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Viaggio di un poeta in cerca di un lettore
Questi testi s’innervano dal vigore del pensiero, dalla lucidità raziocinante,
dalla logica demiurgica che dal magmatico caos originario forgia mondi
inesplorati: “Il pensiero, talvolta, / d’improvviso scatta, s’impenna, / traccia
densi grovigli, / disegna vertici / e profondi avvallamenti, / stacca frammenti
incandescenti, / rivela ammassi / di costellazioni, di galassie, / di vorticose
nebulose, / illumina stupefazioni / e impietramenti, / fissità muffite e
sfiduciate, / livide crepe sfaldate, / si scontra / con fantastiche utopie, /
con architetture incrinate, / con rovinosi diluvi, / con la miracolosa poesia /
del canto, / con la luminosa luce / della ragione. / Il pensiero, talvolta, /
d’improvviso s’accende / e ci trasporta / in regioni impervie / e sconosciute.”
(Il pensiero). Sono accensioni dell’anima, scintille di idee e di
emozioni che si avvicendano nelle variegate stagioni della vita: “Oggi mi arde
nell’anima un fuoco / che mi riempie di gioia / e di pure vibrazioni. / Canto a
voce piena / un motivo saltellante e allegro / che evoca lieti momenti /
intessuti di armonici ricordi. / Canto che lentamente / si trasforma in danza, /
attraversata da lampi di luce / trascolorante, / da ritmi galoppanti, / da
plastiche movenze. / È questa la vita vera, / o è soltanto un intervallo / tra
rovesci densi e frastagliati?” (Un fuoco improvviso).
Si nutre la
nostalgia di evocare momenti idilliaci che hanno costellato l’età d’oro
dell’estatica giovinezza: “E assistere allo sbocciare / di diafane, inebrianti
primavere, / al sorgere di filigranate aurore, / al trasfigurarsi di indicibili
tramonti? / Vano e futile vaneggiare… / Tutto è ormai chiuso / ed ermeticamente
sigillato / nel forziere che verrà consegnato / nelle mani di Colui che sa
leggere / ben oltre le cause e le ragioni.” (Chissà). Poi segue la
Stagione occulta della sofferenza: “Tante sono le cose / che ignoro, / tante
quelle che mi pesano / sul cuore. / Il profumo della giovinezza / da tempo s’è
dissolto, / aspre resine / mi attanagliano le mani, / derive di luce / mi
risucchiano in vortici / impietosi. / Stagione occulta d’ansie, / di cammini /
tortuosi e imprecisati, / di ombre / in progressiva espansione. / Dolori
esacerbanti / mortificano il mio canto, / un affilato silenzio / tenta di
cancellarmi, / ogni cosa odora di tristezza. / Vivo / come da me stesso /
abbandonato.” (Stagione occulta). La vicissitudine esistenziale è una
traversata rischiosa e imprevedibile, di cui non si possono calcolare gli
effetti e gli esiti; è come stare in balìa di furiose mareggiate che ti
trascinano alla deriva e ti depongono, spossato, su nuda riva: “Con il passare
del tempo / si acquista una dimensione nuova, / si passa più frequentemente /
dalla realtà al sogno, / dal balenio della luce all’ombra, / dal giorno alla
trasfigurazione del tramonto. / Quante sono le cose / che possono tradire e
ferire, / quante sono le immagini / che possono improvvisamente cambiare. /
L’avventura della vita / è un tempo strano e complicato, / dove non tutti i semi
germogliano, / dove non tutti i colori attecchiscono, / dove non tutte le parole
fioriscono. / La danza delle nascite e delle morti / ci tiene in costante
apprensione, / l’alternarsi delle stagioni / ci modella e ci scolpisce, / il
maturare dei sentimenti / ci riempie di felicità o ci ferisce. / Un viaggio
imprevedibile / nel quale è difficile decifrare / ciò che abbiamo veramente
voluto / da ciò che ciò che ci è stato abilmente imposto.” (Un viaggio
imprevedibile). Rientrare in se stessi costa sofferenza, ma è necessario per
vivere in modo autentico: “Inchiodato alla croce / della mia travagliata
identità, / ritrovo lo stupore / dell’ennesimo ritorno, / dell’aria rilustrante,
/ dell’indicibile sorpresa, / dove si smarrisce ogni calcolo, / ogni valido
criterio, / ogni programmata decisione. / Nell’occhieggiare / della nuova
primavera / e del senso stesso della vita, / rintraccio miracolosamente / il
nucleo originario / di me stesso.” (Ritrovamento).
