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Nel bicentenario della morte di Napoleone
Mostra ai Mercati di Traiano
Non tutte le orme scompaiono al
venir meno del soma, talune, per un tempo breve o lungo, prima
dell’ineluttabile tabula rasa generale sorte inevitabile, restano ancora,
sono alle generazioni future memoria su cui
meditare.
Non tutte le orme scompaiono al
venir meno del soma, talune, per un tempo breve o lungo, prima
dell’ineluttabile tabula rasa generale sorte inevitabile, restano ancora,
sono alle generazioni future memoria su cui
meditare.
Il 2021 celebra, oltre alla nascita di personalità illustri (Dostoevskij,
Baudelaire, Sciascia…) e ad eventi di rilevante portata storica (150° di Roma
capitale d’Italia, 75° della proclamazione della Repubblica Italiana…), il Sommo
Poeta Dante Alighieri a settecento anni dalla morte e il bicentenario dalla
scomparsa di Napoleone Bonaparte, avvenuta il 5 maggio 1821 nell’isola di
Sant’Elena dove era stato dagli Inglesi relegato dopo la sconfitta a Waterloo.
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Nato
ad Ajaccio il 15 agosto 1769 (l’anno precedente la Corsica era stata col
Trattato di Versailles ceduta dalla Repubblica di Genova alla Francia) da una
famiglia che in secoli lontani aveva origini fiorentine, trasferitasi in seguito
prima a Sarzana poi in Corsica, aveva, al suo apparire, sconvolto il sistema
sino ad allora vigente nei vari Stati introducendo il principio dell’eguaglianza
per il quale tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge, ma non
comprendendo il principio della nazionalità e della libertà, che aveva fatto
valido solo per la Francia, non riconosciuto quindi all’Italia alla cui unità
completa era Napoleone del tutto avverso.
Il
Manzoni, nella celeberrima ode, con quel Fu vera gloria? lascia ai
posteri l’interrogativo. La risposta dei posteri può essere solo aperta a
numerosi altri interrogativi: si deve riflettere sulla gloria, su che cosa si
intenda per vera gloria. Una diatriba senza fine.
Ciò
vale per Napoleone come per ogni altra personalità che abbia lasciato una
impronta di rilievo. E le impronte possono essere legate come in una catena i
cui anelli mutano forma ma risultano ripercorrere in modi diversi le impronte
precedenti. Esistono infatti nessi di esseri umani con altri esseri umani di
epoche remote che hanno nella storia lasciato il segno significativo: vengono
ammirati e c’è chi ambisce a percorrerne l’orma.
Irresistibile
il fascino della grandezza, prende in toto Napoleone che sé ritiene in
possesso di qualità eccezionali da mettere a frutto con impegno costante per
divenire Magnus. Siamo in un ordine diverso ma anche qui può valere il
foscoliano A egregie cose…
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Così da sempre: fortissima era l’ammirazione
di Cesare per Alessandro Magno che non ancora trentenne aveva realizzato un
impero: E io, cosa ho realizzato io alla sua stessa età?, soleva Cesare
chiedersi con rammarico. Altrettanto grande
l’ammirazione di Napoleone per entrambi, per Cesare e Alessandro, e anche per
quell’Ottaviano, appellato Augusto, fondatore
dell’Impero.
L’antica Roma con quel
tantus labor di virgiliana memoria realizzò un mondo di potenza e splendore
le cui stesse imponenti opere, pur se in gran parte rovine a causa della
violenza dei barbari (ma quei barbari furono poi anch’essi presi da Roma),
continuano a stupire i visitatori provenienti da ogni parte della Terra.
Come a quanti si appassionano al mondo classico
stupiscono le realizzazioni non solo di architetti, ingegneri e artisti
(esemplari le poderose costruzioni, la statuaria imponente, frutto della
grandezza dei programmi figurativi), anche dei duces romani, degli
imperatores, a iniziare da Cesare Ottaviano Augusto che, con la fine della
guerra civile, chiuse un’era rimanendo l’unus, quel princeps inter
pares, come volle definirsi, anche se non offrì all’ordinamento
repubblicano la possibilità di ricostituirsi.
