco che non sono né perfetto
né invulnerabile: sono stato
ferito, quindi sono feribile, e a mia volta ferisco. Così posso capire che
anche l'altro sia limitato e abbia le sue debolezze. Nella vendetta
ci sono piuttosto narcisismo e onnipotenza. Punisco l'altro perché
mi ferisce,
ossia non è come io mi aspetto, come voglio che sia,
non è uguale al mio ideale dell'altro come
tutto buono, che dovrebbe, narcisisticamente, solo gratificarmi. E se non
è
tutto buono, è tutto cattivo. E io sono tutto buono.
Anche la minima offesa può suscitarmi un intenso desiderio di
rivalsa perché in realtà non perdono all'altro, con la ferita che
mi
infligge, di distruggere l'immagine narcisistica e onnipotente
che ho di me.
Nel perdono c'è pace. calma, serenità, gioia, senso di rinascita.
Il perdono trasforma, questa
è la sua potenza. Trasforma noi, e perciò
il mondo perché' quando noi cambiamo il mondo cambia, e col perdono diventa
molto più luminoso. Inoltre cambiare noi stessi
è anche il modo migliore per provocare un
cambiamento nell'altro. Certamente non avremo
la potenza di
cambiare nessuno serbandogli rancore, col rancore cambiamo piuttosto noi stessi,
ma in peggio. Nella vendetta c'è guerra, distruttività, rancore,
latteggiamento mortifero di fare un deserto delle nostre parti più belle. C'è in essa
il senso del
tradimento, ci si sente traditi dall'altro, ma il vero tradimento viene da noi, e
il tradimento delle nostre possibilità di amare perché se tutte le nostre
energie sono impiegate ad odiare non possono essere disponibili per amare. l.a
vendetta tra l'altro
è anche un comportantento molto
antieconomico: richiede uno spreco enorme di energie, spese davvero nel modo
peggiore.
Nel perdono
c'è fiducia e sperauza: in noi,
che la ferita non ci annienterà: nell'altro,
distinguendo il fatto dalla persona: il fatto
è
orribile ma la persona non lo è, ha le sue parti buone. Il perdono risponde
prima di tutto al bisoguo di salvare
l'altro: ossia il nostro affetto per
l'altro,
la nostra parte interna buona che
l'altro rappresenta. E poi fiducia e sperauza
nella vita, nel futuro: il perdono
è una scelta di non violeuza e scommette su
una vita e un futuro liberati dalla violenza.
Fiducia e speranza nel
rapporto, che può rinascere rafforzato, dopo
l'esperienza del tradimento. Se
tutto questo avviene si apre la possibilità della riconciliazione, di
riconciliarsi con l'altro, se egli vorrà. E riconciliarsi vuol dire
far veramente pace con l'altro,
riabbracciarlo davvero. far sì che il
nemico ritorni amico, anzi diventi un
nuovo amico, perché il rapporto che
si crea dopo il perdono non è lo stesso che c'era prima dell'offesa,
è un rapporto nuovo. Nella
vendetta è invece preclusa ogni possibilità di riconciliazione. C'è sì la
creazione di un legame potentissimo con l'altro, ma basato sull'odio, che spesso
lega più dell'amore. E dove all'altro diamo un grande potere, quello di far
dipendere da lui la nostra felicità e la nostra infelicità.
Così lo facciamo due volte più grande di quello che
è, ossia non lo vediamo più com'è realmente
ma diventa un nostro fantasma. Si tratta però di capire che questo legame può
essere così potente perché fa ottenere un grande vantaggio, quello di proteggere
dal terrore della solitudine: se sono legato a un altro dal potente legame della
vendetta e dell'odio, sono legato a un altro, cioè non sono solo.
E ci accorgiamo che stiamo cominciando a perdonare quando iniziamo a provare più dispiacere, e
senso di pietas, che rabbia. e ci sorprendiamo a desiderare più il bene che il male dell'altro.
