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Affari di cuore

La sociologia del cuore

David Hume (1711-1776), padre dello scetticismo, in un piccolo paragrafo del “Trattato sulla natura umana”, notò che: “Molti scrittori parlano spesso di cosa dovrebbe essere al posto di cosa è. Ma, fra la proposizione descrittiva essere e quella prescrittiva dover essere, esiste una sostanziale differenza strutturale che pone un problema di metodo”. Hume conclude mettendo in guardia gli scrittori da tali facili sostituzioni. Auguste Comte (1798-1857), padre del positivismo e ideatore della parola “sociologia”, prosegue l’idea di Hume, esaltando la conoscenza del reale che mira a osservare senza apriorismi, affermando pure che esistono nell’uomo disposizioni mentali spontanee, cioè innate. Regola base del positivismo è non si può avere scienza se non di fatti, per cui ritenendo impossibile la descrizione dei processi mentali e della psiche come indipendenti dai fatti fisiologici o da quelli sociali, il filosofo riconduce la psicologia umana o alla biologia o alla sociologia.

Paolo Ruffilli, in Affari di cuore sembra rappresentare in poesia il pensiero dei due filosofi. Come novità, attraversa un percorso di difficile equilibrio tra le varie identità di cui un essere umano si veste nel rapporto “Per amore”, poi nella “Passione amara”, nelle “Guerre di posizione”, “ Fino al mercato dell’amor perduto”. Una sociologia del cuore, attuale, mai perdendo di vista la cruda realtà, aprendo la porta al cosa è, o al cosa è stato, senza la pretesa morale del dovrebbe essere. In assenza di sentimentalismo, il movimento è inteso come somma d’inquietudini e appagamenti, di grovigli fra piaceri e dispiaceri, di fermenti dell’esserci e veemenze del non esserci... Tutti connotati presenti, oggi, nei rapporti amorosi fra uomo e donna. I fatti, sostenuti da un clima crescente, tagliente, ardito, di un lirismo moderno e a cascata, sono più aderenti al sentire che al dire. Nella prima parte “Per amore” si legge: Mi vieni addosso | come la neve | e mi ricopri | che neanche | me ne sono | accorto. | E non sento ormai | che la tua voce, | non vedo | altro che il bianco | del tuo corpo | che colando | mi ha sommerso | e non respiro più | dentro di te | sono già morto.

In “Come la neve”, la parola morto indica l’istante-acme del piacere, l’estasi dove l’innalzamento dell’emozione porta al punto di perdere la padronanza del sé, come in una piccola morte. La parola addosso, in questo luogo, ha la forza potente della “bellezza, calma e voluttà” (tre termini messi insieme da Baudelaire) – Altrove la parola addosso è nel contesto del “ ti tradisco per amarti”, dove addosso è il tatuaggio schizofrenico impresso dentro: solo pensando all’Altra, durante l’amplesso, si scatena il sentimento. Addosso in “Per fortuna” assume, invece, il significato di compenetrazione di essenze ed esigenze in un assalto di pura conoscenza. Dunque lo stesso avverbio può costruire vari significati. Così anche le parole.

Non c’è mai una voce definitiva. L’andamento è di altalena tra volontà reale e rappresentazione scenica della verità, in mezzo a ripetute lacerazioni fra anima e corpo, dove il possibile, cioè il cosa dovrebbe essere, non cerca di unire disgregazioni per nuove riaggregazioni.

Lo “Stato perfetto” sarebbe avere una donna sempre disponibile con la quale condividere il respiro ( il fiuto) della vita. Ma è un sogno: Sogno di stare | nello stato perfetto | con una donna | che in casa | non fa niente | non cucina | e non pulisce: | si occupa di me | continuamente | a me vicina | e le piace | di guardare il mondo | dal campo di battaglia | del mio letto | lasciandolo | solo per tornare | di lì a poco | risalita con l’effetto | di apprezzare | laggiù in fondo | nella frana mai finita | molto di più | il respiro della vita.

