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In limine alla rosaQuesti
testi di Raffaele Piazza sono impregnati di un intenso afrore sensuale che
aspira a sublimarsi in profano misticismo, per declinare più agevolmente in
involuzioni parodistiche e funambolismi di argute ironie. La figura muliebre,
celebrata come la Donna angelicata del Dolce Stilnovo o la Clizia dall'audace
missione in Montale, in questi versi assurge ad eroina d'amore, vestita di
azzurro, di nuvole e di vento, creatura "vegetale" che si alimenta della linfa
della notturna osmosi dei corpi, nell'estasi del connubio sponsale.
Alessia e Mirta, così, rivivono quali archetipi mitologici di identità femminili eteree e
al contempo carnali, nel candore della festa dei sensi consacrata all'ideale
amoroso. Emergono da queste poesie come dai quadri le Madonne del Raffaello,
incorniciate nella loro raffinata bellezza che indulge a soave voluttà. Sono
leggiadre fanciulle, alate nei sogni e nelle chimere che la notte come in una
conchiglia cela nel suo segreto, dal fascino malioso quali ninfe, vaghe ed
evanescenti nella suggestione dello specchio della memoria, come in un
incantesimo di idealizzazione e trasfigurazione mitopoietica.
L'autore,
innalzando la stele dei suoi versi, sembra dedicare all'amata una sorta di culto
devozionale, per cui ella è iniziata al rito sacro dell'amore ed evocata quale
icona di raro pregio estetico, incastonata nell'apoteosi simbolica, simulacro di
effervescenza vitale e di artistica adorazione.
Raffaele Piazza declama tale
elegia amorosa, immersa in un'atmosfera bucolica, densa di velate emozioni ed
impressioni, nelle variegate "nuances di una delicata "rêverie", con accenti
lirici improntati al "pathos" e ai fasti dell'impreziosimento letterario.
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Recensione |
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