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E
negli studi era soprattutto al mondo romano che l’ambizioso giovinetto
Napoleone, sottotenente a soli 16 anni, volgeva l’attenzione, la sua
ammirazione, l’anelito a emularne grandezza e magnificenza. Si volgeva a Cesare
e ad Augusto, ma aveva ammirazione anche per Alessandro Magno e pure per il
cartaginese Annibale, di grandissima audacia nel valicare le Alpi, vittorioso
dei Romani. Si volgeva a quell’impero che avrebbe voluto anche lui ricomporre
con Parigi e Roma, con questa da trasformare a modello dell’altra.
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La
Mostra celebrativa del Bonaparte amante della romanità, intitolata “Napoleone e
il mito di Roma”, è stata installata ai Mercati di Traiano (dal 2007 Museo dei
Fori Imperiali), imponente complesso di costruzioni poste sulle pendici del
Colle Quirinale. Promossa da “Roma Cultura”, Sovrintendenza Capitolina ai Beni
Culturali, con allestimento di Stefano Balzanetti, Simona Bove, Alessandro Di
Marto, Eleonora Giuliani e Mario Maiorani, ha avuto come curatori Claudio Parisi
Presicce, Massimiliano Munzi, Nicoletta Bernacchio e Simone Pastor.
Inaugurata lo scorso 4 febbraio con
chiusura in maggio, è stata prorogata sino al 7 novembre 2021 anche a causa
delle restrizioni dovute al Covid 19.
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La
Mostra presenta un iter impostato sull’ammirazione di Napoleone per il
mondo classico, sul suo rapporto con l’Italia e Roma, città, subito dopo Parigi,
di sua predilezione anche se, a differenza della madre che abitò nel bel Palazzo
già D’Aste Rinuccini affacciato su Piazza Venezia, non vi mise mai piede, ma
soprattutto sulla ripresa dei modelli antichi finalizzati alla propria epopea.
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Gli
scavi che vennero dal 1811 al 1814 compiuti nell’area archeologica dei Fori
Imperiali portarono alla luce importanti reperti i quali non fecero che
accrescere in Napoleone l’ambizione dell’impero.
Vari
i progetti di risistemazione, quasi a voler ridisegnare Roma come una seconda
Parigi attraverso gli interventi di famosi architetti tra cui il francese
Giuseppe Valadier (è presente il ritratto di Jean Baptiste Wicar), il cui
progetto avrebbe, come scrive, realizzato una strada in linea retta, bordata
da quattro fila di alberi ed elevata, affinché fosse salvata dalle alluvioni del
Tevere, e così in luogo di avere una strada miserabile tutto l’anno, sarebbe una
delle migliori passeggiate di Roma.
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Ma anche altri architetti e
ingegneri a quel tempo molto noti si attivarono con progetti e varie incisioni,
come Raffaele Stern del quale è esposto un busto in marmo.
Certo è che proprio negli anni di governo napoleonico ci furono
a Roma progetti grandiosi per il verde urbano.
E
gli scavi portarono anche alla scoperta della Basilica Ulpia con reperti di
grande rilievo come le statue dei Daci, presenti nel Museo permanente ai Mercati
di Traiano, mentre le altre sculture rinvenute sono custodite ai Musei Vaticani.
Intanto
la Colonna Traiana, su cui si era secoli prima fermata l’attenzione anche di
Luigi XIV che aveva voluto la realizzazione di calchi, viene da Napoleone fatta
riprodurre a Parigi come Colonna Vendȏme (alla Mostra c’è un calco) per
celebrare sé imperatore e le sue imprese militari, fondamentali queste per
tutti, ma particolarmente per chi, come Napoleone, non discendendo da casato
reale, soltanto su di esse può basare la continuità
dell’impero.
La Mostra risulta impostata con un razionale iter espositivo attraverso
opere provenienti da collezioni capitoline e da importanti musei italiani ed
esteri, non solo francesi. Oltre 100 opere celebrano, attraverso sculture,
dipinti e stampe, con medaglie, gemme, monete e oggetti d’arte varia, Napoleone,
imitatio Augusti (di cui è presente il busto proveniente dai Musei
Capitolini), imitatio Alexandri.
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Napoleone ambiva ad essere grande
condottiero sin da cadetto, e si può ammirare il gesso di Louis Rochet che lo
raffigura molto giovane con ciuffo rivoluzionario, naso aquilino e volto
dall’espressione quasi imbronciata (non vogliamo dire di sussiego), con la mano
destra infilata al gilet. Così verrà in seguito raffigurato in una serie di
bronzi e bronzetti, in busti e dipinti. In rilievo i bronzi in cui Napoleone è
raffigurato sul destriero e, a ricordo della Campagna d’Egitto, oltre alla
stampa di Girardet che lo mostra alle Piramidi, c’è la statuetta in bronzo di C.
