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Questa raccolta è un florilegio di immagini delicate, di versi soavi inebriati della fragranza aromatica e intensa che emana la rosa, fiore perfetto e nobile, che assurge a simbolo di sublime bellezza. Rêveries fascinose e melodie musicali deliziano il lettore, che si trova come estasiato nell’aspirare i profumi di un aulente giardino di rose: “Autunnano alle porte brevi paradisi ! e la luce quieta ! di uno stare senza fine ! spande oro sui vetri ! alla finestra dei presagi. ! (…) Bianchi ricami di nubi gonfiano il tramonto, ! accesi di sorrisi ! e il cuore, pago, smette di pregare ! supplicando questo tempo di restare.” (Comete). Un’illustre tradizione celebra questa regina del prato: da Cielo D’Alcamo con Rosa fresca aulentissima, al Poliziano con La ballata delle rose, in cui la rosa è simbolo dell’amore da cogliere prima che appassisca la giovinezza, al Gianbattista Marino nell’Adone, ad Attilio Bertolucci (Rosa bianca), per poi passare attraverso quella francese di Le Roman de la rose di Guillaume de Lorris e Jean de Meung (sec. XIII), in un’allegoria della vita e dell’incantesimo amoroso, poi di Ronsard (sec. XVI), con l’ode celebre (Mignonne, allons voir si la rose…). Anche Lucia Gaddo Zanovello le tributa un vero e proprio elogio: “E la rosa s’attende che schiuda ! qualcosa che incanto soave rimandi. ! La rosa inanella la cosa più bella ! che ardisca sbocciare. Ah la rosa, si posa ! radiosa alla sposa che osa ! aprire all’amore il suo fiore.” (Cos’è una rosa?). Le fa eco Elsa Morante ne L’isola di Arturo: “E così in eterno ogni perla del mare ricopia la prima perla, e ogni rosa ricopia la prima rosa.” La rosa è come uno scrigno che custodisce l’essenza della bellezza: “Non ha sigillo il vaso dei pensieri ! emana, come ogni stelo ! una corolla, astato ! è dovizioso il calice ! d’opalini fermenti, come il vino ! quando ferve e ribolle.” (Calici).

La vita è una trama di luci e ombre sottesa tra cielo e terra, un canto che sale dall’orizzonte incendiato dal sole che sorge: “Se tutto il senso del viaggio ! è un arpeggio di gioia e dolore ! se ha senso l’amore ! si accende e si spegne la vita. ! Più vero e sincero ! è il canto che sorge il mattino ! in fianco alla morte ! che già tocca in sorte.” (S’illumina e spegne). I paesaggi sono accarezzati e trasfigurati da quella luce che indora, da quella divina brezza che sospinge la cosmica armonia: “Non è silenzio la solitudine dei campi ! percorsi da brezze di voli e di stridi ! non è stanchezza che piega le spalle ! al sonno, ma il sole che tutto declinato ! dietro il monte sospira. ! S’annuncia il sogno coi passi della sera ! soffusa di colore blu marino ! sulle cose abbandonate intorno al cuore.” (Brezze di voli). Il nuovo giorno che nasce ha la grazia di un fiore che sboccia, lo stupore estatico dell’eterno splendore: “non un alito di vento sull’alba di cristallo ! e i suoi bagliori di stella ! a vegliare il piano silente fra i labbri dei monti. ! Daccapo il giorno è un fiore ! rirespira nel canto della luce ! ma il tono è ancora di minaccia ! al sangue verde dell’azzurro che si accende.” (L’orso del silenzio).

