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Ricominciamo da Gesù bambino
Questo
libro è un gradevole omaggio all’atmosfera natalizia - intesa come una
contagiosa effusione di pace e di amore che fa risplendere il bene - che è il
pretesto che ne giustifica l'eziologia, come spiega l'autore stesso ai lettori
nell'introduzione in cui riporta il dialogo con i nipoti da cui è scoccata la
scintilla creativa: “Ed è così
per me e per tutti gli uomini, in fondo noi desideriamo ricominciare e più siamo
tormentati dall'inimicizia e da cattivi pensieri, più si fa vivo in noi il
desiderio di cancellare il presente e di ricominciare da capo, di riandare alle
origini il che significa in fondo, anche se a volte non ne siamo coscienti,
riscoprire il Gesù bambino che, un giorno di Natale, ci ha toccati nel profondo
e che ci ha mostrato che è bello amare e che l'amore dà la pace, la vera pace.”
È dunque un tributo alla figura di Gesù bambino, che viene investigata
attraverso la formula manzoniana del “vero storico” e del “vero poetico”, là
dove la chiaroveggenza della fantasia supplisce alla mancanza di dettagli del
sobrio quanto fedele racconto evangelico. Ne scaturisce, così, un epos
avvincente e al tempo stesso edificante, espresso attraverso la semplicità e la
limpidezza del linguaggio, in cui il vissuto presente attualizza quella lieta
novella della nascita di Gesù, che si ramifica nelle diverse figure bibliche che
la preconizzano e in quelle delle nuove generazioni che l’inseguono,
riscoprendola nei volti e negli avvenimenti del quotidiano.
Ecco che abbiamo,
allora, quel vero e proprio gioiello di Abdia il samaritano, in cui,
sulla falsariga della celebre parabola del Vangelo, s’intesse una vicenda umana
personalizzata e dunque densa di pathos, in cui possiamo conoscere da
vicino i personaggi coinvolti in questo gioco drammatico, in cui si dibatte la
dialettica del bene e del male che costringe ad uscire dall’anonimato e ad
assumere, a ciascuno, il suo ruolo, secondo il proprio comportamento, abitudini
e visione della vita. Gesù, infatti, è “segno di contraddizione affinché i
segreti di molti cuori siano svelati” (Lc 2,34): dinanzi alla radicalità della
sequela di Cristo non si può rimanere neutrali, è d’obbligo prendere una
posizione, o il rifiuto che asseconda la chiusura egoistica o il consenso che
esige il sacrificio altruistico. Inoltre, le azioni e le reazioni incalzate da
una situazione d’emergenza fanno risaltare ciò che nella superficialità del
quotidiano era nascosto e soltanto in potenza, sia nel positivo che nel
negativo, ciò che si rivela in qualche occasione decisiva, come questa difficile
prova cui sono sottoposti gli attori di tale scena fissata dalla sapienza
dell’affabulazione evangelica. L’autore, con un colpo di genio, incastra i tre
personaggi in un circuito dinamico, in cui nessuno è estraneo all’altro:
sappiamo che il samaritano è un povero orfano che si guadagna onestamente da
vivere vendendo colombi per i sacrifici del Tempio di Gerusalemme, che il
malcapitato è un cambiavalute che lavorava accanto a lui e gli era nemico,
avendo fatto anche la spia per la sua origine, considerata dagli ebrei
osservanti impura, e non soffrendo la sua vicinanza per i guadagni così dimessi;
mentre il levita che gli passa accanto senza fermarsi quando giace a terra come
morto è stato proprio colui che ha riferito agli zeloti predoni che costui si
sarebbe messo in viaggio con un’ingente somma di denaro; invece il sacerdote che
ugualmente passa oltre era addetto al culto del Tempio, ma non intendeva
sporcarsi le mani e profanarsi con il sangue. Attraverso questa trama intricata
s'incide la paradossale e sconvolgente buona novella di Cristo: che a chinarsi
sulle ferite del prossimo è proprio chi viene considerato un pagano non
ossequiente alla legge divina, il quale invece perdona a chi ora si trova nel
bisogno la sua ostilità, nel nome di quel Gesù bambino che, davvero, per un
sorprendente colpo di scena della Provvidenza, ha avuto la grazia di contemplare
mentre veniva presentato al Tempio da una non comune giovane coppia di sposi
quali Giuseppe e Maria.
Vi sono,
poi, altri racconti incastonati in questa suggestiva cornice della notte di
Betlemme, come Il sogno di Ruben, in cui si narra la vicissitudine di un
orfanello che ha avuto la buona ventura d’incontrare Cristo da infante e di
riconoscerlo poi da risorto; La roccia della nostra salvezza, in cui
Caleb si troverà, fortunosamente e inconsapevolmente, ad aver fornito il bue per
scaldare il piccolo Gesù; L’attesa e l’incontro, in cui si celebra il
solenne incontro tra l'anziano profeta Simeone e il Messia lungamente atteso;
Il vero Natale, in cui si compie l’antico desiderio di un sognatore
ed idealista come Natanaele, o meglio Bartolomeo, di vedere il Salvatore; la
deliziosa favola che è a conclusione del libro di Piccolo e Bambolo, in
cui il bue e l'asinello escono dall’immobilismo della coreografia del presepio,
per narrare da protagonisti, in modo buffo e simpatico, quella notte memorabile:
“Penso di sì e questa è una bella notizia per noi perché il nostro lavoro umile
diventerà un esempio per tutti. Del resto io penso che ci sia più soddisfazione
nel servire che nell’essere servito.” (p.139).
Inoltre,
Gianni Ferraresi rievoca la sua infanzia costellata da tante figure positive,
dai suoi antenati nella fede (Candido e la figlia Malvina), dai propri
genitori (Il dono), dai nonni (La palla di vetro), dagli amici (Il
mio amico Franco), ciascuno “portatore di valori sani” che gli hanno
additato la Via, la Verità e la Vita che si ricapitolano in Cristo, che è la
sorgente di ogni bene. L’autore ripensa con gratitudine a quanti gli hanno
tramandato il messaggio della salvezza e intende custodire gelosamente questo
patrimonio prezioso che desidera consegnare in eredità ai suoi nipoti: “E così,
mentre gli anni bussano sempre più insistenti alla porta della mia vita, mi
consola riandare col pensiero a tutte le persone che, a cominciare dai miei
genitori, hanno predisposto il mio animo ad apprezzare il buono che c’è nel
cuore di ogni creatura e, nel fare questo mi diverte chinarmi sui miei nipotini,
che stanno aprendosi alla consapevolezza di esistere, e raccontare loro che
hanno una grande Mamma e un Fratello maggiore buonissimo che li sta guidando e
che tutti gli anni, per Natale, si diverte a farsi piccolino per essere
coccolato da loro.” (Pinocchio e i miei Natali, p.73). Questi bambini
sono i virgulti che si affacciano alla vita con fresco stupore e meraviglia, con
cui Gianni Ferraresi cammina mano nella mano, li guida con tenerezza e premura
paterna verso la luce che “rifulse” (Isaia) quella notte straordinaria in una
sperduta grotta di Betlemme, sotto l’egida di uno splendido firmamento e di una
stella comèta, e che continua ad illuminare i nostri passi dietro le orme del
Verbo incarnato, crocefisso e risorto, l’Astro radioso che trasfigura l’universo
dello splendore del Suo amore eterno.
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Recensione |
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