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Abitare poeticamente la terra

Splendida serie di variazioni su un unico tema tratto da una frase di Friedrich Hölderlin (Voll Verdienst, doch dichterisch, wohnet der Mensch auf dieser Erde, «Pieno di meriti, ma poeticamente, abita l’uomo su questa terra»). O meglio ancora, una sequela di libere divagazioni, deliziosamente colloquiali, che portano l’Autore a disquisire su ciò che propriamente può significare “abitare poeticamente la terra”.

La contrapposizione concettuale di Hölderlin – voll Verdienst, doch dichterisch «con pieno merito, ma poeticamente», direi presupponga una condizione involontaria, istintiva e del tutto naturale, proprio perché opposta al Verdienst, a quel merito che l’uomo acquista con il suo servigio (Dienst), con il suo operare studiato, voluto e rispondente a un intelligente progetto.

Nel proseguire la lettura si comprende che l’Autore non considera indispensabile essere poeti e tanto meno filosofi per saper abitare poeticamente il nostro pianeta. Si tratta piuttosto di porsi in una condizione per così dire familiare e autenticamente simbiotica con la Terra, saperne percepire il battito vitale, ascoltare il ritmico e incessante rumore della risacca marina, il fruscio del vento fra gli alberi, contemplare stupiti il mistero della nebbia, del vento, della rugiada, dello stupefacente silenzio della montagna, ammirare il volo leggero degli uccelli e l’incomparabile bellezza della vegetazione.

Certo non manca la presenza dei poeti in questo libretto: Leopardi – soprattutto – ma anche Ungaretti, Rilke, Trakl, Keats e altri. Passando per il prediletto filosofo Heidegger, il quale spiega il pensiero di Hölderlin come l’«essere alla presenza degli Dei ed essere toccati dalla vicinanza dell’essenza delle cose». I poeti – e i filosofi – hanno ovviamente una sensibilità particolare e superiore al comune; pertanto in questa percezione sono da questo punto di vista privilegiati.

Abitare poeticamente la Terra è in sostanza sentire e comprendere tutta la magia misteriosa che si sprigiona dalla straordinaria bellezza di questo pianeta, forse unico nell’Universo. Un fascino tale da far pensare agli antichi che le pietre preziose, ad esempio, estratte dai suoi antri tenebrosi, possiedano la sua energia e insieme arcani poteri soprannaturali in grado di proteggere l’essere umano.

Questo poetico abitare è imprescindibile da una fusione quasi mistica con la Terra. Qualcosa che attiene al senso, al sentimento e alla fantasia, più ancora che a un razionale volere: ecco perché l’Autore dice che ne sono capaci più i fanciulli che gli adulti.

Ma, oltre alla Natura, questo abitare suggerisce inevitabilmente l’idea della casa e di tutto ciò che di sacro essa porta con sé. Piccolo regno personale custodito – per i Romani antichi – dalla dea Vesta (Ἓστία, che in greco è la divinità ma, per sineddoche, anche l’ abitazione e il focolare stesso) e dai Lares, benevoli spiriti protettori (dal’etrusco lar, padre).

L’Autore dedica lunghe pagine alla cosiddetta casa con l’anima, che può non essere affatto la dimora in cui siamo nati, ma magari quella che eleggiamo a nostra sede privilegiata, quella abituale oppure quella presso cui ripetutamente ritorniamo come da un essere amato che non sapremmo mai abbandonare; una casa che col tempo si imbeve di una sorta di fluido impalpabile fatto di accenti, di memorie, di voci, di eventi dei quali i muri stessi sono stati specchio e di cui sembrano sempre riflettere vaghi barlumi.

E così l’Autore non può non pensare anche ai pittori che nella storia dell’arte hanno saputo immortalare la dolce intimità, il silenzioso mistero della casa: uno fra tutti, il fiammingo Vermeer.

Tra poesia, memorie personali, filosofia e pittura si snoda senza soluzione di continuità questo piacevole discorso privo di sussiego accademico, che sembra invece aver luogo in un salotto, accanto al fuoco, in una sera di tardo autunno, in compagnia di colti e buoni amici.

Rivolto a lettori affini e congeniali, è «un umano messaggio – scrive Giachery – intriso di struggente affetto, saldo di persuasione e di testimonianza». Permeato però anche di fede e di una sovrana consolatoria speranza fondata su una bellezza non destinata a perire.

Recensione
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