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Romanzo per la mano sinistra

Alla vigilia della Prima guerra mondiale lo scrittore ligure Giovanni Boine si domandava come fosse possibile far sì che la piccola storia personale entrasse nella grande storia. Credo che Romanzo per la mano sinistra sia l’esauriente risposta sul piano letterario e cognitivo.

La diegesi è costruita attraverso il montaggio di parti assolutamente mobili, che il lettore vede man mano avvicinarsi come terre di nuovi approdi. Il soggetto stesso è, pertanto, in continua metamorfosi: attraverso un’innumerabile coralità, il punto di vista cambia nella percezione, suggerendo la prospettiva plurale delle coscienze anche nelle situazioni di cui si narra l’apparenza oggettiva.

Veniamo dunque a trovarci nella Galleria degli Uffizi, tra il Duce ed il Führer, come accadrebbe in un’opera tridimensionale, o come accade misurandosi con le pagine del Satyricon di Petronio, preso a capostipite da Erich Auerbach nel formulare l’emblematica del realismo occidentale. L’autore esplicita tale ascendenza proprio nei passi nei quali dismette i panni del narratore in terza persona per lasciar cadere il gioco di specchi e coinvolgere il lettore in un comune progresso di consapevolezza.

Di fronte alla stereotipia della narrativa oggi in auge, il romanzo di Micheli costituisce un riuscito tentativo di salvare non solo la Storia dall’oblio cui pare sia destinata per mano dell’ideologia dominante, erede delle esperienze totalitarie novecentesche, ma soprattutto la lingua; forse uno dei pregi maggiori che gli va attribuito risiede proprio nel rivelare come storia e lingua siano intrecciate in un medesimo ordito. Il tono del narrato assume tutte le sfumature dal comico-grottesco – in un episodio presso una fureria ucraina dell’Armata Rossa, il personale non graduato brancola nel buio e s’interroga accigliato riguardo all’effettiva identità d’un certo compagno Hitler, particolarmente temuto dai superiori – al macabro e al sublime, penetrando in profondità anche nella psicologia dei più ostici personaggi del Ventesimo secolo.

Così viene descritto un colloquio in cui Hitler rimprovera al proprio Ministro della propaganda un’inopportuna scappatella sentimentale: « A quel preambolo, già il ministro chinava il capo, e la gamba destra, che la poliomielite aveva offesa durante la risentita e claustrale pubertà, era penetrata da un perturbante formicolio, a partire dall’anca e dal tendine iliaco, lungo il femore e fino al ginocchio, come se un bulicame di insetti strisciasse tra tessuti e nervi per avviare l’opera di una prematura putrefazione, cosicché una fetida angoscia andava sommergendo i pensieri di lui, di istante in istante gonfiandosi sotto la pressione del timore che fosse colmato il segno della pazienza del Führer a causa del suo vacillamento e dell’ostensione di una tanto spregevole debolezza». Una delle doti maggiori di Micheli consiste, infatti, nell’abilità di mostrare, secondo strategie e dispositivi sempre variati, come la profondità della visione risieda tanto nella narrazione quanto all’interno della stessa lingua in cui prende forma.

Recensione
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