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Pietre
Ho
ricevuto per posta l’ultima pubblicazione poetica del caro amico Giovanni Di
Lena pisticcese di nascita e di vita dal titolo “pietre”, in carattere corsivo e
stampato in rosso.
Seguo il suo svolgimento “per versi” “di versi” e “con–versi” da quando ha
infilato una serie di pubblicazioni che lo definiscono il poeta della
“ribellione”, dello “sfido e confido” pur avendo nell’animo il senso della quietezza, dell’equilibrio e, soprattutto, quello dell’essere amico della
puntualità e, proprio questa dote, quasi con una cadenza quadriennale lo porta a
pubblicare quella che è la turbolenza della quotidianità invasa da una sorta di
menefreghismo, di arroganza, di strafottenza e che vede l’uomo essere un pavido,
un debole, un refrattario e che ha perso il senso dell’orientamento, in poche
parole ha perso la bussola e congenitamente è tutto ciò che lo deteriora come
status portandolo al non rispetto della donna, a macchiarsi di femminicidio e
facendo aumentare le “scarpe rosse” simbolo della soppressione delle donne.
In tutta questa bagarre ecco che Giovanni coglie le essenzialità che diventano,
in versi, quadretti poetici. La sua è una poesia al presente, e le poesie
possono considerarsi articolo di giornale che riporta al lettore gli accadimenti
con tutti gli aspetti del vivere e convivere la quotidianità e tutto ciò che
contribuisce agli eventi h 24. Giovanni dice “al poeta” di “bere alla fonte
della Musa” per placare la sete rinvigorendosi e qui usa un ossimoro che ha una
forte valenza. Dall’indice si evidenzia l’opportunismo della “continuità del
Potere” (con la P maiuscola), e di quanto invade questa nostra Basilicata che
trova “facce di bronzo che sono cloni dei vecchi padroni che pronunciano
bugiarde verità” ed è territorio in cui “la Fenice ha trovato ‘la sua dimora’ e
spazia nelle stanze di via Verrastro e in Basilicata non è una leggenda, è una
consuetudine”.
Sono parole forti che feriscono il comune mortale che lo
annientano ma nello stesso tempo lo rendono consapevole che “La Lucania è
stata condannata a morte!” e il “Petrolio fa donare la nostra pelle a lupi di
riporto e taciturni gli altri animali ci osservano e L’Ente ingrato ci concede
gli avanzi procedurali: idrocarburi in brodo cotti nelle acque del Pertusillo:”
Ecco come la poesia di Di Lena si fa anche e soprattutto prosa, articolo di
giornale che il lettore si fa compresente alla iniquità di un sistema che dilaga
ed impera. Non può il poeta Di Lena non soffermare il suo sguardo e la sua
attenzione a “Odissea a Bucaletto” datandone 37 anni (1980-2017) in cui “Gli
asserviti di Palazzo si fregarono le mani. Lo Stato fu solerte e il Governo
decretò: nessun ostacolo agli sciacalli e via libera ai mercenari. (…) nelle
valli de Sud pullularono mille progetti… ma sul suolo lucano le promesse
bruciano ancora”. Di Lena ha l’animo e l’anima amari e l’attenzione su quello
che è stato il periodo importante della Basilicata (in particolare per Matera)
che con la produzione dei salotti poteva mettere tutti a sedere e tacere per la
importante economia che ha visto anche tanta partecipazione di cinesi che si
sono accresciuti di un valore aggiunto immenso quale l’imparare a fare salotti
e riportare le essenze nella propria terra, Patria.
Nulla passa inosservato a Di
Lena che in una poesia “nastro trasportatore” da versi all’amico “Giacomo” morto
di “lavoro precario”. E nella poesia “precarietà operaia” sottolinea “non
contiamo più niente: siamo i deportati della globalizzazione, le pedine delle
multinazionali. Non abbiamo più nulla: persa è la dignità”. La raccolta
poetica è un fiume in piena e mi fermo qui per evitare di essere travolto
dall’impeto poetico di Di Lena che consegna alla letteratura lucana un libro
straordinario e di una attualità pungente, piangente e esasperatamente
veritiera. Il Libro trova la firma di Lucio Attorre che traccia una prefazione
dalla quale riporto “Le parole sono pietre diceva Carlo Levi in sintonia con la
popolare saggezza secondo la quale la lingua, metaforicamente intesa, non ha
l’osso ma frange l’osso”. E Pino Suriano che in postfazione dice: “E le pietre
più dure, a ben vedere, sono quelle che il poeta lancia a sé, verso quel che si
poteva essere e non è stato. Mi pare questo, dunque, il cuore di tutta l’opera:
la nostalgia di ciò che non è stato”. Mi piace concludere con la poesia di
Giovanni Di Lena stampata sul “segnalibro” :
“Incredulità”
Restare diritti è difficile:
il Potere ci piega
e
favorisce la mediocrità.
Increduli,
assistiamo al trionfo
della frivolezza.
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Recensione |
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