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La piega storta delle idee
Senza salario / pago un conto /
che non mi appartiene / e mi ritrovo ogni giorno più povero ….-
ma nel tempo della crisi si
resiste, come si può, almeno moralmente e così il poeta rivendica la sua schiena
dritta, Di Lena fa così del suo canto una bandiera di eticità civile e talora
epigrammatica. Io che sono nessuno / voglio tenere viva / la mia dignità.
Son versi duri e graffianti, dunque, quelli espressi da Giovanni De Lena nel suo
ultimo libro, La piega storta delle idee, che hanno di mira l’inganno
continuo delle mancate promesse per il Sud e un troppo vorticoso cambiamento di
mentalità generale. Prevale così in lui, spesso, la negatività dettata
dall’impotenza contro il Potere burocratico e tentacolare. Quale spazio,
dunque, per la matricola oscura che schiacciata da un Potere kafkiano e
globalizzato, se non appunto ribadire come poetica quell’ostinazione civile e
moralistica, per cui il Dì Lena assume spesso, in chiusa di molte sue poesie-
sfogo, toni epigrammatici, come, ad esempio, L’opportunismo non conquisterà
i miei ideali.
Emergono però, oltre ai toni sentenziosi su arrivisti,
teatranti, insomma i parvenue di ogni età, i versi della nostalgia
familiare, Alla madre, e sguardi alla terra di Lucania senza retorico
abbandono lirico, ma documentando in versi momenti di storia d’Italia, come in
Via Brennero,in cui rievoca la morte del padre e la piaga
dell’emigrazione, Il salotto di Tempa Rossa, incentrata su l’assassinio
paesaggistico della Lucania, sedotta da cattedrali nel deserto di
industrializzazioni fragili e spesso fonte di scandali corruzioni. Insomma una
stagione di consuntivi, di disagio civile certo, ma anche lo squarcio di
speranza di qualche verso come, ad esempio, ne la luna e i calanchi una
delle poesie migliori, si autentica nella volontà di testimoniare fasi della
storia calate nel quotidiano d i una memoria collettiva e non solo.
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Recensione |
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