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Inquiete indolenze Antologia Nuovi Fermenti Poesia
Quest’antologia dà voce a diciotto espressioni poetiche, ciascuna dal timbro
originale e dal tratto peculiare, creando un corpus di testi polifonico e
al tempo stesso unitario, nella comune vocazione all’esercizio letterario. Così,
a inaugurare la raccolta è l’imprinting intimistico di Giovanni
Baldaccini in Alla mia estraneità, venato di sfumature romantiche,
nell’elegiaca devozione all’amata:“Non so di te / dei nostri disavanzi / ma
forse la visione del tuo luogo / diventa un’astensione che compensa / la nudità
di esistere / in una incomprensione in cui rimando / le proposte azzardate che
mi accenni / d’attesa e sfinimento / mentre ti osservo / trasportare i giorni.”
(Alla mia estraneità); “Le poche cose che so di lei / che poi non mi
ricordo / come una nuvola adagiata / che ci sono caduto dentro / ma non mi
ricordo / e vento non ce n’era / si restava appoggiati / e la sera una mancanza
enorme / che di sera le nuvole scompaiono / e scomparivo.” (Le poche cose che
so di lei). La figura muliebre sembra avvolta in un’evanescente levità
visionaria: “Ora non c’è una piega in questa stanza / che non abbia vissuto le
giornate / che ti tracciano gli occhi / né angolo che ignori / i nostri
inseguimenti nella sera / dove vanno gli amanti / o chiacchere avventate che non
sappia / mentre ti scrivo quello che ricordo / di questo mondo / piccolo /
insoddisfatto / a rotazione.”
Di Franco Celenza (Scenario dei brevi splendori)
spiccano le folgoranti intuizioni intrise di delicato lirismo: “Siamo gente
di naufragio / pellegrini nell’attesa / figli di una luna ignara / sotto
l’onnisciente cielo. / Il vento del mare / ci traversa in attesa / di spiagge
interminabili / oltre questo promontorio di nebbie. / Dal primo all’ultimo
respiro / verso le porte del Regno / dileguiamo appena nate / come ombre appena
inesistite / rapite da corsari pensieri.” (Le porte del regno); “È appena
tremante / e bianca di Luna / la tela del ragno / che ha raccolto la notte. /
Appena un solo istante / e poi è fuggita all’alba / lasciando al ragno in dono /
una rugiadosa eredità di perle.” (Aracne). A caratterizzare la poetica di
Bruno Conte in Stridocosmo è l’incisività lapidaria degli epigrammi:
“Queste giornate tutte uguali / fanno sperare in una giornata unica / conserta
giornata di giornate / sfera che intorno a sé ha se stessa.” Antonino Contiliano
con Trafficanti d’armi, pas oubliant si distingue per uno sproloquio al
limite dell’osceno che si getta sulle realtà più scabrose con avidità
insaziabile, quasi ci si accanisse nell’osservazione di una carogna, come nella
poesia di Baudelaire, anche se l’amore poi sa trovare l’arioso respiro di cielo:
“tutto il mio tempo ti appartiene / e tutto quel tempo ci trattiene / un deserto
non ci teme la notte / pas je sommes oubliant / fluente il y a frequence
/ il dono ci consegna e a fondo / e tiene anni anche di storia / un tempo triste
di guerre.”
È il filosofare mordace e l’arguta ironia di Gianluca Di
Stefano in Esilio Terrestre, come nell’esilarante panegirico Mi
piacciono gli italiani, rivisitazione parodistica di Mi piacciono gli
americani e Mi piacciono i canadesi di Ernest Hemingway: “Vorrebbero
l’uomo più onesto come governante / ma non lo eleggeranno mai. / Hanno fiuto per
il peggio. / Forse è per questo che detengono / il maggior numero di avvocati. /
Non rispettano mai le file / nemmeno quella dell’eucarestia domenicale.” A
riecheggiare la sentenza filosofica del “panta rei” di Eraclito è Due
rive: “Sono seduto in riva al fiume / e guardo scorrere il flusso. / Cambio
sponda / e la corrente defluisce in senso inverso. / Comunque io guardi / Tutto
sfugge. / Non ci accontentiamo mai / ma ci abituiamo al peggio, / perché il
meglio può incuterci soggezione. / E intanto tutto sfugge.” Edith Dzieduszycka
con L’erba incredula coglie il sottile bisbiglio dell’anima sospesa sulla
contemplazione della realtà: “Tempo innocente / che scorre / e si dipana / su
binari tracciati / tra sponde inafferrabili”; “Si accende tremante / di vapori
perlati / scialli di nuvole / il neonato giorno / sull’orizzonte incerto /
allorché sul crinale / dell’alba scivola / e sprofonda / sconfitta l’ombra /
nell’urna della notte.” Marco Furia con Ecco, sorprende insegue la scia
dei silenzi e dei sospiri che inanellano le parole nell’estasi maliosa della
finzione letteraria: “Ecco, sorprende effimera / la luce / accecante, improvvisa
/ del baleno / che interrompe la tacita / ed oscura musica della notte /
squarcio chiaro / elettrico, istantanea / luminosa / zitta ferita, immenso.” (Ecco,
sorprende effimera). Maria Lenti con Frutti di stagione, in cui
l’italiano si avvicenda al dialetto, ha uno sguardo generoso e lungimirante
sulle dolorose realtà del nostro tempo: “sa de sal el pan che / guadagno tutti i
giorni / sugli anni che se ne vanno / su chi da un pezzo se n’è andato / su chi
fatica a vivere la giornata / in paesi diversi del mondo / tallonato da rapine
disumane / su chi è pressato da infelicità / più o meno vicino a me.” (Pane e
sale).
