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Scenografia d’un sogno
Queste
cinque poesie costituiscono la coreografia di un sogno fiorito dallo spazio
interiore, partorito dalla nostalgia e dall’amarezza di ciò che si è
ineluttabilmente perduto: “Più non mi accompagna la speranza viva / nella luce
che ancora serba il tuo ricordo / ed ora il silenzio del mio cuore si riposa /
come fosse chiuso in una tomba obliata. / E più non trovo il secchio per
raccogliere / quelle voci cadute nel pozzo della vita, / le gioie sono
calpestate da passi ignoti / e non dormicchiano più sogni tranquilli. / Il cuore
soffre, quasi fosse stato trafitto / come un albero stanco colpito dal fulmine,
/ mentre il vento ansima sulla nuda verità / riscoprendo le crepe della mia
esistenza. / Non so in quale pozzo potrà nascondersi / la rovina dei miei ideali
a lungo amati, / questa sera gioca sopra il mio viso ombrato / una molestia che
ha il sapore dell’eternità.” (Gocce di cristallo). Sono rêveries
venate di elegiaca malinconia, ove sfilano le persone amate ormai lontane come
ombre: “A volte ho voglia di baciare la tua ombra / che ora non è più materia ma
solo sogno, / ma non fu sogno la marea di tenerezza / che mi offrivi quando eri
ancora in vita. / Te ne partisti ed io non seppi cosa dire / e restai alla
finestra a vedere il tramonto / che moriva con te e con te spariva lontano /
lasciandomi un odore di morte nel cuore. / Quel giorno lasciasti i tuoi arditi
desideri / sulle cime nevose di quei monti, ricordi? / E dai miei occhi caddero
gocce di cristallo / mutate solite dal dolore che provai per te.”
È una poesia
che non distoglie lo sguardo dalla realtà tragica che la circonda, come nel
constatare le sofferenze della terra palestinese: “In Palestina oggi si soffre
come non mai / mentre si attende la comparsa del Dio loro, / i sogni si perdono
nelle pieghe della notte / e il disagio della vita entra dentro il cuore. /
Domani forse sul mondo cadrà una luce / e la vita si bagnerà in fiumi
d’illusioni, / ma intanto il grido della speranza / si perde in labirinti privi
di un’altra via d’uscita.” (Una cascata di ferite). Insorge un anelito di
riscatto dei tesori preziosi del passato che si fa struggente invocazione che
sgorga dalle più intime fibre dell’essere: “Tra le rocce selvagge e tra le viole
cerco / un’acqua di fonte che scintilli al sole, / per dissetare il ricordo
delle cose più care / e rivivere i sogni miei orlati dall’amore. / (…) Questo
silenzio offende l’anima e la carne / e resto muto come dopo l’ultima preghiera
/ rivolta a te, Signore, con tutto il mio cuore. / Anche le ore stasera sono
ferme in attesa! / Stasera il vento mi restituisce i fantasmi / del passato che
colmavano di monotonia / il vuoto che si schiudeva dentro l’anima / se
non trovavo armonia nella preghiera. / Echi sperduti di gioie e sazie ambizioni
/ si accapigliano negli anfratti della mia età / e si dissolve la tacita voce
del domani, / così ritorno sulla soglia delle mie memorie.” (Echi di gioie).
In Ricordo d’amore si rivive tutta la tenerezza del rapporto amoroso
avvolto in un’atmosfera idilliaca, in un incanto di sogno, drammaticamente
piombato nel buio con gli impietosi oltraggi del tempo: “Sempre il tuo sguardo
era luminoso di vita, / faceva risplendere le mie ultime speranze / ed i miei
giorni si fasciavano di serenità / mentre l’anima si circondava di pura luce. /
Sempre si aprivano i portoni dell’anima / e al di là apparivano chiari universi
di pace / dove non sentivo il lamento del gabbiano / dove tu coglievi fiori
aspirandone l’aroma. / Il giorno accanto a te non tramontava mai / neppure il
sole spegneva mai la sua luce, / il cuore non conosceva nemici né polvere / ed
annegava nel silenzio dell’eternità / (…) Ora è finita nel buio la stagione
dell’amore, / è calata come il sole muore all’orizzonte, / ora nel mondo sono un
ospite non invitato / e mi rimane un cuore gonfio di memorie. / Serbo amoroso
ricordo delle ore d’amore / ora che la vita mi dona solo sangue e luce, / ora
che sento l’infinito deserto del mondo / e cupo prostro e piego il mio capo
ferito.” (Ricordo d’amore).
A
coronare questa scenografia d’un sogno è l’ultima lirica che assume il
titolo dell’intera raccolta, la quale si aggrappa al passato di cui custodisce
la sacralità della memoria, per poi proiettarsi in un futuro che è la dimensione
trascendente dell’eternità: “Il silenzio amplifica le ombre nella stanza / fa
nascere pensieri a te rivolti con slancio. / Arroccati alla scommessa della
vita, docili / emozioni fanno la scenografia d’un sogno. / Ricordo i passati
incontri con le favole, / lo stupore e la paura che tagliava i passi, / le onde
s’adagiavano nel canto del mare / dove l’alba aveva un tono sempre nuovo. / (…)
A volte m’assale un senso di vuoto, di nulla, / la realtà del mondo mi appare
senza senso / ed i perché si moltiplicano come le stelle / che guardano in
silenzio il mio dolore. / Unico conforto alla recita di ogni giorno / è il
pensiero del nostro incontro futuro / quando potrò bere il silenzio dei secoli /
e ritrovare la pace che Iddio vorrà darmi.”
Licio
Gelli in questi testi aspira a ricomporre, attraverso il tessuto lirico, nello
spazio dell’ideale, la trama sfilacciata della propria sofferta vicissitudine,
evocando le presenze amate del passato, i luoghi cari, “l’isola dell’incanto”,
allestendo, appunto, la “scenografia d’un sogno”, l’unica dimensione ove sia
possibile adunare tutti i ricordi felici e realizzare ogni desiderio senz’ombra
di rimpianto.
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Recensione |
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