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Vorrei...
I testi di Giovanni Tavĉar, arricchiti dai commenti critici di Luigi Ruggeri su
Leonardo da Vinci, sono permeati di delicate emozioni e intuizioni folgoranti
che si fanno strada nell’irto cammino della vita: “Nulla nella vita è perfetto.
/ Il cammino è lungo, / pieno di imprevedibili sorprese, / di affanni, di
incomprensioni, / di logorii, di laceranti dubbi. / Nulla nella vita è certezza
/ Spesso tutto intorno a noi / sembra tacere, / avvolto in comportamenti /
strani e misteriosi, / in abissi oscuri e profondi. / Nulla nella vita è eterno.
/ Non i cromatici arcobaleni, / non le meravigliose fioriture, / non le canzoni
/ che accarezzano il cuore, / non gli abbaglianti sorrisi,/ non le incantate / e
lievitanti speranze. / Eppure la consapevolezza / del vivere / è una sensazione
euforica / e entusiasmante.” (Sensazione entusiasmante).
La grazia
fiorisce da una visione alata della realtà: “Sulla via / graziose fanciulle
agghindate / sfarfalleggiano gioiose / lanciando / perlate grida animate./
Questo giorno è mio, / perla incastonata nel diadema / del tempo in
maturazione.” (Il segno). Il tempo incalza e naufraga nel nonsenso: “Ora
il tempo / si restringe sempre di più / e ci sospinge / verso orizzonti ignoti,
/ verso un mare infinito / senza sponde / e senza visibili approdi.” (Ora il
tempo); “Questo tempo, / è anche il mio tempo, / sta naufragando / tra alti
e squassanti marosi” (Questo tempo). Uno smarrimento cosmico coglie il
poeta come un trasalimento: “Il cuore è sospeso, / erede dell’umana sofferenza,
/ la mente è vuota, / priva di ogni orientamento. / Dove sono? Cosa faccio? /
Dove vado? / Colori sfuggenti / mi danzano intorno, / ombre vacillanti mi
corrono incontro. / Perché? / Confusione e dolore / tessono / uno squarcio
profondo, / intriso / di turbato tremore. / Cerchi rotolanti / esplodono, /
spegnendo ogni memoria / e velando / anche gli spiragli dei sogni.” (Perché?)
La sofferenza attanaglia l’anima, la scava dentro come un fiume carsico: “Non
c’è giorno / che io non attraversi la mia / linea d’ombra / e non mi scontri /
con i frammenti delle mie lotte, / con le scorie / dei miei tradimenti / con le
occhiaie / delle mie spente illusioni. / Ferite / che sembravano dimenticate /
riprendono / copiose a sanguinare, / brividi ossei / tornano a scuotermi / con
assediante persistenza. / Crinali scoscesi / mi sbarrano il cammino, / marosi da
incubo / si frangono sugli sbarramenti / della coscienza. / Ma le difese / che
con tanta sudata fatica / ho accumulato / con il passare degli anni / non
permettono / nessun definitivo naufragio./ Barriera fortificata, / innalzata sul
terrapieno / di una vigile e attenta volontà, / pronta a pagare il prezzo / di
ogni temporanea caduta.” (Non c’è giorno).
Giovanni Tavĉar in quel “vorrei…” esprime il desiderio che è vivo in ogni uomo
di un’attesa, una promessa, che si scontra, tuttavia, con il duro impatto della
realtà: “Vorrei…vorrei…vorrei…/ oh, quante cose vorrei / ancora… / volare /
libero e senza peso, / rinascere / in una nuova primavera, / purificare /
l’anima mia / nella sorgente dell’armonia, / sognare / immensità infinite, /
perdermi / nelle profondità incantate / di sguardi / insinuanti e ammalianti, /
inseguire / inalterabili speranze, / ritemprarmi / tra gli effluvi / di luce
dirompente, / perdermi / tra i delicati e lievi voli / arpeggianti / delle
variopinte farfalle, / dissetarmi / alla fonte rigeneratrice / della bellezza, /
inebriarmi / dei profumi carezzanti / dell’amore…/ Vorrei…vorrei…vorrei…/ oh,
come vorrei…/ sguazzare ancora per un po’/ nel rinfrescante mare / della
giovinezza.”
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Recensione |
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