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Alessia e Mirta
la favola barocca
Quando l’abruzzese don Benedetto Croce si affacciava alla
finestra del suo studio a Palazzo Filomarino nel cuore di Napoli, vedeva
palazzi, campanili e mura di monasteri di una città a cui era legato da una
profonda passione. Rievocava storie e leggende partenopee che impregnavano
l’aria dei luoghi, passeggiava attraverso i secoli e lo spirito di quella città
così composita. Tra le sue “storie e leggende napoletane” il Croce definiva il
Pentamerone del napoletano Giovan Battista Basile «il più antico, il più
ricco e il più artistico di tutti i libri di fiabe popolari» che poi tradusse
dal dialetto nel 1925.
Era il secolo del barocco napoletano che cercava “terra
nuova”, sentiva cioè la necessità di escogitare e sperimentare, come in questa
silloge recente, più marcatamente che nelle precedenti dove vediamo il poeta
Raffaele Piazza decidere di avventurarsi nei suoi esperimenti linguistici,
sperimentandone moduli espressivi nuovi, capaci di suscitare sorprendenti
eccezioni formali.
Nel suo scenario “barocco”, animato dalle due muse Alessia e Mirta, ci sembra di tornare in quella Napoli del Seicento per meglio raffigurare
un affresco diverso della realtà attuale, visto oltre il filtro obbligatorio di
una visione razionale del quotidiano. Il poeta guarda le sue giovani Muse agire
in una chiave che vive tra il fantastico e il meraviglioso. Alessia e Mirta,
soprattutto la prima, sono creature attuali, fisiche e chimeriche in
sorprendente allineamento alle regole dell’imprevisto formale e del perpetuo
mutamento che è proprio del pluralismo prospettico dell’antica esperienza
barocca.
Consapevole o no, Raffaele Piazza, ci sorprende per una rara
costruzione intellettuale delle due Muse che vivono la loro vita come esperienza
mutevole e contraddittoria rispetto alla comune riflessione sulla vita. Gli
amori, il sesso, l’attesa e lo stesso dolore che ha travolto Mirta, la Musa che
morì suicida, segnano il gusto barocco del maggiore “ascendente” napoletano,
proprio quel Gian Alessio Abbattutis, anagramma di Gianbattista Basile, che
Piazza riproduce nell’attualità con i modi metaforici, la ricchezza dei
traslati e con le variazioni più capricciose. Come nella poesia barocca del
Seicento napoletano, la poesia attualistica del nostro poeta, conferma un merito
duraturo e antico: l’aver profondamente innovato il canone estetico del
rappresentabile. Infatti il poetare barocco consente anche il brutto, il
deforme, l’oltraggio al bello obbligato, all’interno anche più intimo del
vissuto di Alessia, tanto che, quasi nella stessa pagina poetica risuona
un’orchestrazione di improvvise dissonanze.
Ci troviamo a seguire le storie di
Alessia (intime, dolorose, dubbiose) nel suo vivere quotidiano (che sia la città
di Napoli oppure New York) non più secondo un criterio obbligato di armonica
bellezza e di razionalità. Al contrario è proprio nella virtuosità lessicale del
Piazza, nei suoi neologismi, nelle metafore e nelle immagini che Alessia si
raffigura (càmpita) nella mente che, nel barocco del Seicento, possiamo
“leggere” in una chiave utile, “l’antenato” dell’espressionismo moderno fino a
Belli e Gadda. Dunque Raffaele Piazza, nello scenario di una Napoli
assolutamente reale e contemporanea, sta raccontando, in senso figurato,
un’illusione. Nel dramma creato dalla vita stessa sono protagoniste Alessia e
Mirta. Sono in risalto con la loro bella illusione insieme a quella degli altri
esseri umani nella fase arborescente. Ma il poeta ricorda che di favola
cioè di fiaba si tratta e si tratterà sempre, come scrisse il Carducci
dell’illusione: «La favola bella è finita».