La natura è specchio dell’anima, diventa metafora delle sue diverse stagioni, delle sfumature cangianti nel gioco alterno degli sguardi invisibili, nella dialettica tra bene e male, tra gioia e dolore: “Terra avita, le stagioni ti mutano il vestito ! - ogni mese uno spartito -. ! La tua bellezza adorna inonda flammeo il sole ! e ti feconda la nube che t’adombra. ! (…) Il volo che si leva ! ha nido nei fiori odorosi dei tuoi rami.” (Terra avita). Struggente è questa poesia che si leva dal grido della terra trafitta, che si protende supplice verso il cielo pietoso: “Solleva lieve il suo respiro il creato ! teso al cielo di domanda. ! Tutto il mondo gli è passato contro ! in guerra ! e la battaglia ! spenta nella luce che ritorna ! mai fu vinta ! ma involuta di corteccia avvolta ! sta nel tronco che germoglia ! dalla morte.” (7 febbraio). L’autrice ha il dono di leggere la natura come un libro aperto, per cui animali e vegetali sono in piena sintonia con il suo mondo interiore; è come se li sentisse respirare e con essi intessesse un dialogo intimo: “Nel sorvolo alto che libra sui poggi ! il sole trapassa ! l’anima azzurra delle genti ! e vede la traccia dei sentimenti ! avvolgere densa l’ombra del fare, ! l’orma inaridita delle còlte messi, ! il campo arato, il fosso inciso di nebbia, ! i rivi chini d’acqua ! che convogliano l’oro dei pesci ! e l’argento nudo della pelle al fiume ! che riduce al mare le sue pene ! e le piene all’onda. ! (…) I delfini felici dei desideri ! solcano l’aria chiara ! e il ciglio di una fiaba d’oro. ! Canta il saluto della gioia ! nell’alta marea d’incontri. ! Nella festa d’esserci ! il fervore della cura ! colma lo sguardo di sorrisi.” (Delfini). Suggestivo è questo inno elevato al mare, icona di maestà suprema di azzurra primavera di eternità: “Liquida sete di andare ! per la vertigine dell’attesa d’amore ! torna dovunque il mare e ovunque va ! la sua liquida destrezza ! la sua umida salsedine ! sale a me con la brezza ! mare alto, gola d’abisso ! e passo all’altra gente ! orizzonte e specchio della vita ! flusso e risucchio d’ebbrezza ! còsta d’ogni attesa ! e riva e orlo di speranza.” (Il mare). Esso è metafora del tumulto della Storia che incalza fondali sommersi: “Tutta l’energia dell’onda ! afferra questa storia ! spinta alla marea dell’inconosciuto ! equilibrismi ibridi ! iridi giorni ! ancora ancorati a ore affastellate ! ai piedi della rampa.” (Legittima).

La vita è una forza di resistenza ad oltranza, che attecchisce perfino da una zolla inaridita e da un germoglio secco: “Forse un bruno ramo senza gemme ! sulla zolla fra le pietre, forse un seme ! pianto dentro il frutto dissacrato sulla terra, ! forse il tono tenue di una mano che raccoglie ! saranno via alla vita, approdo all’anima ! che attende si faccia giorno ancora.” (Senza).

Vi sono espressioni fregiate di arabeschi di eleganza estetica e soffuse di squisitezza lirica: “e allunano soli i richiami inauditi delle stelle.” (Rodei); “e ritraspare il mare.” (Velature); “e scoprire topazi di spazi” (Humuschianti afrori); “Impigliata al secondo ramo del cedro ! stava una luna di piuma, ! s’alzava nell’aria celeste ! al mar palpitante di stelle.” (Transitori viluppi). Si possono assaporare versi molto affascinanti: “Il negro pilastro del gran cedro ! è buio fiore ! fra i diamanti incastonati delle stelle ! garze spiegate d’organza ! i cirri nel cielo lattescente.” (Notte di vetro viola); “L’arco poggia della sera ! sul tramonto viola ! che scava dentro il cielo una culla ! fonda dell’abbraccio della notte chiara ! per il bianco della luna. ! Non appassisce l’onda al mare ! della sua grazia ! né sfiorisce la bellezza ardita delle stelle ! riverse a carri sull’infinito sì alla vita.” (Insistenze); “La radice degli sguardi germoglia ! sui rami delle attese ! sorprese di passeri improvvisi.” (Cumulonembi).