Contrariamente, la donna spesso ama l’uomo rude e trasgressivo, quell’ “essere posseduta” da un seduttore: ... il sogno | che ti sei data a un seduttore  | anche se mi fa torto | ti seduce di più dell’amore che ti porto. Un gioco affascinante, ma non sempre per entrambi. Nell’uomo resta il metà vuoto sostanziale nel sapere di essere desiderato come il transfert meteorico di altre donne. La faccenda è complessa perché si fondono l’astronomia animale e l’umana. Anche se la conquista dell’altro/a non raggiunge mai il suo profondo, resta comunque un “trovarsi”, dal respiro esistenziale.

Il mistero della fusione non ha bisogno di spiegazioni, si svela da solo. Quando accade lascia stupiti come un fatto raro, privilegiato, o nuovo come nella poesia “Novità”:E il mistero è | l’adesione immediata | più totale, | la fusione | che ogni volta | si realizza | da vicino. | Non so se mi era | mai accaduto: | la combinazione | nella continuità | l’incastro più assoluto.

I cinque sensi sono al centro dell’apertura torrenziale dell’uno verso l’altra e viceversa, e la coniugano (Coniugazioni). Amando, ognuno è anche amante di se stesso. I sensi palpano, stringono, mordono, graffiano, annusano, guardano, ascoltano, riuscendo a innescare il cortocircuito cuore-mente-corpo. Nel colpo di fulmine (La prima volta), il desiderio primo di possedere è violentemente tattile ... per ritrovarti, poi, | nella persona. Ma c’è un limite, come lo è uno specchio, impossibile da entrare o superare. Il limite è quella parte di distacco tra i due esseri, quando specchiandosi nell’altro uno non vede più se stesso. ”Non so | come è accaduto | ma ho cominciato | a amarti appena mi hai lasciato. | Da allora in poi | nel figurarti | intera nel suo specchio | provavo a ritrovarti.

Nelle due poesie “Non so come” e “La prima volta” il termine ritrovarti ha una carica etica, il cui richiamo parla dell’essenzialità della vita: il non ritrovarsi soli. Spesso più vittime che vincenti, ognuno di noi va verso un nuovo incontro con quella parte di sogno che ancora gli sublima la vita. In “Non so come”, tra la causale confusione, c’è un’inversione: quel “provavo a ritrovarti” vuol dire “provavo a ritrovarmi”.

Canzonette della passione amara è il secondo movimento del florilegio. L’invidia, l’attrazione, la vita parallela di nascosto, il dubbio, l’egoismo, la furia, la vendetta, la dimenticanza, il “gioco” a quattro con i due assenti, l’istigazione, la passività, sono tutti sentimenti in cui interviene la provvisorietà e l’attesa come un’intermittenza fra il perdersi e il cercarsi. Un alternarsi velocissimo di “fibre ottiche” dai diversi toni, che si soffermano appena appena per percepire l’ordine segreto e desiderato dei sentimenti. E poi rincorrono malesseri, strappi e impertinenze creando un tormento prigioniero e una sofferta espressività: In questi giorni | la mia vita | è diventata attesa: | l’intermittenza | di vederti... Tu, luce del mio giorno | di nuovo illuminato | appartieni, lo so, | solo a te stessa | e non c’è laccio | che ti abbia conquistato, | non c’è promessa | per il prigioniero....

Serve ricordare, a questo punto, la frase di Hermann Hesse sui sentimenti: “Nessuna sensazione è piccola, nessuna indegna... anche l’invidia, anche la gelosia, anche la crudeltà. Di nient’altro viviamo se non dei nostri poveri, belli, splendidi sentimenti”. Lo stesso pensiero appartiene anche a Ruffilli, che sapientemente dice: la combinazione | che ci unisce | è quella che ci esalta | e ci punisce.