Loris Maria Marchetti celebra la nostalgia della donna amata, in una
quête struggente in cui la figura muliebre viene idealizzata e
angelicata: “Come l’azzurro / dei tuoi occhi, fioriti dal mio spasimo urgente /
di possederli, forse timidi, incerti, i tuoi occhi / affidatimi solo in
custodia, solo in prestito / che nulla potranno se ci manca la forza / di
rianimarli. Chiedono e chiedo. (Arcobaleno / nel sonno, più greve a occhi aperti
– ma i miei - / tra sogni simbolici attesi in realtà, se mai avvenga). / Occhi
tutti da scrivere, che io devo scrivere, / empire l’azzurro di cifre parole
magie / in programmi tremendi, con scommesse d’amore.” (Traversata).
Tor Bronda di Dario Pasero è uno spaccato di cultura torinese declinato nel
dialetto locale con folcloristiche suggestioni; Antòn Pasterius con I capelli
sono sempre fuori di testa impersona uno stile demenziale e giocoso; Italo
Scotti con Politikòn Zoòn conduce un’attenta analisi geo-politica, come
in questa chiaroveggente fotografia di Roma: “Fotogrammi di Roma bombardata /
Plebi raccolte intorno al papa, bianco / Sgomento. Lui leva gli occhi al cielo,
apre / Le braccia come il colonnato… / (…) Ahi, Roma perduta / Roma senza
gloria, senza poesia / Roma che non è più niente / Roma senza storia, senza
memoria / Roma concussa e derubata / Messa a sacco, vilipesa, razziata / Bivacco
ai Proci.” (Le cicatrici di San Lorenzo).
Pietro Salmoiraghi con Inseguire le voci assume il tono di aforismi e
meditazioni folgoranti: “Mi coinvolge – anzi davvero mi sconvolge, / la
sofferenza di chi è attratto / da un mondo cui non può avere accesso. / Ma
quelli che non riesco a comprendere / sono coloro che vivono questo desiderio /
con senso di colpevolezza.”; “Parliamoci chiaro: / non ho nessuna fretta / di
arrivare. / Però questa snervante attesa / che sia compiuto il tempo / che mi è
dato… / Ecco, è davvero faticoso rassegnarsi / a questa quasi vita.” Antonio
Spagnuolo con Svestire le memorie insegue i sussulti dell’anima come
nell’evocare la sua amata: “Le mie sere hanno il ghiaccio della solitudine / e
nessun nome riesce a contenere l’anelito / del tuo sussurro, sempre più lontano
e indecifrabile. / Cancellate o dissolte le parole che affollavano il tuo labbro
/ ritornano ombre del sogno, scintillando, / in quella lunga eternità che ci
illude / al confine del cielo.” Liliana Ugolini in Pellegrinaggio con eco a
Firenze incastona il senso del sacro nel nitore dei monumentali capolavori
della grandiosa città d’arte: “Purezza in trasversale bianco / sconvolse. Quale
forza? / Splendido enigma.” (Piazza Duomo); “In archi e scale risolse /
stupor mistero.” (Piazza SS. Annunziata). Silvia Venuti in Dediche
si effonde in accenti densi di pathos, esaltando la sacralità
degli affetti: “Un’antica nuvola naviga / in un antico cielo / tra luci, spume
d’aria e vento. / È sottile vibrazione / quel fluire dentro e fuori della
vita, / come suono che viene da lontano, / dall’origine del mondo, colma / e
ricolma ogni universo spazio.”; “È una giornata il tuo viso, /
come quando piove con il sole. / Le lacrime luccicano ancora agli occhi / ma già
un largo, grato sorriso / ti illumina tutta. / Ma non è così la vita intera, /
gioia e dolore insieme?” (A Matilde bambina). Vinicio Verzieri con
In attesa di resurrezione elabora intuizioni incisive e riflessioni
profonde: “Tutti di fronte a Dio / siamo poveri / soprattutto i ricchi.”
Giuseppe Vetromile in Da questi treni non attendo più notizie canta con
accenti intensi e vibranti la passione amorosa: “Torno immergendomi in te
completamente / come fa il sole nel mare al tramonto / o come l’amore che ti
entra nelle ossa / invade pure il cuore / e lo disgrega in calda e feroce
passione / (…) Torno nei tuoi occhi simili a zaffiri / in cui mi specchio
ritrovandomi nell’estasi / di nuovi cieli e di nuove albe d’oro.”
Questa antologia è ricca di contributi originali, dalle variegate sfumature che
incarnano i molteplici volti del sentire e del vivere, uniti dal comune
denominatore dell’ispirazione poetica, nell’inquietudine, in mezzo all’indolenza
del quotidiano, dell’incessante tensione verso la verità e la
bellezza.
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