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Vele al VendaVele al Venda, come scrive Silvano Trevisani nella prefazione, è una “isola senza mare che è allegoria e metafora di un luogo mitico che può essere ogni luogo purché al mito si dia dimensione di rivelazione umana e non di nascondiglio per pensieri reconditi e intraducibili.” È un archetipo di bellezza che abbaglia e trascende i sensi, culminando in una celebrazione estatica. Il vertice di questo sublime è Dio, sapiente architetto del cosmo: “La quota del lancio / fa apparire perfetto il mondo / da principio / l’altezza non rileva difetti al ricamo / né le trafitture dell’ago necessarie / a cucire i giorni fragili / nel diario della memoria / fra le vele lente / dell’imago mundi festosa. / Scrivere è dire per sempre a tutti / farsi dare dal tutto / anticipo di risposte / tragitti nuovi / sentieri alternativi / che mutino i mutanti muti / intorno / notte e giorno vaganti / nelle confuse plaghe della mente perse / negli aerei borghi della malinconia / per la sete di andare fra le meraviglie / a lodare / chi le volle e plasmò / innumeri / e immense / fuori e dentro noi / spiriti essenziali / particole di Dio.” (Qualcosa di niveo).
Il linguaggio è aulico e le intuizioni sono molto profonde, per cui le verità trapelano da “una foresta di simboli”, per avvalerci di un’immagine di Baudelaire: “Alle creature pesa il mantello / fragile di carne / sulle spalle dei timori.” (Test); “Se dai mondi accanto venissero voci / a incidere sapienze / sui cardini dubbiosi dei pensieri / che ci portano in cima ai giorni, / sarebbe vano vivere cosí come / si suole, in bilico alla sorte / ché il caso non è scelta, responsabile mossa / per giocare al meglio pedine e regine / lungo i diagonali orizzonti degli / asincroni scacchieri / che impilano i secoli sul cono / interminato / oltre le nubi. / Creature in carezze rivolgono sguardi miti / all’infondato timore del buio / del trapasso / che non è che balzo / nella separazione / apparente. Lancio / nell’oltrespazio intrecciato a questo / con refe d’amore.” (Qui ora); “Parole come involucri / di idee / inanellano i pensieri. / Suoni di nomi amati la musica degli amori / chiamati nidi / segni come semi / germogliano richiami / si formano le scene / dei ricordi appena nati / imprimono nell’oro dell’eternità / eventi come rivelazioni / cercate e inaspettate. / C’è sempre alquanto di sorpresa / dopo l’atteso figurato / l’alea di ciascuno fonde col mare alto / di tutti i convenuti / al molo della sintassi decisiva. / Perciò non è dato sapere l’esito esatto dei sarà. / Intanto, ciò che pace non ha / attende diroccato fra le braccia spente / di chi voce non ha, / preda dei venti / che a mille soffiano le contrade / deserte / dei camposanti notturni.” (Labirinti). I versi sono improntati ad un intenso lirismo: “Ma ecco tracce di voli / scrivere paradigmi ultimi fra le nuvole in cielo, / si rialza la ragione di essere qui / svegliate di fresco / sul balcone esterno del mattino.” (Ricognizione); “A Nord rotolavano le procelle / senza albe / – grafema muliebre la tenerezza. / Parole sgretolavano muri / antistanti le idee. / Aride nuvole svanivano veloci nel vento / – falde di fune / nell’azzurro che apriva. / Atone cineree cavallette dal ventre gonfio / di bramosia. / Faceva mostra di sé / bellezza peritura / nutriva di infinito i desideri / vagellavano tenaci / la superficie apparente del mare / identico al cielo / mutante specchio / il tempo vagisce ora di memorie. / Appena fuori l’eterno. / Sopra, l’essere / adorno di identità / confuso / nella moltiplicazione dei consensi / docili per amore. / Proposte disposte a risposte.” (Dall’imperfetto); “Alla fine dello spartito inizia la musica del silenzio / e perfette si scrivono, nel rigo dell’impermanenza / le note opaciformi del tutto possibile / ferme ali nel volo dell’ascesa / – agl’inferi, ché sopra e sotto non ha luogo / nell’universo che dilaga / gli scavi della commozione, / fiordi immersi nelle coste del cuore – / saggiano le corde della melodia. / Un presente finalmente immobile / respira già nel diafano colore / della purezza.” (Intonazioni); “Esci dal mio tumido pallore, / dai capelli unti di salsedine / dal grande cuore, deflagrato, / spirito della vita. / Issa / l’azzurro dei miei occhi, / come un vessillo spazi / la bellezza / del mare cielo / che mi ha inghiottito l’anima. / Li hanno capovolti le