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Del sognato
Centrale in questa raccolta di Raffaele Piazza, come sottolineato dal titolo e
dalla sezione omonima, è un’idea di poesia come sogno, tramite a un mondo
possibile, certamente auspicato, probabilmente contrapposto al mondo reale,
troppo prosastico e difforme dal desiderio, per meritare di essere vissuto.
Domina la raccolta la figura di Alessia, musa del poeta, già più volte presente
nelle sue raccolte e a cui in passato ha dato anche il titolo (vedi “Alessia e
Mirta”). Tuttavia la sua è una figura sempre evanescente, i dettagli della sua
vita sono sempre allusi senza un preciso sviluppo narrativo o cronologico:
l’intento non è comporre una storia, un diario o, estremizzando, un canzoniere
amoroso, piuttosto indicare un “mondo delle possibilità”, per isolarvi un
“frammento felice di tempo”, uno spazio “prealbare”. Si ha quasi la sensazione
di un’attesa perenne di un bene che non riesce mai a risolversi compiutamente,
il desiderio di un congiungimento che, anche se sensualmente e carnalmente
realizzato, è sempre sul procinto di sfuggire, deragliare in uno spazio di
intangibilità.
Come già detto in una precedente nota di
lettura, alla figura femminile in Piazza è sempre connaturata una forte valenza
simbolica, nonostante la puntualità circostanziata dei fatti che accadono e si
riportano (si veda il riferimento quasi ossessivo alle date); a prevalere è
questa idea della figura femminile come presenza numinosa (simile a quella di
molta poesia di Barberi Squarotti), che lascia di sé sull’autore (protagonista
della vicenda poetica) una traccia indelebile. In questo lavoro, in particolare,
il piano simbolico viene ulteriormente enfatizzato, fino a un certo grado di
oscurità, per dare libero spazio alle associazioni mentali che la figura di
Alessia induce sull’ispirazione dell’autore, perché “si deve elaborare l’attesa
a delta / a delta”, quasi come se la parola poetica cercasse uno sbocco,
chiedesse di irrompere nella sua libertà (ma mai arbitrarietà) espressiva, per
farsi parola e documento. È tramite questo processo di congiunzione che “poi
tutto inizia nella mente e si parte / nella sera che ha un cominciamento / e
non una fine”, il che equivale appunto a dichiarare una concezione della parola
poetica come movimento, sapersi affidare alle onde (si veda emblematicamente la
sezione “Mediterranea”, dove la metafora marina viene offerta e rielaborata con
insistenza), nella consapevolezza dell’incertezza dell’approdo: “mare che
continua”, ossia verso che metamorficamente si rigenera e amplifica, iterandosi
sempre in forme altre.
Il libro è in realtà una continua disseminazione
di riferimenti a oggetti e media (“mail”, “Internet”, “lettera”, “diario”,
“fotografia”, “archivio”) come se l’autore volesse con il loro tramite tracciare
e consegnare a una memoria effettivamente praticabile i detriti di una storia a
due sempre in bilico, pronta a smarrirsi nel caos del tempo e degli accadimenti:
la poesia è il filo per riconnettervi un senso, arginare la diaspora (“Mi chiedi
la bellezza di un evento, / mi chiedi non distruggerla, pensaci” e ancora “il
vedere lacera tutti i fili / degli sguardi, il mare dopo la tempesta”).
Dal punto di vista stilistico, Piazza impiega un
linguaggio più controllato e selezionato, rispetto a quello che abbiamo
riscontrato in “Alessia e Mirta”, a tratti è possibile rintracciare qualche
ascendenza simbolista o addirittura ermetica: il registro spesso è aulico, ma
variato da inserzioni più realistiche che aiutano a spezzare un tono che
rischierebbe di essere troppo letterario. Ne esce uno stile ben identificabile,
un ritmo personale creato con enjambement oculatissimi.
Piazza ci consegna una nuova prova coerente con
la sua ricerca stilistica e artistica, in cui il lettore potrà riconoscere e
ritrovare la cifra distintiva dell’autore che ha qui un’ulteriore conferma, pur
nella necessaria evoluzione di ogni scrittura.
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Recensione |
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