Struggente è questa elegia rivolta alla figura materna, ormai naufraga negli spazi siderali: “Fa’ ch’io veda il ramo ! delle mie radici ! almeno un giorno avvenga ! che in solitudine beva ! il tuo segreto, madre, ! che nascondi il volto nella sabbia ! dell’altrove. ! (…) Ora sigilla la nera notte azzurra ! una luna immersa ! nel tondo topazio che nulla cela ! dell’abito perfetto del tuo cielo.” (D’aver perduto).

Di coinvolgente pathos è questa dedica della scrittrice all’amato, a cui lo lega un sentimento che travalica i limiti dello spazio e del tempo e che sfocia nell’eterno: “Neppure per un attimo avrei slacciato le dita ! dalle tue, che mi smisura il cuore ! che tu senta quanto tutto t’amo. ! Che dove sei e come stai m’importa. ! Da qui all’Eternità. ! Tutto indìa il pensarti, acuto. ! (…) Tu, grande uomo e mio piccino, sempre, sei ! l’anello che mancava all’Uno che mi ! stringe.” (Tutto).

Lucia Gaddo Zanovello dà prova di una notevole raffinatezza stilistica, nel linguaggio aulico, nei giochi di assonanze e allitterazioni (“Vola il velo degli eventi”), nelle meditazioni folgoranti che raggiungono vertiginose vette di poesia: “Così si sa che sapore ha l’esistere ! che ha contato tutte le parole ! come pepite d’oro nell’acqua del mattino ! quando sorge la gioia dei suoi raggi ! sulle più alte fronde ! dal mare del silenzio ! e dalla maestà di un altro giorno si leva, ! stupefatto di colore, il mondo.” (Frangibilità). Un altro capolavoro di lirismo, di cui si può aspirare l’inebriante fragranza e delibarne il favo di miele stillante, è in Di viva porpora scarlatta: “Sono toni di rubìno accesi che il tramonto travasa ! al cilestrino avanzo della luce ! quando il corto giorno ha già operato al mondo ! tutti i suoi miracoli di cure ! e l’eterno riposo è tenerezza ! nelle braccia ardenti della verità. ! Nel setoso mantello d’oro dell’umile creatura ! è l’iride del sole, ! l’aurora che verrà e il suo sorriso che tutto trascolora. ! (…) Nel treno delle ombre, amate tanto e già partito ! nel sangue solo e rinnegato, ma d’onestà vestito ! vetusto il cuore, ma di tanto fare e amare onusto, ! che non sostiene e più non dice di vaghezza, ! in questo qui perfetto, che l’empio disonora, ! è la bellezza.” O ancora si può ammirare la grazia fiorita di bellezza di questi testi: “Nel disvelo bianco apre il plenilunio ! e di stella in stella ! fino al pallido cielo dell’aurora ! tutta chiara squaderna la realtà. ! (…) Parlano i millenni d’incisa luce ! e ride l’averla pulsante nell’azzurro. ! A meraviglia gira e gira la pagina del tempo ! (…) fragore di luce che discende ! e che disseta in rapide di gioia ! quel fil di ebbrezza ! che tinge di colori il mondo.” (Nel disvelo); “Staziona caduta, ipogea la mano ! che dipingeva il campo riarso dell’estrema foce. ! Quest’oggi naviga mite nell’inverno; ! sfuma in contorni cilestrini l’umbratile metodica luce ! della sera precoce, ! ma fu giorno capace di inaudite risposte ! fu lampo di vero, ! vibrante nel nulla apparente dell’aria. ! (…) Certo vedranno i passi successivi un mondo nuovo ! sceso al crocicchio dell’incontro: ! nùbile veste d’altro evento, in attesa.” ( Nubenda).

Recensione
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