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Roma delle distanze
L’attesa di un'apertura che dia calore e luce
Gian Piero Stefanoni ha regalato
ai lettori due distillati efficaci di ricerca poetica interiore: Geografia del
mattino e altre poesie, edito da Gazebo, e Roma delle distanze (per la
Joker). E’ una lettura da lasciare sedimentare. Stefanoni ha il dono di quella
frase, di quella emozione, di quella parola o descrizione, che rimane e lascia
pensare. Ma, attenzione. Non siamo davanti al gioco delle emozioni, quanto al
confronto con la dimensione verticale e orizzontale della città. In Geografia
del mattino viene e rappresentata e interpretata la città conosciuta
dall’alto, con gli occhi volanti degli altri abitanti, quelli con le ali, che
sfiorano la sacralità bianca in giornate che sembrano percorse da un sole pallido
e un freddo pungente.
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C’è in generale una potente carica simbolica e un
erudizione che in alcune sezioni va decifrata. Stefanoni avverte la necessità di
ricollocarsi nella geografia (da qui il titolo) e nella storia, là dove tutto
sembra essere diventato passaggio, percorso via cavo in cui ogni punto è
indistinto. Altrove, nella raccolta, è immediato il canto, come in Verso il
Subasio – riuscito e toccante il ritratto di Francesco – e Ave Santissima.
Leggiamole. La prima: “Pane | per chi non ha: appartenenza. | Ha disertato il
mondano, | Francesco per farsi mondo. | La forza della terra è nelle mani |
raccolte, a tempio, per ciò che dobbiamo. | Insegna la libertà del gesto | la
caduta nel bosco della pioggia”. La seconda: “Ave Santissima, | che come fenice
generi prole dal lutto. | Conservaci nel mistero, | preservaci dalle
fascinazioni, | con occhi giusti, senza possesso nel trattenere. | Attendi
ancora, attendi sempre, | bassa ad ammansirci alle cose. | Tua lancia in grembo
| è
freccia d’umanità redenta. | Più in alto oggi non perveniamo, | non giunge nostra
la voce”.
Risulta convincente e suggestiva la realtà descritta in City blues:
dal piano verticale (e delicato) della perdita di peso, si giunge a quello
orizzontale della storia (con la denuncia, che non è mai troppo denunciata,
dell’antisemitismo), delle strade, della città, della realtà ritratta da pittori
(e scrittori, come Cardarelli) che hanno coltivato l’humus da cui emergono i
versi dell’autore. Roma delle distanze
completa come in un dittico completa la ricerca di Stefanoni lungo questa
direzione, come evidenziano le composizioni sulle strade:”Ora ogni età è nel suo
cielo, | le ombre disperdendo le voci, | richiamate come mare al suo cerchio. |
Ancora chiamano, ancora si disperdono | gli uccelli, acclamandosi per nome. |
Stasera non ha termine il volo, | è ancora bianca la notte, un cane | solo tentando
di romperla.”
Ovunque si coglie il senso di un’attesa, di un apertura che
sciolga il freddo, che dia calore e luce, che porti ogni voce a comporre un
coro. Con gli strumenti di un efficace versificazione.
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Recensione |
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