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Altre stagioni
Franco Orlandini è nativo di Ancona (1935); ha una lunga esperienza di
collaborazioni e pubblicazioni letterarie; la più recente è la silloge “Altre
Stagioni”, con in copertina un suo “Paesaggio” naturale.
Nella prefazione, Giuseppe Manitta spiega che le “altre” stagioni si
riferiscono a quelle dell’anima, variegate e vissute in maniera atemporale che
si rispecchiano nelle descrizioni e nel suo stile. Difatti nelle visioni di Orlandini è presente il paesaggio, fatto di ombre e
stati d’animo in perenne attesa; è senza futuro, rimanda all’inconscio.
L’ambiente langue, come le onde querule che lambiscono gli scogli; silenzi
assurdi evocano lontane presenze, eventi di “naufragi negli abissi”. La
superficie del mare mette paura, sembra mortificare le nostre coscienze.
Tutto si snoda nel volgere delle albe e dei tramonti, sotto il sole o sotto
una cappa di stelle; rifioriscono e sfioriscono le piante. C’è una sorta di
osmosi nella natura: cielo, terra, mare e tutte le creature ne sono il linguaggio che a volte non comprendiamo, perché siamo diventati duri
d’animo. Il Poeta ne aspira la fragranza e ne soffre la desolazione, la
trascuratezza, la violenza, le speculazioni finalizzate al profitto egoistico.
Poesia intensamente sociale, che mantiene toni carezzevoli pur trattando dei
drammi che affliggono il nostro tempo, come nell’Africa, terra ricca di materie
prime, ma povera socialmente, in cui i popoli sono abbandonati a se stessi. Le
descrizioni evocano la desertificazione, i porti trascurati, le imbarcazioni
lasciate a secco, le darsene vuote. La desolazione si insinua nel cuore: “Per
lungo tempo rimase serrato / della mia solitudine il cancello …/ E vennero la
tua mano, ed il soffio, / ad aprire il cancello …” (pag. 34, le sospensioni
entro i versi sono nel testo).
Eppure le visioni del Poeta sono beatificanti; il lessico è delicato, così:
il vento alita, il colore è roseo, le figure appaiono nelle sembianze, le nuvole
sono leggere come piume, il suono è prodotto da un auleta, gli zampilli sono
tenui, il buio è fatto di penombra, la vista è gratificata da grappoli di
glicine; egli è un solingo viandante, mete ed orme sono effimere; e poi ci sono
aneliti, riverberi, vane attese; ci sono la nostalgia e più di tutti lo spettro
del dubbio.
Franco Orlandini invoca la misericordia di Dio, perché tocchi il cuore degli
uomini, e vengano meno gli arricchimenti a spese dei più poveri, spariscano le
droghe, le disparità sociali. Perciò la stagione auspicata è quella dell’anima, affinché renda veramente fratelli tutti gli uomini, che “non
neghi il sorriso ad ogni bimbo” (pag. 100). Si rivolge alla poesia, velato da
pessimismo, d’altronde: “Nel passato il poeta celebrava. / Ma, nell’epoca nostra,
/ chi o che cosa è degno / d’essere celebrato?” (pag. 99).
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Recensione |
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