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La musa accanto:
Possiedo la tua assenza
Nevio
Nigro ci offre un prezioso pilastro della letteratura all’interno di
un’architettura imponente, che vede autori del calibro di Maria Luisa Spaziani e
Giuseppe Conte, oltre a Eugenio Gino Vitali, nell’ambito di un’antologia, La
Musa accanto, che accoglie le voci di questi artisti.
Le
liriche del poeta sono dedicate ad una figura muliebre enigmatica e sfuggente,
avvolta in un’evanescente chimera di cui s’inseguono le vestigia nei versi:
“Ragazza amara | che vieni a turbare | il mio tempo | è stanco il passo | che si
fa memoria. | (…) Ragazza amara | vivo il tempo di perla, | la mia parte di
notte, | la sua maschera ignota.” (Ragazza amara). La donna è metafora di
una sfinge misteriosa, che sembra avere in serbo l’oracolo del proprio destino:
“Ora deserta | che piace alla luna. | Ignoti e soli | nascono i pensieri.
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Ombra di donna | che passa | e sembra danzare. | Sul mare il silenzio.” (Sera).
Essa è l’immagine speculare di un vuoto che niente e nessuno può colmare, di qui
il titolo emblematico, Possiedo la tua assenza: “Ogni sera è un approdo.
| Un assurdo riandare. | A una donna segreta | e senza nome. | Un cancello
inviolato | e un vecchio muro. | E poi la notte. | E un brulichio di stelle. |
Dolcemente compagne | del silenzio.” (Donna segreta). È un amore che vive
la disillusione e il disincanto, nella sua insaziata aspirazione all’assoluto:
“Un sentiero di sogno | attraversava il cielo | e dove ferma il mare | cantavano
sirene. | Quando cessò quel canto | morì il bacio. | E il sogno chino su noi |
fuggì lontano.” (Involuzione); “Quella che vidi bella | non è che un
ricordo spossato. | Eravamo lei ed io. | Un po’ d’erba a morire.” (Incontro);
“La vita | obbedisce all’inverno. | L’allodola non canta. | Solo gli occhi
ricordo.” (Occhi). Il sentimento amoroso, infatti, attraversa
ineluttabilmente l’amarezza del distacco, il lutto impossibile dell’assenza: “Ti
offro | il ricordo | di quella rosa | (rossa al tramonto) | e della solitudine |
che mi lasciasti. | E il sogno, | che di notte ti tocca | fanciulla | e ti
accarezza. | (…) Tu danzi | sempre più lontana. | Seguo il profumo | della rosa
rossa | mentre ti aspetto.” (Rossa al tramonto); “Ti seguo piano.
| Non
ti voltare. | Allontanarsi è dolore. | Meglio i tuoi occhi | segreti
nell’ombra.” (Ti seguo piano).
Il
nichilismo, il nonsense sembrano soffocare la ragion d’essere di se
stessi e di tutte le cose: “Voce che non sa | se sono. | O sono stato.” (Una
voce). Tuttavia, a tratti insorge la potenza d’amore, nella sua vitalità che
suscita l’ebbrezza estatica: “Come il mare di notte | culli i miei sogni.”;
“Rimani con me un poco. | Fai conto di essere rugiada | al sorger di un’alba
smarrita. | Ricordo quel passo di danza | e i piedi sull’erba bagnata. | Rivedo
il tuo volto di nebbia | amica dal cuore segreto.” (Lontananze). È la
primavera della vita che accende la festa dei sensi e il sorriso del creato: “In
mezzo a loro | il primo giorno | di primavera, | il bacio biondo | e la vita |
tra lacrime e preghiere.” (Tra due silenzi). La bellezza è sirena che
incanta, miraggio che trasfigura lo sterminato deserto dei giorni, epifania del
divino che sulla terra si rivela per rari sprazzi di luce dal magma dell’oceano
d’oro dell’eterno splendore, di là dall’orizzonte: “Invitai la bellezza sulle
ginocchia. | Cantava | strane | canzoni. | Allora tanto cielo | su di me. | (…)
(Nel suo segreto | ognuno | ha una traccia d’azzurro.)” (Canzoni).
La sera
ha il suo fascino arcano e malioso, che fa eco allo splendido sonetto del
Foscolo (“forse perché della fatal quiete tu sei l’immago, a me sì cara vieni, o
sera”): “Certo è bella la sera | se riesci ad andare sulla collina | dove si
vede la piana | ed il mare lontano | senza onda né riva.” (Pensieri di
primavera). La morte è compagna silenziosa dei giorni, che rapisce,
furtivamente, i propri cari: “Abbiamo vissuto insieme | gli anni verdi | Tu
sempre mi ritorni. | Sotto gli antichi portici | cammina la tua morte. |
Compagna | è la tua voce silenziosa. | (…) …Anche per me | la luce si fa opaca…
| Ma ti rivedrò.” (Claudio).
Nevio
Nigro incastona gemme di rarefatta bellezza in seno a navate di meditazioni
profonde che s’inalberano in metafore elevate ed evolvono in volute di delicato
lirismo: “Sentieri di sogno | parlano di giorni perduti. | Nuvole vanno al
tramonto | sospinte da un vento di piume. | Il sogno chino su me | non muta i
miei passi di terra. | E non c’è chi li oda. | Solo poche parole | sfiorano il
volto. | Non hanno peso.” (Giorni perduti).
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Recensione |
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