Nella silloge, già premio speciale
della giura al 13° concorso internazionale “Autori per l’Europa” 2018, la favola
delle due Muse napoletane è illuminata da vistose figure retoriche (tropi,
traslati, metafore, allegorie, simboli, analogie) in gran parte inondate da
fiumi di esperienze emozionale e spirituali, nate sì dalle esperienze
quotidiane, ma espresse con metodi nuovi e antichi che hanno il potere, a volte
sotterraneo, di una forte accentuazione cromatica, tipica dell’espressionismo
più attuale teso ad esprimere fatti e stati d’animo ricorrendo all’uso combinato
di simboli ed analogie che portano i versi del testo a trovare relazioni di
somiglianza, affinità, parentela, spostando il reale, dato dall’esperienza
vissuta, nella sua configurazione traslata, cioè favoleggiando il reale
attraverso l’uso sorprendente delle immagini.
Nella precedente silloge (“Del
sognato” 2009) un “Aprile in verde esce di scena ci lascia / il tavolo di
lavoro con le copie dell’anima / una mela addentata a dare una gioia rimasta /
nel trasmigrare dei pensieri / (pag. 15) e poi luci e colori della sua Napoli
“Estive fragole” (pag. 21), “foglie colte tra le piante del giardino del porto /
a miscelare l’erbario della vita” (pag. 22) e “un filo prealbare
di preghiera” (pag. 23) e “dietro brani di tramonti conche azzurre / di
pensieri (pag. 23), e “le finestre dell’adolescenza” (pag. 35) e “si
chiama Alessia, ama il mare, studiava medicina / aveva avuto ventun ragazzi”
(pag. 37), poi ancora “fragole, conchiglie, selva di piante, il sogno
dell’arancia, mail rosapesca, attimi di margherite (la domenica) e infine
(da “tavoli di lavoro”, leggi “Poi, tra i tavoli di lavoro /all’estate: lo
scheletro / di un prato o della vita o di / un innamoramento: / attendi l’epifania
di pagine / dal tempo il sentiero nella città / che porta al mare / (pag. 64).
Ma con “Alessia e Mirta” (2019) nello scenario di Partenope, è definitivamente
esplosa una Napoli barocca nel verso “tutto accade ai blocchi / di partenza
del campo / animato che è l’esistenza” (pag. 9) dove il traslato raggiunge i
suoi vertici e prosegue con “scia bianca campita / nell’azzurro del cielo /
quando Alessia, nel jet sta volando” e raffigura (càmpita nel cielo) una sua
storia infinita” (pag. 11). La sua adolescenza è tinta di fragole, la
sua attesa dell’amore (del suo Giovanni) è fiorevole e con lui c’è un
interanimarsi / con di aprile il verde arboreo (pag. 14). Alessia ora è
Selenica / è di luce vestita (pag. 16) immersa nel seno fiorevole
del mare. L’attesa stessa della giovane Musa partenopea è fiorevole
per attendere un esame di italiano, e comunque è sempre con il suo Giovanni ad
interanimarsi, con dell’amato voce (pag. 17).
Mirta, la Musa
suicida, è pensata con rimpianto e compassione, mentre Alessia è a campitare,
cioè nell’atto di raffigurare il ricordo di Mirta nella luminescenza del
plenilunio che però resta duale per lei e / Giovanni (pag. 24). Volano
gabbiani in un mistico prealbare lunare, visti dal poeta con gli occhi
della sua Musa mentre vanno candidi d’ali fuggenti nell’inceliarsi, fino
all’ultima pagina, dove l’autore della “favola bella”, conferma che si dovrà
comunque viverla, accompagnando Alessia in un ferragosto del 2016 mentre la vede
andare per il suo destino sempreverde: Frontiera di vento l’autostrada / per
del ferragosto l’evento / Alessia e Giovanni in fiorevole / verso Formia viaggio
per / l’albergo degli angeli.
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Recensione |
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