Un filo di sabbia
Enzo
Schiavi, in questi testi, ha accenti delicati e intensi per suggerire l’infinito
che è racchiuso, come in uno scrigno di cielo, nello spazio fiorito della poesia
che germoglia dalla contemplazione della natura: “I tuoi occhi hanno | voce di
oceano | che grida l’abisso | del cielo.” (Nel profumo di mele). Il
sentiero della vita tracciato da una mano divina è inanellato tra le stelle di
un misterioso firmamento notturno: “Inebriarmi | di carezze incerte | di
frangenti. | Laggiù, | nell’intreccio furtivo | degli ormeggi, | l’inquieta via
| del cielo.” (Inebriarmi). L’autore insegue le estasi dell’anima che si
sprigionano dall’ebbrezza dell’essere: “Sento | la felicità | nel fiato
| della
speranza. | Tu ti dissolvi | nell’incognita | boreale | del cielo, | io resto
|
nella brezza | dell’alba.” (Una roccia).
È una
ricerca inesausta che sospinge oltre l’orizzonte, verso l’oceano di silenzio
dell’eterno: “Vado nel fischio | della notte, | colgo il fiato | di Dio,
| e la
stretta | di mano | è una fuga | nel cammino | del vento. | Foglie nella bufera:
| qualcosa resta…” (Qualcosa resta).
Il poeta
insegue frammenti di sé dispersi nei meandri della realtà, nella quale spazia
come “lunga ombra di airone | nell’eternità”: “Poeta, | tu canti gli inganni
|
delle nuvole | nel profumo dei limoni | acerbi; | racconti, | nel buio degli
orridi, | il cammino inquieto dell’anima.” (La lunga ombra dell’airone).
Vuole dar respiro al proprio spirito, tentare il libero volo: “Chiedo spazio
| alla mia anima, | voglio raccogliere | nelle mie mani | il respiro del vento,
| con il canto | dell’airone | in bilico sul bordo | dell’onda.” (Cerco il
mio volto di fuga).
Il mare è
metafora di quest’ansia di evasione dagli angusti confini del contingente che
preme sulle pareti del proprio cuore, che non può rassegnarsi alla desolazione
della finitezza: “Naufrago, | calpesto stracci | di vele | tra pallide ombre
|
di gabbiani. | I miei occhi | hanno il sapore | della fuga.” (Ritmi lontani);
“Le mie mani | non hanno respiro | di anima. | Scrivo sulla sabbia | il profumo
dei gigli, | rincorro il silenzio.” (Afferrare fiati di rondini).
Un
soffuso lirismo permea questo testo: “Un attimo | ed è grido di colori. |
Inseguire pulviscoli | di sole | con mani avide | di fughe, | passi furtivi |
raccolgono | vaghi canti di allodole | nel bianco pudore | del tramonto. |
Tremore d’azzurro, | inseguo l’invisibile.” (Inseguo l’invisibile).
Vi sono
espressioni poetiche suggestive e delicate: “Io scavo l’ombra | dei rubini.” (Io
scavo); “Il mio grido | d’oblio | rompe riflessi | di onde turchine.
| L’eco
| della tempesta | resta. | Il mio sguardo | trema.” (Il mio sguardo trema);
“Resto quassù | nei picchi | azzurri | e respiro | nuvole.” (Picchi e nuvole).
Questi
versi sono tenui e sottili come “un filo di sabbia”, appunto, che sfugge dalle
mani, proprio come questa vita, così inafferrabile nel suo miraggio evanescente
che fa balenare a tratti un altrove di compiutezza e di felicità perfetta: “Ora
vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo faccia a
faccia.” (1 Cor 13,12).
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