mie mani / nel conato di restare / lungo il grido / inascoltato. / Eppure il sereno resiste / come il sorriso mio / sulle corde tese del mondo / e lo sguardo penetra, / senza lenti, / l’amore di chi resta / a vangare il dolore / e la fatica / radiosa / lungo la prova / desolata.” (Stendardi); “Giungono per le teleferiche silenti / dell’imponderabile echi chiari / d’altri esistiti, affini per dolore / parenti acquisiti piú del sangue stretti / nelle ragnatele perfette / fra i mondi tese. Senza strappi / intonano le corde dell’armonia / nel caos presunto, perfezione invisibile / ora netta. / Improvvisi nitori evanescenti.” (Abbrivi). Vi sono espressioni molto incisive, come lo sono i titoli che definiscono le liriche: “il solo amore / vanisce le ammesse colpe” (Sitientium); “trasumanando / nell’oltremondo / traghetta l’anima alla luce / in un cocchio d’ossa.” (Noli amplius); “È luce infatti / a ogni grado che gira / fisso / allo sguardo di Dio.” (Frase); “Nell’unicità dell’io sono, di crisi in crisi, / l’anima detergo / per avvolgerla infine / come in un sudario / nel tessuto amato / di tutte le creature.” (Il sole sorge in tutte le lingue del mondo); “Siamo qui per questo, / per inalberare / vessilli ridenti / al vento d’essere.” (Delizie); “Stravaganti cilestri coincidenze / incrociano le maglie / a tessere il creato.” (Incongruenze); “libellula l’anima / veleggia sola l’aria chiara. / (…) Può darsi che ottenga altro respiro / questa luce alta / che abita l’eterno.” (Traiettorie e traghettanti trame, / fra questi tramagli vieni, fratel mio); “Come l’abito che porto e fascia / la ferita di esser viva tra i vivi.” (Kalispera); “Tutto santo è il dolore del mondo / e il caldo e freddo sangue delle specie / scorre nell’unico fiume della sopravvivenza. / Nelle regge dei mondi vagisce la vita / impercepita.” (Canta il silenzio). Un gioco raffinato di allitterazioni è in Niente: “Leva la vela se vale il vento / leva le ali in volo angelo della neve / vile volle avido il vero errare / invidia l’oro delle culle / vate rivela / vale / oro quanto pesa.” Suggestiva è questa rivisitazione del celebre ritratto La dama con l’ermellino: “Vi è fierezza di vita senza tempo / nell’assorta bellezza creaturale. / Genio d’artista traduce in quella lingua / che per l’universo e ogni specie vale / la varietà interminata di angeli / che popola l’immensità dell’anima / e declina l’indicibile. / Nel sublime ovale viso il fiore dello sguardo / è frutto di dolcezza pieno / senza fine.” (Impronta e terrestre testimone, su Marte mi conduca “La dama con l’ermellino”). La poetessa, tuttavia, non rimane arroccata in una torre d’avorio a contemplare l’ineffabile, bensì si cala anche nell’inferno della Storia; la sua non è una poesia disincarnata: “A quanti / quanti figli di e di / caduti, mutilati / reduci e malati / dobbiamo ciò che siamo.” (Foglio matricolare); “Maggio era acceso dei suoi profumi / quando la babele dei dialetti adunati / scioglieva al fiato della fratellanza / dentro le trincee. / Fili d’erba crescono sui fanti velati / al confine ammarati, / nella zolla chiusi / nutrono la nostra pace / dell’amaranto sangue / preso e versato. / Saremmo offesa di bugiarda e ingrata specie / parassiti a dissanguare ancora coraggio e viridezza / volessimo ignorare che i passi sulla terra che solchiamo / bagnano le tibie della linfa dell’Avo nostro che amiamo / perché ci fece quelli che siamo / consentí libertà e il suolo in cui stiamo; / non sopportò invano il ferale comando / se il suo nome evochiamo” (Pace ai confini, alle case e alle parole); “Di quante immersioni / nell’umano magno bagno / c’è bisogno all’uno per farsi mille / e mille volte anima mundula / cives civitatum emerse dalla Storia / dei popoli trafitti di dolore. / Eppure il fiore / eppure le alate creature a spensierare / l’ansia latente di abbandono. / La filanda dei giorni non chiude / anche se chiude il giorno a ogni ora. / Per questo vivrò anche dopo / per riabbracciare in cure / chi è corso via e non muore. / Vive nella bianca nuvola che rasserena il sole / talmente tanto amore…” (Non muore). Lucia Gaddo Zanovello si rivela un grande talento sia nell’elevatezza dei contenuti che nell’elegante decorazione della forma, in un pregevole sodalizio che fa di ogni poesia una perla rara estratta da una contemplazione assorta e un’intensa estasi creativa. |
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