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Affinità di motivi esistenziali tra la poesia
di Wilma Minotti Cerini e di Hugo von Hofmannsthal
Guido Miano, Contributi per la
letteratura europea
Poeti italiani scelti di livello europeo
Guido Miano Editore, Milano, maggio 2012.

Enzo Concardi
La venerazione della poetessa per il grande poeta indiano Rabindranath Tagore
è già un primo fondamentale elemento che orienta il suo cammino interiore e
spirituale verso la ricerca del Dio unico nello spirito delle Upanishad. Tra i
vari riferimenti che troviamo al poeta di Calcutta significative la lirica a lui
dedicata nella silloge Alla ricerca di Shanti del 2001, II ed. ".... Ah!
Conducimi per mano / verso l'ingresso della tua anima! // navigare / nel
biancore dei tuoi occhi / e bere / il nettare delle tue lacrime. poi gettare le
reti / nel profondo mare / delle tue pupille / e raccogliere / nell'incavo della mano / la tua delicata rosa bianca / dai petali olezzanti." (Tagore). Questa navigazione, seppure difficoltosa e contrastata, ha uno scopo
finale preciso: il raggiungimento della 'pace interiore' (il significato 'Shanti')
e dell'armonia universale, come è nelle filosofie e nelle religioni indiane. Altra testimonianza in tal senso
è la citazione di un pensiero di Tagore in apertura del romanzo I figli dell'illusione (2007), intriso di spiritualità
orientate, dove viene sancita una ulteriore unione essenziale per chi è convinto
del destino eterno dell'uomo: "Io credo in un mondo spirituale, non come qualcosa
separato da questo mondo, ma come la sua più profonda verità. Dobbiamo sempre
percepire questa verità: che noi viviamo in Dio" (da Tagore, Il mondo della personalità).
E ciò che viene messo in luce dal critico Francesco di Ciaccia nella prefazione
della raccolta Alla ricerca di Shanti, sottolineando più volte il
concetto base
riassumibile nell'espressione "già„ ma non ancora": "La
meta è chiara: ridiventare
'persona'. Impossessarsi di sé stessi fino nel più intimo dell'anima, per arrivare alla
piena consapevolezza senza più ombre ... Su questa linea esistenziale tutto il resto
è
percepito come inutile: anche il corpo non appartiene all'essenziale. Perciò l'autrice
può affermare che 'tutto ciò di cui ho bisogno è' 'il Tuo amore'. È proprio nella tensione
verso un traguardo spirituale che bisogna lottare: all'anima sembra a portata di
mentre i freni sono posti — spesso improvvisi e inaspettati — dalle catene
intime. È
una tensione che provoca dolore, ma anche il presentimento e la speranza del fine
ultimo dell'esistenza, finché non giunge l'esperienza più radicale che la poetessa
possa provare, cioè la 'grazia' gratuita dell'incontro con Dio: "Il Tuo spirito
è
sceso come un calore / e tutta mi ha pervasa, / prati verdi hanno ricoperto il
mio / terreno arido, / ed ora, ad ogni piè fiorisce / ed io sono sempre più stupita / della
Tua grandezza...." (Come un calore)
Risulta evidente il ruolo fondamentale, in tale visione, della realtà
dell'anima, percepita come principio vitale e immortale in cui tutte le
religioni s'incontrano sul terreno della liberazione salvifica (L'anima di
Gionata). Tuttavia, come già accennato, la mistica della poetessa non è
disincarnata dalla natura umana e dalla sua storicità, quindi sono sempre
presenti nell'itinerario di ascesa momenti di scoramento e indifferenza (Agonta)
che le fanno dire la sua impossibilità di conoscere sé stessa e la sua
consapevolezza di essere sempre all'inizio del cammino (Strada per Delphi
- Oracolo e Tempio del mondo greco chiamato"ombelico del mondo"). Sopraggiungono
ombre e nebbie che oscurano la lucidità della coscienza, la quale appare più
realisticamente "occidentale", lacerata dal dubbio e dall'assenza di
significato, come leggiamo nel celebre poeta tedesco Hugo von Hofmannsthal
(1874-1929), che esprimeva la sua visione pessimistica e agnostica tramite le
terzine della Ballata della vita esterna, dove dominano l'assurdo, la
solitudine e il silenzio della condizione umana. "Crescono, con profondi occhi,
bambini / che nulla sanno, crescono e periscono, / mentre gli uomini veri per
lor cammini. // E il vento spira sempre, e sempre molti / discorsi udiamo e
diciamo, e piacere / e stanchezza portiamo nei nostri corpi. // Corrono strade
per l'erba, e lumiere / appaiono qua e là, paludi e piante / aride cose spente,
o vive fiere. // A che son esse fatte? A che di tante / non una all'altra
eguale? E il riso dopo / le lacrime, e il pallore del sembiante? // A che ci
giova il tutto, e questo giuoco / eterno, noi pur grandi e sempre a tondo /
erranti, e soli senza scopo? // ..." (in Liriche tedesche, tradotte da
Diego Valeri, All'insegna del Pesce d'Oro, 1942).
