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Esorcismo ereticoAnna Maria carissima, ti ho ascoltato attentamente la sera della presentazione del tuo Esorcismo eretico. Poi ho letto il tuo calvario di poesie del libro che non mi sento di recensire con righe sapienti di analisi critica, quanto piuttosto con una viva partecipazione fraterna e, semmai, con il partecipe commento di una persona frequentatrice di poesia.
Si la vita. Ogni giorno la sua pena ripeteva il detto…ma, quando i giorni s’infilano ai giorni in un cilicio non voluto, perché non inveire con Giobbe “Che cosa ti ho fatto / o custode dell’uomo?”. La tua poesia è un grido che via via pare acquietarsi – ancora una volta mi vien da citare i sacri testi – di calarsi, cioè in nuove consapevolezze e di spegnere l’acuto angoscioso dello strazio nella domanda di Qoelet: “Chi conosce la spiegazione delle cose” a cui rispondi con un sapiente non serve più affliggermi…che non è solo la constatazione di non potere di fronte all’inevitabile, ma forza rivoluzionaria di voler continuare a esserci, a stare: ferma, solida, resiliente alle insidie e agli attacchi dei vespai. Le parole da te usate fremono di rabbia, dolore, invocazione e ricerca di un BENE che sembra accanirsi sulla tua carne per farsi sentire: un paradosso che diventa poesia flagellata. Un’ultima notazione. Dal quotidiano soffrire hai ben compreso che non puoi trasformare la vita in festa, quando un tarlo famelico la sbrindella, mordendone la seta. Allora, ben conscia del respiro vitale del verbum, lo forgi al fuoco del tuo dolorare e lo ricrei, lo pieghi al verso, oppure lo fai risorgere dal sepolcro degli anni e lo mastuchi per meglio mastucare i giorni e trasformarli in nutrimento. Per questo, alla fine del tuo viaggio poetico e di questa tua vissuta tappa esistenziale, la parola, seppur eretica, diventa terra di pace, come l’essenza del tuo indagativo pensare. Un pensiero che risorge in poesia dal sepolcro di una non vittoriosa infermità. Grazie del dono, Anna Maria, e un forte amicale abbraccio. |
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