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Riteniamo anche noi, con Vittoriano Esposito, che Veniero Scarselli
«rappresenta un caso letterario singolare nel Parnaso italiano dell'ultimo
Novecento». E' il Poeta dell'Orribile, del tormento fisico e spirituale
dell'uomo contemporaneo. In questo poema-racconto ci dà, con ariostesca
fantasia, una rappresentazione del dolore corporale mediante la satira spietata
delle torture-operazioni ospedaliere, attraverso le quali l'anima del paziente
si libera dal male, si riscatta dal peccato della carne con la forza
taumaturgica del dolore e raggiunge il Regno della Luce. Diciamo subito perciò
che la poesia di Scarselli non è fatta per gli animi delicati e sentimentali,
per chi è abituato a leggere canti melici ed elegiaci; infatti egli (come si
legge nella nota biografica) «non pratica la poesia lirico-intimistica, né le
raccolte di singole liriche, ma esplora le realtà esistenziali e metafisiche
rappresentandole in poemi narrativi monotematici che riscoprono il poema epico».
Nell'inviarci quest'ultimo lavoro, Scarselli scrive:
«...il terribile
libro in cui si spiega, con minuzia e con gli affilati strumenti della teologia,
come si puniscono e salvano le anime dei peccatori». Già i primi versi
dell'opera, infatti, parlano di terribile resoconto (...) esattamente veridico |
dopo la fortunosa esplorazione | della fabbrica più fosca e temuta (...), ultima
stazione conosciuta (...) prima del grandissimo balzo | nel regno della Luce
sconosciuta; e questo prologo mi sembra abbastanza chiaro ed esplicativo. «Satira, o grottesca allegoria di ospedali e lazzaretti umani» si legge nel
dépliant dell'Editore Campanotto e, aggiunge Barberi Squarotti, «Grandiosa e
terribile allegoria del male del mondo, della Creazione, della vita». Tuttavia,
se analizziamo alcuni passi dell'opera, notiamo anche che l'elemento satirico, o
grottesco, o terribile, della poesia molto spesso è addolcito da un lirismo
nuovo e singolare. Frasi come La Luce che darebbe conforto | è ancora
sconsolatamente lontana, o anche Ognuno è solo col suo pianto, oppure I puri
spiriti sfuggono migrando | ognuno con un piccolo sospiro, ecc., sono lacerti di
tenera poesia metafisica e teologica in mezzo a espressioni dissacranti e
sconcertanti. Il linguaggio di Scarselli è capace dunque di far trapelare
attraverso le espressioni cruente anche visioni di pietà in prospettiva
universale: Io commosso e sfinito, ma contento, | potevo di nuovo affacciarmi
(...) | spiarvi ancora l'anima paziente | della mamma (...) parlarle seppure per
poco | di me, della mia vita, dei miei figli. E più avanti: In fondo a un
cunicolo cieco (...) mi parve riconoscere l'amico | d'un'infanzia comune e
gloriosa; (...) Sgomento m'appressai per carezzarlo | e dare del conforto a ciò
che ancora | aveva una sembianza di persona. In alcuni canti la pietas
raggiunge, come già negli altri poemi di Scarselli, toni alti e suasivi. Tra le
figure più umane e amorevolmente cantate c'è innanzitutto quella della mamma,
per la quale il Poeta usa parole di tenerezza filiale capaci di addolcire il
crudo linguaggio dei suoi scritti. Insomma Scarselli ci sbalordisce e stordisce
con la sua poesia ora metafisica e ora scientifica, ora sentimentale e ora
sanguinante, ora carica di orrore e ora di pietà, di realtà diabolica e di
sacralità. Una poesia dissacrante e quasi blasfema, le cui descrizioni ci
richiamano alla mente Dante. La Luce, il Dolore, la Notte, il Peccato, la Morte,
il Bene, il Male, Dio, sono entità che nel Palazzo del grande Tritacarne non
ispirano solo sentimenti umani ma rappresentano il Destino come legge
dell'Essere, indiscutibile e immutabile perché idea di una Mente superiore.
La Morte non è sempre quella figura macabra e terribile che falcia: è
anche la mamma di tutti | e tutti deve quindi amorosamente | vestire col vestito
della festa. Anche il Dolore è il grande Taumaturgo | che ha il compito crudele
e sublime | di riscattare la colpa di vivere. Il Peccato, che si è insinuato
nella carne fin dalla nascita, è il Male di cui possiamo liberarci soltanto
salendo la china del Tritacarne lentamente, di gradino in gradino | di doglia in
doglia, poi di grido in grido, fino all'ultimo stadio dove attende circonfuso di
luce | il grande maestoso Inquisitore. Qui l'uomo è desolatamente solo, ha già
sciolto i legami più cari | con le cose più belle del mondo; non è che un
inutile microcosmo | fra le grandi traiettorie di stelle | ed il tempo smisurato
di Dio. Lo mantiene in vita solo il fuoco d'un ricordo lontanissimo (...) Oh
quell'incantevole profumo | di bianca ascella di donna | che si fece baciare
tutta nuda | e fu cara per sempre. Ancora un dolce, innocente pudore si scorge
tra i versi: una gioia blandamente sessuale, fatta di lievi carezze al seno, o
al pube femminile, o ai bizzarri organi erettili | di chi si deve conciliare con
la Morte. La Morte tuttavia per Scarselli non è francescanamente "sorella", ma
leopardianamente madre oscena, impietosamente possessiva. E' per lei, che tutti
svolgono il loro mestiere: i Cerusici, che fischiettando tagliavano e segavano |
chi un polmone chi uno stomaco o una gamba; i diabolici Monatti del Palazzo,
ilari, freschi ed aitanti | e con una radiolina a zainetto, nello sbarazzarsi
dei moribondi; gli Inquisitori, che in nome di Dio e della scienza introducono
macchine e tubi nei corpi degli sciagurati moribondi per fargli uscire dalle
viscere i diavoli che stavano nascosti nel budello e liberarli dal peccato
originario. Come si vede, la descrizione ha dell'infernale; il lettore
rimarrebbe shockato se non ci fosse qualche episodio capace di suscitare
emozioni per le persone care, come l'amico di cui abbiamo citato la bella
descrizione, o la mamma, per la quale il Poeta è carico di sentimento filiale:
La mamma tantissimi anni | l'ha atteso in accorato silenzio (...) Lui l'ama e
sta correndo da lei (...) a tenersela stretta fra le braccia.
La scienza ha contribuito a creare un nuovo linguaggio che ha
conquistato la poesia del secondo Novecento; Veniero Scarselli ne è un singolare
ed attento fruitore; con lui si può parlare di invenzione di un linguaggio
poetico-scientifico ricco di contenuti nuovi e capace di apportare rinnovamento
nella poesia del terzo millennio, di cui egli è certamente un precursore
inquieto. Gianna Sallustio coglie nel segno quando scrive: «L'inquietudine del
secolo che muore è tutt'uno con la poesia esplorativa di Veniero Scarselli».
Tuttavia il lirismo sentimentale e melico (che certo in Scarselli non manca)
resta sempre l'elemento principe per qualificare la poesia come valido prodotto
dello spirito; anche se si deve ammettere che oggi la cultura letteraria non può
fare a meno delle nuove acquisizioni scientifiche.
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Recensione |
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