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Memodia
Lucia Gaddo Zanovello è nata a Padova, dove risiede. Ha
pubblicato numerose raccolte poetiche, tra cui Memodía, edita
recentemente da Marsilio. Si tratta di un libro di ampio respiro lirico, che
predilige lo stile alto, aulico, collocandosi con consapevolezza dentro la
tradizione, nei momenti più riusciti rinnovandone i toni. Il canto, come scrive
Giorgio Poli nella prefazione, “è un misto di dolcezza e di mestizia […]. Grumo
dialettico, oscillante tra negazione e affermazione della vita, dell’amore,
della bellezza e del destino eterno dell’essere umano”. Direi che Poli ha
ragione nel definire quella di Lucia Gaddo Zanovello una “ poesia che aspira,
contro ogni minimalismo o debolezza di pensiero, ad affermare la propria non
inutile presenza nel mondo”.
Questa aspirazione comporta un impegno che l’autrice
affronta con evidente fiducia nella lingua poetica, nella sua capacità di
parlare ancora in un mondo che tende piuttosto a incenerire la parola, a
usurarla e a ridurla a moneta di scambio. Il recupero di termini desueti è
certamente una sfida, una forma di resistenza al balbettìo, un atto di
rifondazione linguistica, di recupero delle radici.
L’antico, il remoto della poesia di Hölderlin, l’arcaico
che nella grande poesia romantica fa appello dalle sue profondità e si tramanda
nella memoria, rivive anche qui, nell’elegia e nel canto di questi versi.
Veglia: “Qualcuno allatta / il pianto vuoto / del
tuo giorno smarrito,/ con l’ambrosia di un sorriso,/ la portata di un gesto,/ la
dolcezza di un sintomo felice / e la luce di un nome / accende / la solitudine
vana. // Ti guida un invito:/ sotto l’albero delle somme / matura un frutto
anche per te / che ora non vedi l’insegna,/ lo scranno che ti spetta.// Ignori
il quando / perché il tempo è tutto da reggere / come il vento / che non dà
tregua alla corsa / e il pegno / che conferma immutato il travaglio // ma la
palma che consola / ti attende, custode soave e pura, / a compimento paziente
della cura.”
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Recensione |
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