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Stramenia
Col passare degli anni le
poesie di Lucio Zinna quanto più si diradano nel numero e nella filigrana
espressiva tanto più si fanno intense spiritualmente. Così i suoi libri si
riducono via via a libretti e questi a libelluli, così i motivi lirici si
rastremano in pura interiorità, da cui traluce un paesaggio, un ambiente, come
veduto lontanamente da un pertugio d’anima. Eppure a soffrirne non è la
concretezza del vissuto; anzi, mai come in questi ultimi versi lo scrivere e il
vivere si sovrappongono in una sola, ambrata trasparenza. La poesia – esplicita
Zinna – è un modo per « mantenersi vigili nella tutela del nostro nucleo più
autentico ». Da qui il
titolo, Stramenia, allusivo a un poetare debordante dalle proprie mura
più o meno eburnee per diffondersi ovunque nei territori della quotidianità.
Questa raccolta di solo nove
testi può paragonarsi allo spartito di una suite in cui si alternano
motivi ora memoriali ora d’introspezione, poetica o spirituale, dominati da una
tonalità bassa, ma vibrante e luminosa: un po’ come quel pulviscolo invisibile
nell’ombra della camera, che quando attraversa un esile raggio di sole per un
attimo vi s’indora, per vanire ancora nell’ombra. Quale specimen di versi
presentare all’auspicato lettore? Si vorrebbe riportare per intero il lento
paesaggio invernale di Lungomare d’Aspra; dato lo spazio risecchito, ci
si limita a segnalare da I giorni della merla (l’inverno è ormai la
stagione di uno Zinna contemplativo) il bell’inizio ampio e discensionale: «
Nevicò anche nella svilita concadoro | arcani segni parvero i fiocchi | in
filigrana dietro i vetri della grande | casa a tramontana di Via Di Marco… ».
Cui segue uno splendido interno familiare, di una precisione fiamminga ma effusa
di un’aura meridionale. Perfetta esplicazione di poetica è Mutare in pendici:
« Il bello della poesia – da vivere | non solo da scrivere – risiede anche
| nel
grattare il similoro. Che versi vuoi | si distillino da un’umanità |
interiormente blesa che sfalsa l’essere | e salva l’apparire. | Se l’acqua
assume forma della brocca | questa trova senso nella sua liquida | presenza… ».
Il divenire dell’esistenza, che assidua trasmuta il suo essere in non essere e
viceversa, è ben rappresentato in Della tela (e di Penelope) già dalla
lunga “tessitura” del periodare che, in una sintassi tramata-ordita di
coordinate e subordinate, infine faticatamente arriva « a questo tuo presente in
sospensione.| L’incompletezza della tela è il tuo futuro.| Il futuro è opera
incompiuta | che ne completa un’altra ».
Tutta bellissima, I molti
e il loro altrove è un soliloquio rivolto alle persone care che sono state
rasoiate dalla nostra sfera empirica e che forse dimorano in un altrove, celato
ai sensi ma avvertito presente. A sforzo ci si limita qui al solo finale: «
Siete prossimi e inaccessibili siete compagni | silenti e smarriti in astrali
spazialità | in quali comunità di trasparenze dimorate | o in quale solitudine
stellare procedete | alla ricerca di un punto luminoso che nessuno | sa dove sia
neanche nel vostro altrove dove sia ». “Punto luminoso” che si fa quaestio
diuturna nell’ultima poesia, Da qualche parte, dove il “tu” è un deus
absconditus cercato invano in ogni angolo, lieto o miserabile, dei giorni
vissuti, e tuttavia non disperato: « Ti cercherò ancora dentro di me | come in
piazza in ora antelucana | quando non transita anima viva [espressione qui
tutt’altro che banale!].| Ti scorgerò prima o poi | e un sorriso leggerò nei
tuoi occhi | ora che si appannano i miei ».
Il volumetto (in
serie numerata) unisce alle poesie due immagini grafiche dell’artista Eliana
Petruzzi, come sospese tra l’astrazione e l’onirico, che mi paiono congruenti
con il nitore espressivo dei versi. Fuori testo è allegata la riproduzione a
colori di un quadro della stessa: un paesaggio stradale con sfondo di montagne,
reale e metafisico al tempo stesso, quasi un ulteriore extra moenia che
si apre alle ignote vie del mondo, e forse a un altrove.
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Recensione |
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