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Vorrei evidenziare, in primo luogo, come il coro di voci della storia e dell’anima umana e letteraria di un critico illustre regalino al lettore, specie se giovane, il piacere sincero del testo e della speranza, attraverso battiti d’ali di memoria ritrovata che apre squarci amplissimi di poesia e di cristiano sentire. Seguendo la polifonia liederistica del suo concerto interiore, Emerico Giachery, nuovo Wanderer romantico sgrana il proprio Bildungsroman di pellegrino bramoso di bellezza e cultura in cui le illuminazioni della memoria compongono, nel fluire ritmato e melodico della scrittura, l’appassionata testimonianza di chi, nell’èlan vital della propria recherche, aspira nel cielo nivale di carta e di pensieri al paulo maiora canamus dello spirito e dell’arte che l’intelletto feconda di luce e d’infinito.
Tale chiave ermeneutica sembra suggestiva a scandagliare nella diacronia esistenziale e culturale dell’autore le sincronie d’incontro creativo di chi, sentendosi ferito, mutilato, cioè mai compiuto, cerca nel raggio di sole di un verso, di un paesaggio, di uno sguardo, la pienezza dell’umanità e della natura. E’ dunque in tale felicità mentale che si situa l’aurora (scaturita da raffinata cultura) della lingua poetica italiana in Cavalcanti, scoperto in anni di guerra, in un’antologia curata da Luigi Russo, poi anche sodale del Nostro, negli anni di Belfagor. Spuntano poi, come care voci colme d’antico gli autori della scuola, i classici latini, la poesia di Carducci , Pascoli antologizzato dal Pietrobono, nonché la scoperta dei Colloqui di Gozzano, dono del padre, che conduce il giovane Giachery a valutare tra l’altro il prodigio poetico dell’epica quotidiana, “Tu non fai versi, tagli camicie/per tuo padre/hai fatto la seconda/ classe…. T’ han detto che la Terra è tonda…. E non mediti Nietzsche.” In questa lampante parodia del divismo dannunziano come non cogliere anche un eloquente senhal di quella squilla di liberazione dal cerebralismo asfittico e pedantesco, chiuso alla vitalità del quotidiano? La letteratura è vita ci ricorda l’autore, sulle orme di Carlo Bo, e lo scrittore, come Dio, non può fare a meno di creare costantemente, di essere cioè umile corda tesa verso l’essere. In questo borgesiano retablo di intersezioni letterarie compaiono poi le luci di Montale e specialmente di Ungaretti, cui Giachery ha dedicato vari studi nella sua carriera accademica. E al Poeta di Vita d’un uomo, l’autore guarda soprattutto in questo libro a Sentimento del Tempo e specialmente alla parte conclusiva dell’opera sua, cioè a Terra Promessa. Qui il valore del Mito, l’archeologia del Latium vetus si trasfigura modernamente in un dialogo memoriale per frammenti ampi e densi di silenzio che è però dire altissimo. La sezione ungarettiana, infatti, è articolata secondo un fatale andare attraverso luoghi e simboli di una geografia non solo letteraria. Esemplare in tal senso L’Isola, i cui versi, proprio perché saturi di mistero, hanno il potere di suggerire e ricreare la sfera mitica dell’esperienza poetica. Il termine numinoso ritorna sovente e molto dice della poetica di Ungaretti, cantore della memoria e della bellezza. Ma il pellegrino è aperto anche a viaggi ed esperienze diverse. Un’ educazione al Bello che, da città in rovina e poi risorte, da un vagabondare in un’ Europa colta hessianamente come luogo dell’anima, si dispone ad abitare poeticamente la terra. Si ritrova voce molteplice del proprio tempo interiore ritrovato anche nelle bellezze fiorentine, nelle sonorità musicali che sottendono, come un intimo spartito, le sezioni del libro. Il viaggio è ormai al termine e dove meglio che in una biblioteca? Luogo stellato di libri scritti o sognati, ove si fanno spesso i più profondi viaggi nel labirinto della propria anima, come hanno colto Agostino, Petrarca, Montaigne ed altri, rielabora tori su carta dei propri ricordi, occhi del cuore sul mondo. |
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