Non è da meno in quanto a minimalismo e a interrogativi esistenziali senza
sbocco la nostra autrice quando visita le dimensioni del fallimento e dello
scacco, prima ovviamente della futura rinascita: "... L'attesa mi ha fatto
pensare / ed ora / trovo tutto inutile: / non ho nessuna emozione, / nessuna
volontà di bene o di male. / L'acqua corroderà la terra / sotto i miei e i tuoi
piedi / ... / Sei stanco anche tu, / povero amico nemico / neppure tu hai capito
niente, / abbiamo vissuto le illusioni / ... / Non so neppure perdonare / perché
non conosco / più alcun sentimento: / non sono più niente." (L'attesa sul mio
George). Altre raccolte poetiche della Minotti Cerini sono testimonianza
della sua incessante ricerca di prospettive e della sua fede nel futuro. Alludo
alle sillogi La luce del domani (1993) e La strada del ritorno
(1996), dove le connessioni tra natura, spirito ed esperienza sono più
accentuate. Qui la poetessa desidera liberarsi dalla prigione della memoria per
essere trafitta nell'anima dalla luce del domani; desidera stare dove la lucente
Esperia illumina il perenne moto del mare dal ruggito possente dell'onda che
s'infrange sulla scogliera: contempla gli incanti della natura,
come la visione del tiglio gentile in uno scampolo di sole autunnale o della
dolce mimosa foriera con i suoi profumi dell'imminente primavera o ancora
dell'atmosfera che accompagna la vigna spoglia quando scendono la nebbia e la
sera in attesa del sonno invernale. In queste liriche gioca un ruolo
determinante il canto ispirato dalla bellezza del creato, nel quale la poetessa
rivive la una vena di sottile poesia, adagiata sulla tavolozza dei colori e delle
voci appartenenti al magico e misterioso mondo degli elementi naturali.
Simbologie e metafore non mancano quando l'indagine dell'anima prende il
sopravvento e ritorna improvviso l'anelito dell'ascesi: ne sono esempio alcuni
termini esoterici inseriti nella poesia, come "Vikshepa" (l'ignoranza che
nasconde la verità rendendo più attraente la menzogna); "Avarana" (sovrapposione
del transitorio sull'eterno, delle divisioni dell'individualità sopra
l'Universale); "Jnana" (conoscenza); "Bhakti (devozione e amore verso Dio). Il
"sentiero" viene ritrovato e nessun impedimento umano potrà farlo smarrire; la
"salvezza" diviene realtà affidandosi all'Assoluto. La sfida tra denaro e idea
(simboli di materialità e spiritualità) si risolverà a favore di quest'ultima,
perché una "consapevolezza" superiore regnerà tra gli uomini: "Beati coloro che
non dimenticano / che l'uomo costruisce sulla sabbia. / Beati coloro che,
sapendolo, / costruiscono per l'uomo" (Consapevolezza). I caratteri formali
della poetica della Minotti Cerini sono ben delineati in un articolo della
rivista Spiritualità e Letteratura (1996): "È una poesia alta e vera, che si
contraddistingue e resta, che incide con la profondità dell'ispirazione e
l'elevatezza della forma... Delicatezza del sentire, forza d'espressione,
partecipazione intensa, capacità trasfigurativa si congiungono in un
risultato poetico in cui spicca l'apertura alla bellezza, all'umanità, al dolore.
espressi con un timbro di particolare dolcezza, efficacia ed armonia".
Altri testi dell'autrice da segnalare sono il saggio Caro Gozzano (1997);
l'opera teatrale Una questione di dosaggio (1998); il racconto Rajanà
(1998), secondo Guido Pagliarino dotato di "particolare abilità nel descrivere
ambienti e situazioni in modo minuzioso, senza mai scadere nel pedante, in
limata prosa poetica"; Aforismi in antologie con altri autori; il romanzo
Ci vediamo al 'Jamaica' (2010). È presente nel IV volume dei Contributi per la
storia della letteratura italiana. Il secondo Novecento (2009), nelle cui pagine
sono riportati alcuni versi della poesia Disegni, dedicata ai bambini ebrei di
Praga che partirono un giorno per Terezin e non tornarono: segno della sua
sensibilità verso il dolore altrui: "... Potessi ricordarvi tutti / piccoli /
che partiste un dì / a migliaia / dando la piccola mano / al padre o alla madre
/ e con l'altra / le matite colorate / lasciando / sulla placida Moldava / e nel
cielo di Praga / a ricordo / i vostri canti / di allegrezza..."
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