Molto bella è la poesia “In nome del passato” dove il poeta ricorda di quando e quanto | sia stato ognuno dell’altro innamorato ... Il ricordo è ciò che riconosce il nostro destino, determina le coordinate del luogo interiore per orientarsi nella ricerca del futuro. I ricordi si legano a un quadro consolidato, sempre con sé: Ma non è vano | amarci in nome | del passato, | di quando e quanto | sia stato ognuno | dell’altro innamorato...

“Paolo e Francesca” è la poesia di chiusura prima di entrare in “Guerre di posizione”. È una pausa nell’unitario, nell’intima unione, dove finalmente tutto si fa discreto e preservata fortezza, anche se il quasi è sempre di sentinella come simbolo della precarietà esistenziale, che affiora struggente nell’ultimo verso in cui Piangendo mi chiedevi | “Perché siamo infelici?” Paolo e Francesca qui rappresentano anche il quadro consolidato del ricordo che potrei definire “visione ricompositiva della vita”. Il tono è signorile e tranquillo: C’è un’ora in cui | tutto riposa | e, finalmente, | trova il suo posto inaspettato | ogni cosa... le voci assottigliate | tintinnano appena... | e la promessa della vita | è quasi una certezza | distesa e preservata | dentro la fortezza. | Sfiorandomi | la testa con la mano, | stavo sul piccolo | divano del giardino | leggendo | di Paolo e Francesca | dispersi nell’aere dell’inferno...

Guerre di posizione è il terzo movimento del libro. Il desiderio è spinto ad agire dall’istinto, fra passione e ossessione, fra cane e iena. Siamo in un tema dove Ruffilli scrive scandagliando le tematiche segrete del nostro tempo. I veri protagonisti siamo noi stessi. Nell’ampia scelta delle liriche si fondono detenzioni, finzioni, controcanti, malintesi, furore, crudeltà del possesso, cinismo, incomunicabilità, menzogna. Tutti aspetti che superano il limite dell’Eros, inteso come amore e rispetto del piacere. Tutti aspetti che portano alla lacerazione fra anima e corpo, la carne cucita e abbottonata (Tutto il contrario). Chi esce più vittima è l’uomo, non la donna. La “scena”: È un posto, questo, | in cui tu sei già stata | e in cui sarai | chissà quante altre volte. | Se non ci fossi io, | sarebbe un altro | a darti l’eco. | È qui la soluzione | magari anche imprevista | cinica e crudele | fino a farti male, | nell’ammissione | che la scena possa | mutare le comparse | e che si dicano | con uguale convinzione | le stesse cose | a più persone.

La poesia di Ruffilli convoca il lettore imprigionandolo in sé. Vale la pena, qui, soffermarsi sullo stile-tono di Ruffilli, che definirei bruciante nel saper allacciare la realtà al dire, e a fibre ottiche per il senso illuminante. Tutto è detto fino in fondo, senza lenimento e così coraggiosamente che la profondità di certe “occasioni” arrivano intatte al momento della trasfigurazione in canto.

Egli parte da fatti soggettivi o oggettivi, ma sempre riesce a mantenere la sua misura d’uomo. I fili sono scoperti, e di una forza vasta. Quanti poeti sanno trasportare il “dentro” sulla pagina fino in fondo?

Qui c’è un progetto dell’ispirazione, quello di aprire la scena entrando nell’anima o animella o animale del mondo, dicendo il proprio vissuto. L’adesione del lettore è immediata di sensazioni, turbamenti. Il dolore affiora, trascende, ferisce. La realtà amorosa è così, come lui la descrive, esattamente così, nel terreno pauroso di una lotta sottile. Ma anche è una realtà eroica se guardiamo a quanti compromessi ci assoggettiamo per avere un po’ di compagnia. Ruffilli ha una sete ardente di poesia ricca di istanze universali. Sa benissimo che l’atto creativo implica ansia e tormento. Desidera, con tutto il cuore, di trasferircelo vero, non veritiero. Il poeta italo-argentino Giuseppe Mascotti, e grande trentino, scrive: ”Nacqui con versi incarnati nell’anima, | eppure com’è lunga l’attesa e la fatica | prima d’illuminarmi | diffuso in nuovi versi”.

