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Buona parte del giorno
Questi
versi ricamano la trama di luce che tesse “buona parte del giorno”, setacciando
le emozioni e i sentimenti in filigrana al chiaroscuro dei silenzi. È
un segreto arcano che sottentra alla superficie scabra del quotidiano, gravido
di misteriosi presagi e di iniziazioni ad una sacra ritualità: “E fra gli
astanti muti s’annoverano in tanti / che giù guardano / nel mare freddo e alto /
dell’azione temeraria di esser sé, / nell’azzardo fiero di volere ancora / tener
fede alla promessa / sorrisa dentro l’infinito abbraccio dell’amore.” (Ritorno).
Il passato rivive magicamente per effrazioni miracolose al tempo, accarezzando
gli oggetti appartenuti a chi non è più (“I morti parlano, ho saputo poi, /
dalle righe vergate a mano / sugli oggetti consumati; / il tempo li ridona a chi
recede / al tepore e alla carezza / del fanciullo che ignorava / il vólto esatto
dei sarà, Ritorno), rievocando i miti intramontabili dell’età d’oro
dell’infanzia: “Mistero e dubbio esala questo presente assente / alla risposta,
ma la divisa luce nelle ombre / torreggianti della notte chiara vede, / con
occhi di memoria, ciò che è / e con le dita legge ciò che recò il sole / aperto
a squarciagola sull’ovvio quadro / acceso dell’infanzia.” (Voci di silenzio
accese).
S’invoca il caro estinto di tra il groviglio di tenebre che
attanaglia, affinché schiuda uno spiraglio di cielo sul buio di questa terra:
“Ci furono compagni arbitrio oscuro e il male / e il destino nostro reciso
rovina / nella miseria amara dell’arroganza / nell’empia indifferenza di chi
vede / i nostri passi stenti di passero nero / affondare offesi nel fango /
gravi di ingiurie. / (…) Ma tu abbi luce anche per noi, amore, / e guardaci da
questa nuvola bianca / che sfila alta nel cielo / guardami, nel luogo che
volesti per noi, / libero e puro / e inventami, che tra i vivi vive / l’anima
mia / che ti appartiene.” (Dalla cornice). Le generazioni si avvicendano
con i loro nodi intricati, mentre il presente è infestato dai fantasmi e dagli
spettri delle trascorse stagioni: “L’inudito scavo di una promessa mancata /
erode al suolo l’anima. / Si scoperchia l’idea folle / di non esser nati mai
davvero, / che si restò solo sospesi / alla spina infedele di un diniego. / Ma
prendono forma ancora / gli spettri dei sogni / lungo l’asse della notte.” (Secretum).
Il giorno
appare, nella radiosa visione mattutina, come un’epifania dell’armonia
creatrice, nella sua aura iridata che trasfigura l’universo nel respiro
dell’eterno: “Poi tutto coagulò nella speranza / il risveglio del suono del
mattino / il dolce molo del giardino / sull’onda delle rose / il canto del
fringuello sopra il noce / la limpida profondità dell’acqua in ogni dove /
caduta. / (…) l’anima di un attimo / che per l’attimo si vede / rotolare piano
via / nell’alto giorno mare / che si chiude / sulla vita che discorre / come
fiume alla sua foce.” (Giorno). L’esistenza si avverte come sospesa
sull’abisso del nonsense, ove si perdono le orme stanche dei giorni,
mentre s’insegue affannosamente uno slancio d'ideale: “Equivoco d’esistere /
frammento e scheggia di morte / avulsa vita / nell’oceano senza sponde della
notte. / Spiano i passi senz’orma del rancore / e apprende la paura il cuore /
sotto l’occhio chiuso della luna nuova / se pure la coltre astuta delle nubi /
sigilla ogni spenta stella / e il silenzio, ago all’udito, / schianta dell’urlo
della preda / strappata al nido dell’artiglio.” (Geometrie del nulla).
Nonostante l’oppressione del male, si leva salda e vittoriosa la speranza,
attecchisce il germoglio tenace della verità
autentica, splendono come un diadema la purezza inviolata e la fortezza
inespugnabile dell’anima: “E non si perde l’anima al disegno / senza orli della
mente / non svapora il sogno dell’idea / che tutto è amore / anche il grigio del
cuore / quando doma pare la speranza / e il vero nubila di pianto / per l’errore
ripetuto, / il persevero del male nella Storia / e nella storia di ciascuno. /
Dormiente risana la fatica / e alta e certa leva / la gemma acuta della verità.”
(Rigetti).
L'umana
vicissitudine è una drammatica dialettica tra luce e tenebre, bene e male, gioia
e dolore, morte e resurrezione: “Si perde la vita quaggiù, si perde e si dà. /
Chi viene alla luce e poi tace la vera / sapienza del cuore, s’ammala di / nero
presagio. Chi viene alla Terra e / non vede la piega al sorriso del viso / che è
in fasce e poi pallida cresce d’amaro timore, / non nasce, ma lascia un’inutile
vita di pietra / al sasso crudele del passo / che ferma nel sordo fragore /
scomposto che acre risuona / dal chiasso di schianto del mondo che cade /
all’abisso del Dio crocifisso.” (Dies irae).
Buona
parte del giorno
è una
metafora della danza di luce della vita che incanta e innamora, prima che scenda
la notte dei rimpianti e dei volti amati perduti, un escamotage per
catturare gli istanti preziosi come perle rare, per sottrarli all’erosione del
tempo. Sulla rapina di quest’ultimo vince la forza vitale del canto, con cui si
rivendica il proprio diritto di esistere, ciò che Lucia Gaddo Zanovello
restituisce con la delicatezza delle immagini e la raffinatezza stilistica:
“Tutti arena il soffio della vita / alle grate dei desideri / i petali dei
giorni, / cumuli d’esistere / frenano la frana dell’amore / edificando la roccia
/ su cui posare / il candore del nome dei figli.” (Buona parte del giorno).
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Recensione |
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