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Notturno
Queste
poesie cantano un sentimento che non ha età, che conosce frutti in ogni
stagione, non peritandosi di sfidare la più ovvia razionalità, vale a dire
l’amore, antico come l’uomo, nella sua vitalità ed ebbrezza che suscita l’estro
creativo, non ponendo limiti alla fantasia. L’ardore, nonostante gli anni
trascorsi, è sempre lo stesso, quel vigore giovanile che è estasi dei sensi e
dello spirito: “Riconosco soltanto la bambina / che ciarlava alle stelle / dal
cortile in ombra, / le corse folli lungo il fiume amico / e sulla verde piana /
tra le quinte dei monti, / i lampi dell’amore, il turbamento, / la gioia
dell’esprimere e la voglia / di sondare ogni recesso.” (Amore per la vita).
Lo slancio conserva ancora l’energia inesausta di un impeto divino che sospinge
all’eterno: “Il tempo mi corrode e meno / distinguo tra la vita e i versi / più
confondo l’amore con il sogno. / Come quel poeta, / che non trovava pietra / su
cui posare il capo, / vago confusa e intrisa / di cadenzati lamenti. / Quando
poi tra bianche velature / vene d’azzurro corrono nel cielo / e il sole d’oro
gioca / nel verde provato dalle piogge, / rinnovata e lieve / anch’io come il
paesaggio / torno a respirare e rendo grazie. / Nulla può la sventura /
sull’opera di Dio.”
Si ama
l’amore - che è l’assoluto - attraverso l’intrigante avventura emotiva, anche
se il suo effettivo dominio, dato l’ineludibile contingente, è esclusivamente
l’immaginazione. La poesia è territorio franco, inviolato, che fiorisce dallo
spazio interiore, ove tutto è possibile, dacché l’unica regina che regge
l’imperio è la propria anima: “Corre a sud l’anima contesa / tra la ragione e il
cuore, / va nel cielo di nubi strappate / illuminato da una luna grande, / mai
così vicina / (…) Infine anche sorride / a promesse cascate di stelle / in
lontane galassie e sopravvive / al suo interrogativo.” (Punti cardinali).
L’autrice incede nel suo reame con disinvoltura, inseguendo i molteplici
riflessi dell’ariostesco palazzo di Atlante in cui si rifrange il miraggio del
suo amore, compiacendosi di un gioco prevalentemente autoreferenziale,
pascendosi di un vagheggiamento idealistico, senza neanche cercare un riscontro
reale, in una follia indomita: “Ora il mio riferire / a nulla ti costringe, /
non c’è più vincolo o lusinga, / non serve la tutela / di una tua libera scelta
e forse / ti ho perduto nell’attesa / dell’attimo giusto per te.” (Ora);
“Hai visto la luna stasera? / Io sì, come se fosse / la prima volta, a causa del
fuoco / che arde e semplifica / e irrompe e sospinge / oltre le sponde
dell’orizzonte / e accende luci impossibili a dirsi / e fantasie come scie di
comete / che viaggiano senza timore / in ogni dove e quando, / spazi lontani e
profondi, /perché tu mi guardi / e mi tieni per mano.” (Parole ubriache).
“Illusioni! Ma intanto senza di esse io non sentirei la vita che nel dolore, o
(che mi spaventa ancor più) nella rigida e noiosa indolenza: e se questo cuore
non vorrà più sentire, io me lo strapperò dal petto con le mie mani, e lo
caccerò come un servo infedele.”: ben si addice alla poetessa questa asserzione
del Foscolo. La sua forza nell’arte, infatti, - che è anche, per contrappasso,
la sua debolezza sul piano umano - è questo tendere l’arco della propria
passione contro il muro invalicabile della realtà, fino a lasciarsi trafiggere
dalle frecce che come un boomerang le ritornano addosso, esponendosi come
un bersaglio inerme ai contraccolpi inevitabili della sorte: “Ora sono un ferito
/ che si strappa le bende e vuole / ignorare il dolore, pensare / che niente sia
accaduto, / ma non è così. / Il vuoto è strazio, / il corso dei pensieri non
muta, / né il moto dell’anima e del sangue / cessano d’inseguire / l’ombra vaga
del sogno, / ma presto tutto ricadrà nel gorgo / di ciò che è stato e
s’inabisserà.” (Ora).