Al mercato dell’amor perduto è il quarto movimento del libro. Comincia con una domanda: Perché l’amore. L’innamorato | è coraggioso: | esce allo scoperto | in pieno giorno, |rinuncia alle difese | e si fa scudo | solo dell’impulso | che sente | e che lo spinge. | perché l’amore | è potente | proprio mentre appare incerto,  | riempie il vuoto che ci avvolge | rompe il muro | indifferente | e vince sempre | senza conquistare. | Scopre l’angelo | mentre rinfoca | l’anima animale.

Non c’è fervore conoscitivo, c’è l’accortezza quotidiana, la concretezza della formazione dell’uomo, possibile solo riempiendo l’assenza con la presenza dell’altro, scoprendo l’angelo, cioè l’anima, che rinfoca la parte nobile dell’istinto.

Potrebbe finire qua il libro, pare ci sia tutto.

Eppure ritornano altri aspetti del “ Legame”, ritorna spesso l’avverbio addosso, come dentro di sé, in corpo, come possesso degli eventi e delle rotte da seguire. Ecco, pare quest’ultima parte, un riassunto del cuore, che mai rinuncia all’amore anche quando è tensione. La tensione è un qualcosa di sconfinato, in una dimensione che spazia oltre il fatto imminente e quotidiano, eppure ha lo scopo di alimentare o ridare energia vitale. Nella poesia “Tensione”, tutta la vibrazione erotica toglie il fiato: tutto è scritto senza un punto di fermo, per ridare fuoco | all’energia | prima che bruciando | sia disciolta via.

“Mangiando” è la poesia di chiusura, motivo di raccolta dei sensi. Chiamati tutti insieme qualunque sia il territorio carnale o animale o di anima su cui si svolge la nostra vita. I sensi ci raccolgono nel camminare tra le nostre umanissime tempeste. Le esperienze, con apparenza inconciliabile, sono raccolte dai sensi, massimo luogo della congiunzione e della decisione. Per il poeta i sensi sono molto di più del cuore, perché incrociando le esigenze del cuore lo contengono e lo trascendono.

Credo che questa grande intuizione di Ruffilli non dimostri una situazione primigenia, se per primigenio intendiamo “il venire da”, cioè che esista una ideale anteriorità all’origine degli affari di cuore, come questi fossero tutti insieme vitali all’origine del mondo. L’amore, invece, oggi sta vivendo un’avanguardia nell’impoverimento spirituale, una forma impura, un mimetismo, nuove intersezioni allo stato libero, nuove leggerezze dal peso schiacciante. Di primigenio c’è solo la sofferenza di ricrearsi ogni volta dopo un dolore, una caduta, una beffa. Dalla parabola del dolore come valore arriviamo alla dissolvenza in qualcosa che la Cvetaeva definiva Lungo la teoria di gemiti - il mio leggiero Morse: ti a-a-mo.

Concludendo. Amore umano o “disumano”, il cerchio vitale non si chiude mai, perché l’amore porta ebbrezza. Il pathos, in “Affari di cuore”, rimane oltre l’ultimo componimento, come continuasse ad esistere. Paolo Ruffilli è testimone-protagonista di questo tormentato e delicato processo del cosa è l’amore. Ha intrecciato una molteplicità di fatti con la massima capacità espressiva e con il sudore di versi coraggiosi. Molti fatti e molte esplorazioni portano fino alla vertigine, svelando l’esperienza dell’eros personale insieme all’energia o alla contro energia sociale. Una straordinaria fusione dell’essere nella sua umanità e disumanità.

Recensione
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