Gli schiamazzi dei rivoltosi, le lagne delle élite americane, il
silenzio su Santa Sofia. La scrittrice che ha immortalato il genocidio
della prima minoranza cancellata dalla storia parla di Occidente orfano
di simboli e intellettuali cristiani
«Accidenti»: quando spiegarono ad Antonia
Arslan che la giuria del Premio Internazionale Medaglia d’Oro al
merito della Cultura Cattolica aveva deciso all’unanimità di assegnarle lo
stesso riconoscimento andato ad Augusto Del Noce, Joseph Ratzinger, Luigi
Giussani, Hanna-Barbara Gerl Falkovitz, l’eccezionale scrittrice di origini
armene si trovava, come tutti, in clausura, confinata nella sua amata casa a
Padova.
CORAGGIOSA TESTIMONIANZA DI FEDE
Arslan è dunque la vincitrice della 38esima edizione del Premio. Dando
l’annuncio proprio oggi, Francesca Meneghetti, presidente della Scuola
di Cultura Cattolica di Bassano del Grappa, ha detto:
«Il premio assegnato quest’anno valorizza una scrittrice di fama
internazionale, che ha narrato la storia di uno dei più antichi popoli
cristiani. Antonia Arslan ha dato un contributo fondamentale alla conoscenza
della storia armena in Italia, ed è tutt’ora un riferimento di spicco del
mondo culturale: in molte occasioni ha dato una coraggiosa testimonianza di
fede, senza cedere al politicamente corretto. Le sue opere, pur descrivendo
il dramma del genocidio armeno e le sue terribili conseguenze, non hanno mai
smesso di lanciare messaggi di speranza e di cercare la bellezza, in tutte
le sue forme»
La cerimonia di conferimento del Premio si terrà a Bassano del Grappa (VI)
venerdì 20 novembre alle ore 20:30 presso il Teatro Remondini.
CERCARLO DAPPERTUTTO
Era squillato spesso il telefono nelle settimane seguenti il 2 febbraio, quando
«in un’alba scura e polverosa gli tenni la mano sul cuore e gli dissi: “A
presto, amico della mia vita”». Un breve addio
alla vita intera del marito Paolo Veronese, seguito da giorni
trascorsi a «cercarlo dappertutto» per le grandi stanze abbandonate. La
compagnia della figlia Cecilia, impossibilitata a tornare in Grecia quando venne
proclamato lo stato di emergenza, le carte, gli scampoli di una vita da docente
di Letteratura italiana all’Università di Padova, i libri “trascurati”, le
puntate di Star Trek, qualche buona idea da trasformare in racconto: erano
trascorsi così i giorni di «casalinga solitudine, in cui antiche paure di
malefici e di contagi tutti ci opprime» – in cuore un tacito grazie per aver
potuto accudire il marito con medici e infermiere prima che si trincerassero a
combattere il Covid, il silenzio innaturale che gravava come un grosso masso di
pietra sulla città rotto dallo solo dallo squillare del telefono.
LA CHIAMATA, IL PREMIO, «ACCIDENTI»
«Mi chiamavano per chiedermi articoli, recensioni, rubriche, per sapere cosa
stessi leggendo e raccomandarmi – da che pulpito, amiche di poco più giovani di
me! – di stare in casa pasticciando con questo gergo malsano d’importazione
americana: lockdown», racconta a Tempi la
vivace autrice de La
masseria delle allodole -. È il termine che designa
l’isolamento di un detenuto evaso o il confino nelle celle dei prigionieri in
seguito a disordini e invito chiunque a non usarlo». Poi un giorno, dall’altra
parte del telefono non ci sono amiche apprensive o giornalisti ma Cesare
Cavalleri, direttore delle Edizioni Ares e del mensile Studi
Cattolici, e il professor Lorenzo Ornaghi, direttore dell’Alta Scuola di
Economia e Relazioni Internazionali dell’Università Cattolica del Sacro Cuore;
le spiegano il motivo della chiamata, le annunciano che il Premio le verrà
consegnato a novembre: «accidenti», pensa Arslan riflettendo su chi l’ha
preceduta e le cose che non capitano per caso.
«DOVE SONO OGGI LE PENNE CATTOLICHE?»
«Tre le tante carte riemerse durante la clausura come dopo un naufragio ho
ritrovato un foglietto sul quale avevo trascritto molti anni fa una piccola
poesia di un poeta dell’epoca di Shakespeare, Thomas Nashe. S’intitola, pensate
un po’, Tempo
di pestilenza e dice: “La luce scende dall’aria,/ regine sono morte giovani
e belle;/ la polvere ha chiuso gli occhi di Helen./ Io sono malato e devo
morire./ Che Dio abbia pietà di noi». Quando le chiediamo quindi perché di grida
forti di fede iscritta in un destino nel mondo della cultura non ne udiamo più
Arslan rammenta «il clima anticattolico pervasivo che in tanta parte del mondo
diventa persecuzione, morte, sangue. Sarebbe un errore sottovalutarlo, così come
è un errore chiudere gli occhi davanti alle fiamme che si sono levate da ventuno
chiese di Francia, la distruzione e l’abbattimento di lapidi nei cimiteri
ebraici, le esibizioni che scherniscono immagini e simboli sacri. Ridicolaggini
immonde, quest’ultime che non meritano neanche l’aggettivo blasfeme, certo è che
non vedo molti eroi della penna, poeti, scrittori, giornalisti pronti a
giudicare i fatti per quello che sono, scrivere per chi non può o non riesce a
levare null’altro che una voce esitante, incespicante. In compenso, abbondiamo
di autoanalisi, riflessioni egoriferite, esercizi colti centrati su se stessi. È
innegabile notare una sorta di assenza di amore fervido per la propria cultura,
per il popolo cattolico».