Il titolo
“Notturno” evoca l’oblìo dell’inconscio in cui “affondare”, per ritrovare l’humus
viscerale di se stessa, ove affiorano quelle zone d’ombra che solitamente si è
inclini a nascondere, mentre per dare alla luce in pienezza la propria identità
occorre affrontare anche il lato oscuro, attraversare quel guado infido che non
si sa dove ci porterà, mediante un salto nel buio, un abbandono fiducioso
dell’infanzia: “Non c’è ordine prestabilito, / né sforzo del volere /
nell’improvvisa cecità, nel tuffo: / un abbandono al nulla. / Questo è per me
l’averti in cuore, non / c’è altra dimensione in questa culla / e non m’importa
di sembrare folle / importa la felicità assoluta / dell’antica fanciulla. / Mi
auguro per te sia contagioso / il male che mi oscura: / non occorre parlare, né
toccare / solo affondare / nell’azzurro profondo d’ogni mare / e cogliere
nell’attimo l’essenza della vita.”
La voce
della ragione e della coscienza, tuttavia, di mezzo al turbinio della passione,
fa sentire il suo mormorio leggero che riconduce alle alture di Dio: “Io so che
questa storia / prevede un fine corsa / e già dal primo battito sapevo /
dell’ostico traguardo. / Ho divagato, scusami Signore, / ho ceduto alla voce /
del sangue e della terra. / Mi rimetto ai tuoi piani, e col tuo aiuto / potrò
dimenticare, / ma ti prego / accogli insieme a questa prece / il mio dolore / e,
per pietà, donagli Tu quel senso / che ora mi sfugge.” (Per pietà); “Dopo
tanto amore / inutile disperso / con note disperate / ritorno al vecchio giorno
/ di limpido cristallo che tintinna, / squarcio sereno dopo il temporale.” (Percorso).
La memoria è custode di ogni vicissitudine interiore, vestale del sacro fuoco
dell’amore che divampa tra i giacimenti degli istanti preziosi: “Abbiamo vissuto
e goduto forti amori / perduti poi in ostili meandri. / Ora si va per selve di
ricordi / numerando incanti mai sopiti / e fatichiamo increduli a inseguire /
risvegli e primavere, forse / solo illusioni e discromie dei giorni. / Senza
troppi lamenti, tuttavia, senza rimpianti / con lo sguardo che punta
all’orizzonte. / All’Eterno diremo, / vuoti di pregiudizi e citazioni, / il
nostro grazie firmato con il sangue.” (Abbiamo vissuto). S’incornicia il
ricordo nell’idillio: “Siamo andati per mano lungo gli anni / avvolti nel
mirabile mantello / d’albe e tramonti colorati / fino allo strappo dalle tue
radici / al tuo traguardo. / Ora vorrei sognarti per un altro abbraccio /
sentire il tuo calore, la ferita / dello sguardo chiaro, / colmo di memorie. /
Vorrei riavere l’amore appassionato / della nostra resa quando, / annientati, ci
cullava il vento / con fruscii di fronde e canto d’acque.” (Noi).
Maria
Antonia Maso Borso ci consegna, così, un assunto poetico denso di pathos,
ove si può ammirare la sincerità dei suoi versi che svelano audacemente la sua
anima nuda, senza infingimenti o orpelli retorici, come ella stessa scrive nella
nota in calce ai testi: “Considero il Notturno un omaggio alla verità
dell’emozione, del sentimento e del sogno ed auguro al lettore di coglierne
questo significato, al di sopra delle categorie del tempo computabile e del
giudizio precostituito. La verità, a mio avviso, è sempre chiave che introduce
alla libertà autentica, sia come serenità di visione delle vicende umane nella
loro diversità e alternanza, sia come fede-speranza di conoscere un giorno la
perfezione del mistero di Dio nella vita che ci è donata ed oltre la vita
stessa.”
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Recensione |
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