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Vera storia del vascello fantasma
Questo
poemetto è una sintesi tra la Ballata del vecchio marinaio di Coleridge e
il Vascello fantasma di Wagner, in una mitologia romantica reinterpretata
dall’autore alla luce della metafora poetica. Affiora una dimensione
soprannaturale popolata da angeli e demoni che si contendono l’anima dell’uomo,
il quale, in conseguenza della sua scelta morale, determina il suo destino più o
meno infausto. Spicca la figura chiave dell’Albatro, centrale nella simbologia
di Baudelaire che in essa identifica il poeta goffo e disadattato in mezzo agli
uomini, le cui ali maestose, se gli permettono di slanciarsi in ampi voli, gli
sono tuttavia d’impedimento a camminare sulla terra. Anche in questo caso viene
circondato da un’aurea negativa: “è addirittura doveroso ammazzare / senza pietà
tutti quegli uccelli / che si vedono errare senza meta / certo con malevole
intenzioni / per i cieli e gli oceani del mondo, / perché tutti potrebbero
essere / potenziali portatori del malocchio.” Nella versione di Veniero
Scarselli l’albatro è metafora del messaggero rispetto al marinaio-Poeta, il
quale, uccidendolo, compie un sacrilegio, un atto di superbia nello svelare le
verità nascoste, come illustra Sandro Gros-Pietro nella prefazione: “Il gesto di
uccisione rappresenta l’hybris, ossia l’atto di violenza e di libertà che
serve a dare avvio al viaggio per mare e quindi svela il grande fascino
affabulatorio della poesia, la capacità di raccontare storie infinite e
fantastiche quanto di ricapitolare la nuda realtà delle cose, ma anche scatena
la nemesis, cioè consegna i viaggiatori all’esperienza profonda e diretta
del dolore di vivere e di conoscere l’amarezza della verità, per cui suscita
un’arsura e una sete insaziabile, finché non arriva il pentimento del
Marinaio-Poeta, e il conseguente intervento divino e il rientro nel porto della
fede, l’accoglienza presso l’Eremita che distilla il sapere e che pronuncia la
consegna cui il Marinaio-Poeta dovrà attenersi in futuro: raccontare per sempre
la sua storia e il suo mito ai convitati alle nozze che si celebrano con la vita
e la felicità, tanto festose quanto effimere, e i convitati saranno calamitati
ad ascoltare la storia del Marinaio-Poeta e rifletteranno profondamente sulle
sue parole.”
Su questa
storia fedele all’epos narrato da Coleridge, grava la maledizione
attirata dal Poeta per il suo misfatto, che si estende a tutti gli altri marinai
a bordo della nave e che evoca l’inquietante immagine del biblico Ebreo errante.
Il vascello fantasma è altra icona mediata dal romanticismo, con tutti i suoi
risvolti malefici di spettri di morte che atterriscono e possiedono i viventi:
“Spogliata / da ogni riconoscibile appannaggio / di orgoglioso veliero, / ora
apparve / nel suo splendido orrore di scheletro / costretto eternamente ad
inseguire / una lontana meta designata / ma forse neanche a lei conosciuta.”
Al Poeta
alla fine viene affidata la missione di annunciare la verità divina: “Poi io me
ne andrò per il mondo / ad annunciare la presenza di Dio / in tutte le cose del
Creato, / anche le più piccole. Ricorda / che buon cristiano è soltanto colui /
che dà amore a tutte le creature, / agli uomini come agli uccelli, / e tutti
fummo un giorno creati / a immagine e somiglianza di Dio.”
La
suggestione fantastica del racconto si sposa ad un linguaggio raffinato che
modula i versi in un intenso lirismo, aprendo spazi conformi agli stati
interiori, dall’iniziale sovrana armonia ai tempestosi sconvolgimenti,
all’attonito deserto dell’immota quiete della “Grande Assoluta Bonaccia”: “Buon
Dio, era sempre la mia vecchia nave, / ma aveva ancora tutti i buoni auspici /
quando mollò gli ormeggi e uscì dal porto / con le vele spiegate da una brezza /
che si prometteva favorevole; / scivolammo dolcemente sul mare / proprio sotto
il campanile della Chiesa, / poi doppiammo il promontorio e la collina / ed
infine la torre del faro. / Si veleggiava ancora con buon vento / verso Sud, e
la nostra buona sorte / ci portò felicemente a traversare / con cielo sereno
l’Equatore.”
Veniero
Scarselli in questo poemetto ha il pregio di ravvivare il respiro epico della
Ballata di Coleridge, investendolo di un’impronta originale che
trasfigura una mitologia inquietante in un’alta lezione di poesia e di
meditazione profonda.
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Recensione |
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