J. Meurant proveniente dal Museo di Ajaccio, dov’è sul dromedario.
Ricorrente
è la raffigurazione con la corona di alloro da dux romano, come nel
bronzo realizzato da Lorenzo Bartolini, e ci sono poi busti in marmo nei quali è
raffigurato ancora con la corona di alloro da cui sporge il ciuffo ribelle e con
la sua espressione tipica, oppure con la corona ferrea del Regno d’Italia.
Presente anche il busto in
bronzo di Cesare nelle sue realistiche fattezze, inoltre quello di Annibale, il
nevrotico condottiero cartaginese vittorioso sui Romani, e poi il busto di
Augusto Pontifex Maximus, proveniente dai Musei Capitolini insieme
ad altre opere.
Ma
è posto in rilievo anche il progetto di una statua che avrebbe dovuto
raffigurare Napoleone come imperatore romano. Del resto in una stampa lo si era
ritratto infante su un leone, già dominatore con alle spalle militi romani.
Vuole essere considerato
novello Cesare, o Alessandro Magno del quale si può ammirare il bronzetto
proveniente dal Museo Archeologico di Napoli, oppure Annibale audace
nell’attraversare le Alpi.
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Tra
le opere pittoriche c’è quella ben nota di Jacques Louis David che raffigura
Napoleone sul destriero con l’indice volto al cielo, e nel particolare dinamismo
pittorico cavallo e cavaliere paiono attraversare in volo le Alpi, e poi
l’immagine grandiosa realizzata da François Gerard con l’abito della
Incoronazione, ed è proprio questa ad essere stata posta al termine dell’iter
della Mostra.
Ma
Napoleone vuole apparire anche prosecutore dei re francesi, a esempio nel
dipinto di Antoine Jean Gros, o quasi taumaturgo nell’incisione di A. C. Masson,
o il salvatore dell’Italia nel gruppo scultoreo di Camillo Pacetti dove tende la
mano all’immagine femminile posta in basso, raffigurazione dell’Italia.
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E
sono inoltre presenti i modelli dell’epopea napoleonica come l’Aquila romana e
il Vessillo del 7° Reggimento Ussari. Non mancano, però, alcune stampe
satiriche (ovviamente non francesi), in una, a esempio, Napoleone viene mostrato
col diavolo, in un’altra mentre si libra tanto da perdere il contatto con la
realtà.
Alcuni
busti raffigurano poi grandi personalità del tempo come il busto del Canova,
autore anche del busto di Napoleone e di Pio VII, il papa con cui il Bonaparte
ebbe rapporti difficili, si complicarono sempre più da quella incoronazione/autoconsacrazione nella cattedrale di Notre Dame di Parigi il 2 dicembre 1804
(11 frimaio, anno XIII secondo il calendario repubblicano francese) sino
all’annessione dello Stato Pontificio all’Impero francese il 17 maggio
1809.
Soggetto di natura certamente complessa Napoleone Bonaparte, emblema anche del
suo presente ma con gancio al passato, figlio dell’illuminismo sino a un certo
punto. Ludwig van Beethoven, il
musicista che componeva per indurre a meditare non per intrattenere (ma il
pubblico anche allora era restio a meditare e pertanto accoglieva tiepidamente
la sua musica), grande estimatore di Napoleone, decise di dedicargli la Terza
sinfonia (l’avrebbe poi titolata Eroica), composta tra il 1802 e il 1804
quando, come diceva Hegel, l’anima del mondo a cavallo s’imponeva come
difensore dell’ideale repubblicano.
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Ma
l’anima del mondo a cavallo decise di autoincoronarsi imperatore dei
francesi, andando contro quell’ideale, e Beethoven, deluso e infuriato, strappò
materialmente la dedica: anche Napoleone si era rivelato un uomo comune. Ora
–si dice abbia gridato- calpesterà tutti i diritti dell’uomo e
asseconderà solo la sua ambizione, si collocherà più in alto di tutti gli altri,
diventerà un tiranno!
Una Mostra, quella ai Mercati di Traiano, che nel mentre celebra chi si era
poi per Beethoven rivelato un uomo comune, riporta Roma nella sua
grandezza, e alla memoria torna il Carmen saeculare di Orazio.
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