La solitudine è
un’oasi in cui può fiorire lo spazio interiore: “Il possesso dei giorni / si
allenta sempre di più, / il loro disegno / si fa sempre più intricato, / i loro
segnali / sempre più enigmatici e confusi. / Anche il cammino / che sembrava
così certo / è ora avvolto in improvvisi / banchi di nebbia / che ne celano e la
direzione e il senso. / E io ne sono stordito. / Non mi resta che trovare / un
cantuccio, / silenzioso, riparato e caldo / dove coltivare / il piccolo
giardinetto che solo riuscirà a offrirmi ancora / qualche rara / e carezzevole
fioritura.” (Stordito). I ricordi ci possono attraversare di tanto in
tanto l’anima come lame taglienti, evocando momenti felici ormai
ineluttabilmente perduti:“Le lunghe ombre dei ricordi / che noi lasciamo /
dietro di noi, vivendo, / ci attanagliano / di quando in quando / e ci illudono
/ che il passato possa tornare, / che i tempi lieti / e felici possano
rifiorire, / che le malie / della gioventù possano ricomporsi. / Fallace
illusione. / Non c’è ormai nulla di certo / e di continuo / in questo nostro
presente / se non un vento / continuo e irritante / che mette a soqquadro
l’anima / e il corpo.” (Ricordi). La poesia è luminosa vaghezza
interiore: “Mi specchio / nell’antica luce delle maree, / mi abbandono / al loro
ritmico ondeggiare, / mi immergo / nel loro suono salmodiante. / La stanchezza /
a poco a poco s’affloscia, / si muta / in rinascite rasserenanti, / si riveste /
di giardini lussuriosi / e profumati. / La vita / lievita di nuovo / ed io ad
essa mi abbandono.” (Rinascite). Il silenzio è terreno fecondo perché
germini il divino: “Ho sempre più bisogno / di silenzio: / per udire i fruscii /
dell’anima, / per ascoltare i suoni / che provengono / dalle profondità
dell’infinito, / per riuscire / a concentrarmi in me stesso, / per entrare in
contatto / con il divino. / Ho sempre più bisogno / del silenzio / per
realizzarmi e fiorire.” (Bisogno di silenzio). Il bilancio di una
giornata che pesa torti e ragioni, alla fine si conclude in positivo se, in
mezzo alle varie traversie, si è rimasti fedeli a se stessi: “Al termine / di
questa mia giornata / sono rimasto solo / con gli odori della sera, / con la
luce che trascolora, / con le armi del mio passaggio. / Un altro giorno è
trascorso, / le ombre e le distanze / combaciano a puntino. / Sono stato fedele
a me stesso, / non ho più nulla da dare / e nulla da ricevere. / Giochi di
parole / mi solfeggiano sulle labbra, / antichi ricordi tornano a galla. /
Consumato l’ultimo canto / sarò pronto a partire.” (Solo).
Si persegue una poetica che abbracci l’estasi creativa, in cui le parole tessono
l’armonia e la bellezza: “Non ho bisogno / di parole infide e randagie / che
giocano a rimpiattino, / che danzano / sui fili dell’alta tensione, / che mi
inducono / in tentazione, / ma di parole che creano, / che lampeggiano / con
ipnotici incantamenti, / che intrecciano / sinuose e audaci armonie, / che
ritagliano / diamantine venature, / che s’insinuano / negli arabescanti
straripamenti. / Ho bisogno di parole / che incantano / e accendono sogni
trascoloranti.” (Bisogno).
Il sentimento religioso è un’interrogazione inquieta che vuole chiamare in causa
Dio per il terribile mysterium iniquitatis e l’incomprensibile
ingiustizia che attanagliano l’umanità: “Rispondimi, / per favore, Signore, /
almeno / qualche volta, / sazia i miei pressanti / interrogativi, / risolvi / i
miei dubbi angoscianti, / rimargina / i miei altalenanti scoramenti, /
altrimenti / finirò per perdermi / e Tu / non mi troverai più.” (Rispondimi).
Giovanni Tavĉar, in questi testi, vuole condividere la passione letteraria della
ricerca e della riflessione con un lettore attento che sappia coglierne
l’autentico significato: “Mutuando il pensiero pirandelliano che con i
suoi testi fa saltare gli schemi convenzionali, in una sorta di giuoco delle
parti, anche la poesia di Tavĉar risulta capace di rendere vivo il
desiderio di invitare ciascun lettore a sostituirsi a Lui e a divenire oltre che
fruitore anche autore del Suo stesso pensiero poetico.”
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Recensione |
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