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Un grido nel buio
Un grido nel buio
è l’intima insurrezione dell’essere a fronte delle tenebre, l’impeto dello
spirito che sfonda il muro del silenzio: “Una parola, / una parola soltanto, / e
il mio cuore / non s’arresta. / Piange. / Offre il suo grido / a una storia /
che non ha fine. / La mia anima / scende dai lunghi ricordi / e non ha tregua. /
Urla la Certezza. / Dice: aspetta, / poi ci sarà un mistero / e il mistero offre
/ alla tua anima / il lungo urlo di fuoco. / Profumo di un grido nel sole. /
Aspettami: / la mia forza coglie / il tuo respiro.” (Aspettami).
È una
contemplazione degli scenari naturali assorta nel divino: “Mille sorrisi celano
dita / vibranti note d’infinito… / Occhi di vento restano velati / di silenzio.
/ Notturni melodiosi si tuffano / nel vuoto, / per catturare trecce bionde / di
aurora. / Gli abissi colgono sentieri / di rimpianti / avvolti dalla luna: / non
ci sono carezze d’amore, / non ci sono gioie di certezze. / Tutt’intorno:
tenebre, stoppie bruciate, / alberi spogli di rami. / Ma lassù brilla una
stella. / E la libertà accoglie la musica / di una Croce velata d’azzurro.” (Abissi
e notturni melodiosi). La preghiera è un battito d’ali dell’anima, il suo
respiro di cielo: “Scrivo il tempo: / i miei occhi fuggono le illusioni / che
s’attorcigliano sui tetti / come fiati di gabbiani / nel caos del silenzio. /
Prego. / Dio lo vedo nell’uomo / a trapanare montagne di pietre: / io grido
l’eternità. / Ci sarà quiete in questo tramonto / che sa di rosa: / trattengo il
fiato. / L’attimo del Confronto / si trasforma in ombra di palude. / Una foglia
si dissolve / nel profumo dell’ebbrezza. / Tace il tempo.” (Tace il tempo).
È un varco d’azzurro dalla soglia dell’aurora affacciato sull’eterno: “Il
perdono: / una preghiera azzurra / di gabbiano / che punta al cielo / con
soffice sussurro / di volo. / Non c’è rumore di parole: / il macigno nel petto /
si fa oblio, / la solitudine cattura / la libertà. / Nel grande urlo dell’attesa
/ ascolto il bianco respiro / del pallido volo / e vivo il soffio della
Chiarezza. / Resto sospeso: / l’abisso dei miei occhi / cerca la croce. /
Credo.” (Credo).
L’amore è un tuffo d’infinito dall’abisso, una raffica
di luce dal buio: “Amore: / attimo di un ricordo, / cammino e riposo, / sorriso
e pianto. / L’amore è sottile brezza / d’infinito / che ravviva la freschezza /
di un fiore di campo / e il tempo resta in piedi / a urlare la passione del
cuore, / con gli occhi che sorridono / all’incontro del Cielo con la Terra. /
Come il volare di una foglia / nella luce dell’alba. / L’amore è voce di violino
/ sfiorato dal violinista sperduto / nel mare della fantasia; / ed è soluzione
che vince / i sospiri del tempo inseguito / dai topi. / Non c’è solitudine, / e
il silenzio è eco di cielo / che offre l’abbraccio / di un raggio d’aurora.” (Amore).
Il creato riverbera lo splendore di Dio, come l’irradiazione del Suo sorriso:
“Raggio di tramonto / che sfiora il vago errare / di un’anima. / Tremito d’ali.
/ Dai querceti sfumati / nei valloni, / il gabbiano grida / la sua preghiera /
azzurra.” (Prima del buio).
L’amore materno è la forma più alta d’affetto, votata alla dedizione e al
sacrificio silenzioso: “Mi chiamano per nome / nel buio, / so che sei tu / che
aneli a questo pellegrino / delle steppe siberiane. / Piango nella notte, /
sento che mi pensi, / lassù nel tuo letto di spine, / aggrappata al filo
incorruttibile / dell’amore; / e quando mi vedrai / farai finta di nulla.” (A
mia madre).
Interessante è questa allegoria del viandante speculare del veglio
leopardiano, il quale, dopo la faticosa salita, finisce per stringere il nulla,
una volta giunto al termine del suo pellegrinaggio: “Raggiunsi il viandante, /
lui mi guardò appena. / Camminai con lui / per un lungo tratto, / poi gli
chiesi: / «Che c’è nel tuo sacco, / viandante? / Sembra vuoto, eppure / fai
fatica a portarlo.» / Lui mi guardò sorpreso: / aveva la luce negli occhi. /
«Illusioni», disse infine, / e mi sorrise. / «Illusioni?» ripetei incredulo. /
Lui allungò il passo / e io allungai il passo / per stargli al fianco. / «Sì»,
affermò all’improvviso / con dolcezza. / «Il mio sacco porta soltanto /
Illusioni.» / Gli guardai le spalle: / erano curve sotto il peso / del sacco. /
Camminammo ancora / e il silenzio cadde / nei nostri passi. / Alla fine lui
esclamò: / «Laggiù c’è!» / Mi sorrise. / Io rimasi assorto / a contemplarlo. /
«Cosa, viandante?» / chiesi alla fine. / «L’amore che mi aspetta. / L’amore che
aspetta il sacco / per vuotarlo.» / Restai di stucco. / Lui affrettò il passo /
e andò avanti da solo. / Il vento stormiva tra i rami.”
I
versi di Enzo Schiavi hanno il timbro sincero e denso di pathos di chi ha
il coraggio della fede, della trasparenza della coscienza e della lucidità
intellettuale, in una visione lungimirante e profetica della realtà, attraverso
lo sguardo acuto della sua sensibilità e chiaroveggenza poetica.
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Recensione |
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