Oggi vediamo molto spesso e in molti luoghi del mondo, purtroppo, la vendetta
in azione. Ma per fortuna si è fatta anche molta strada la fede nel perdono, e
nella sua forza salvifica, perfino terapeutica. Alcune tecniche psicologiche
oggi cercano infatti di guarire certe sofferenze psichiche aiutando le persone
sofferenti ad imparare a perdonare. Molti affidano al perdono perfino la
salvezza del mondo; visto che la vendetta minaccia concretamente di
provocarne la fine. E del resto la saggezza popolare dice da sempre che "la
miglior vendetta è il perdono''.
E tuttavia, se finora ho cercato di mostrare la superiorità del
perdono sulla vendetta, ciò non significa che il perdono, e la fede nel
perdono, siano qualcosa di indiscutibile. Il principio di perdono e a
mio
parere superiore al principio di vendetta. ma ciò non garantisce che sia
superiore a ogni principio, a ogni principio pensabile, possibile. Proporrei di
provare a mettere in dubbio la fede nel principio di perdono. Discuterla,
problematizzarla. Cominciare a chiederci seriamente se sia possibile andare al
di là del principio di perdono. E non certo per torrrare alla
vendetta, ma per aprire la possibilità di pensare che, se il principio di
perdono è un superamento della vendetta, possa forse
esistere un principio che sia superamento del perdono. Aprire la
mente alla
possibilità di scoprire un territorio che stia al di
là della vendetta e del
perdono. Territorio ancora, per noi, largamente sconoscinto, tutto da
esplorare, forse appunto per esplorazioni, esperimenti, tentativi. Compito
arduo, certamente impari rispetto alle mie forze.
Quando mi è stata indicata la lettura del testo di Liliana
Ugolini, mi sono posto il problema, giocandoci un po', di come poterci
rapportare, noi che lo leggiamo, alle sei donne
imperdonate
che di quel testo sono protagoniste. Forse per vendicarci? No davvero. Forse allora per poterle,
finalmente, perdonare? Già meglio, mi sono
detto, eppure sentivo anche in questa soluzione qualcosa di stridente.
C'era qualcosa che non mi tornava. Noi perdonare Eva,
Antigone, Medea? E magari dire solennemente, evocando
idealmente con una fantasia la loro presenza:
«Eva. Antigone, Anna,
noi finalmente, dopo tanto tempo. vi perdoniamo».
Mi è venuto proprio spontaneo dire: «ma
di che cosa? E poi chi siamo noi, chi siamo noi per
perdonare, e perdonare figure così grandi di donna?» Tra l'altro
credo proprio che loro non abbiano uessun bisogno di essere perdonate
da noi. Anzi, forse, nemmeno lo
vorrebbero, non vorrebbero che noi le facessimo diventare le perdonate,
perché il perdono presuppoue in fondo
un giudizio, una colpa e una condanna. Sarebbe come dire
«noi vi perdoniamo della
vostra colpa» cioè avete colpa, siete
colpevoli: e per la vostra colpa vi condanniamo
ma poi clementi vi perdoniamo, cioè
cancelliamo con un colpo di spugna
i vostri peccati. che si mettono in mezzo tra noi e voi:
la tua colpa, Eva, di aver
disobbedito, la tua, Alma, di aver lasciato la famiglia e
di esserti uccisa. Ma così
ci mettiamo nella posizione di Dio
che giudica, condanna la colpa e
poi la perdona. Ecco, se questo avvenisse,
penso proprio che queste donne vorrebbero restare
imperdonate. E tra l'altro
credo anche che, se le perdonassimo. perdoneremmo davvero
solo i nostri fantasmi di Eva, Antigone,
Medea etc.
Allora mi sono detto
che forse un altro
modo, diverso dalla vendetta e dal
perdono, può essere quello di rapportarsi loro,
e in
generale all'altro, a chiunque altro, anche dopo il danno, senza pregiudizi, e
nemmeno aspettative, ma con sensibilità,
sentendo, sentendo per esempio quello
che queste figure di donna ci suscitano: accogliendo le sensazioni e le
emozioni che ci danno. Perché possiamo avere tante idee
dell'altro, più o meno sbagliate, ma ciò che sentiamo è ciò che
ci viene dalla realtà dell'altro; è il sentire che ci permette di essere in
contatto con la realtà e di stabilire davvero un rapporto con
l'altro, dissolvendo i famtasmi: il che non c'è nella vendetta, ma non è
affatto detto ci sia nemmeno nel perdono perché ci si vendica di un proprio
fantasma ma si può anche percorrere tutto il processo del perdono, dall'inizio
alla fine, dialogando soltanto con i nostri fantastni, e perdonando una persona
che esiste solo nella nostra fantasia.
