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Stramenia
Anzitutto il titolo,
che rimanda a una precisa scelta poetico-esistenziale, un deliberato stare
‘fuori dalle mura’ dato che Stramenia, plaquette di versi pubblicata da
Lucio Zinna quest’anno, è la contrazione di ‘extra moenia’, locuzione latina da
cui derivano i termini straniero, straniante, estraneo, accezioni multiple
riferite a chi sta fuori dalla mischia, estraniato, appartato in sé per
coltivare, preservare il nucleo incandescente della vita, una vita ricca di
libertà gioiosa e ineffabile, la libertà che la poesia (la straniera per
eccellenza) regala a coloro che ne praticano l’assidua compagnia, sicché lo
spirito e la mente sono temprati dalla fidata presenza di questa; perché il
poeta sa, I poeti sanno | di altre strade e altro vento | di percorsi sghembi
| dai fossati impraticabili | e li attraversano | perché sia tutto tentato |
ogni viaggio sempre | nel verso del verso.
E’ lo scrittore stesso ad offrire
la chiave di lettura di questa sobria plaquette (con dipinti di Eliana Petrizzi)
dalle pagine non numerate ad indicare un discorso ininterrotto, avviato tramite
la scrittura poetica, narrativa, saggistica e critica da più di quarant’anni; in
quarta di copertina, infatti, lo scrittore esplicita motivazioni del suo
versificare, del suo viaggiare nel verso per apprendere altre strade, percorsi
“per capire il mondo e nel contempo tenerlo a distanza”; ché, il medium affilato
della poesia è una “sorta di fendinebbia nei condizionamenti plurimi che la vita
ci impone. Un modo (e ‘modus vivendi’) per mantenersi vigili nella tutela del
nostro nucleo più autentico e di ciò che ci motiva e ci impegna”.
Atto totale e
durevole, dunque, questa scrittura consustanziata, e da un pensiero filosofico e
da una partecipazione attiva contro il mal-essere; parole, versi che denunciano
la mancanza diffusa di etica e che invitano a spalancare gli occhi, a recuperare
senso di responsabilità e a riconoscere nei valori fondanti, il vero universale.
Così la poesia di Lucio Zinna mostra gli squarci dell’anima in cui tempo,
luogo, spazio non sono misurabili, né fanno parte della miserrima apparenza
quanto della realtà più cupa del mondo: i versi (...) sguisciano felpati e
vanno in giro | di giorno di notte | (...) | attraversano fiumi gallerie
altopiani | bevono nelle fontane si sollevano | (...) si divincolano quando
s’impigliano | nei canneti prima di smarrirsi | in celesti contrade. Oltre
la pulsante materia di sintagmi, ariosi costrutti, parole in viaggio e poi in
sosta sulla pagina scritta, è la libertà della poesia (mutuando da un saggio del
nostro autore) a offrirci altri luoghi, altri mondi possibili grazie a:
l’abilità di trovare | strade a volte di mutare | in pendici erte salite con
il movimento e il tempo della scrittura, con improvvise quanto ricche metafore.
Sempre in equilibrio tra suono e senso, questa poesia ci sospinge a
prefigurare mete, a progettare, o semplicemente sperare che giunga, infine,
il tempo d’un nuovo umanesimo. Ogni attimo è propizio a sprigionare | impulsi
da una forza minimale | recondita. E’ sempre tempo di semina | perché è perenne
tempo di crescita (da: Guglielmo o della “sognagione”). Ogni attimo, dunque;
un carpe diem dello spirito: ché apprende solo chi ‘umilmente’ sa ancora
sperare, chi non si arrende: dunque chi, in prima persona, alleva sogni come
semi nuovi, una piantagione di sogni. Tangibile concretezza che impalpabile
torna | facendosi anelito e fede, anche per noi.
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Recensione |
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