Porsi con sensibilità vuol dire aprire i
sensi, gli occhi e gli orecchi, e perciò voler vedere
l'altro, liberandolo
dalle proprie proiezioni,
e ascoltarlo, porsi in
un atteggiamento di ascoho.
Ed è chiaro che possiamo davvero vedere
e ascoltare solo quando siamo
mossi
da un autentico interesse per l'altro, e
da un
movimento di curiosità, che permette l'apertura della domanda "ma
chi è l'altro?"
Una domanda che non c'è nella vendetta, ma per lo più non
c'è nemmeno
nel perdono. Senza
giudicare, senza colpevolizzare, senza andare a caccia di colpe, ma cercando di comprendere. Forse
l'atteggiamento migliore, per rapportarsi
a queste sei donne, è non quello di perdonare, ma di cercare di comprendere. Non
perdono, ma comprensione. E forse potrebbe valere
la pena di esplorare,
timidamente, confusamente, nel
mio caso, ahimé, molto confusamente, se
proprio la comprensione possa essere
un terzo principio in grado di andare al
di là della vendetta e del perdono.
Ma dicendo comprensione non intendo solo comprensione intellettuale,
capace cioé
di capire non le colpe ma le cause, le ragioni, i motivi delle
scelte e della
vita di una persona. Il che e un aspetto importante ma da solo
è freddo e resta alla
superficie. Intendo piuttosto quella vera comprensione, calda, profonda, che può
venire solo dalla partecipazionc emotiva alla vita dell'altro. dall'atteggiamento di porsi al suo fianco per rivivere insieme la sua esperienza e
condividere le emozioni di cui essa
è intessuta. In greco condividere le emozioni
è *** da cui simpatia, la capacità di provare insieme emozioni,
io preferisco simpatia a
empatia. Empatia significa essere nella stessa
emozione,
fondersi completamente, diventare uuo con
l'altro. Però per comprendere non ci
si deve identificare del tutto ma occorre stare, per così dire, con
un piede
dentro e uno fuori: non tutti e due fuori, perché allora siano troppo
lontani per
vedere bene, ma nemmeno tutti e due dentro
sennò siamo troppo vicini e non
possiamo vedere, come
non vediamo più una cartolina se
l'avviciniamo troppo agli occhi: in
questo caso ci
identifichiamo totalmente eon
l'altro c finiamo per essre anche noi
dominati dalle sue
stesse dinamiche, senza
mantenere quel minimo di
distacco dalla situazione che è necessario per poter capire, essere obiettivi e
conservare una possibilità di critica.
nell'empatia da due si diveuta uuo, e si
prova la stessa emozione.
Nella simpatia siamo con, insieme, accanto, ma potendo trovare
anche emozioni diverse in relazione alla stessa esperienza, ed
essendo vicini pur rimanendo due.
Ecco questo intendo con il termine
comprensione, che indica l'atteggiamento sul
quale vale forse la pena di riflettere per capire se abbia i titoli per pretendere di essere
un
terzo principio capace di andare al di là
della vendetta e del perdono.
E a questo
punto non resta che godercelo,
il bellissimo testo
delle Imperdonate, e a me
non resta che concludere
proponendo anche agli altri lettori il suggerimento che
do a me stesso, e di cui poi essi faranno ovviamentc ciò
che riterranno opportuno,
quello di entrare in rapporto con l'altro
con chiunque altro ma in questo caso con queste
straordinarie figure di donna, al di là
della vendetta e del perdono,
con sensibilità, interesse,
curiosità, con un atteggiamento
di ascolto, e soprattutto con
comprensione e, nel significato che ho cercato di
chiarire, con simpatia.
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