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Contributi per la Storia della Letteratura Italiana dal secondo novecento ai giorni nostri
IV
Guido Miano Editore,
Milano 20203, pp. 81-84
Il cammino esistenziale verso le frontiere dello spirito
sigilla la poesia di Angela Ambrosini

La
problematica esistenziale del mondo contemporaneo che, tuttavia, si proietta
oltre l’attimo fuggente verso i percorsi della spiritualità, attraversa tutta la
produzione letteraria di Angela Ambrosini, a partire dalla silloge poetica del
2006 Silentes anni e via via nelle altre raccolte: Fragori di rotte
(2008), Quando s’apre palude di cielo (2009), Tempus fugit
(2011), Nelle fessure del senso (2011), Controcanto (2012, con
prefazione di Alessandro Quasimodo), Ora che è tempo di sosta (2017, con
prefazione di Ninnj Di Stefano Busà), fino a giungere a Memento. Giorno del
ricordo del 2018. L’autrice è titolare altresì di due opere di narrativa: i
racconti di Semi di senape (2007) e di Storie dall’ombra (2011).
Ha conseguito il Master in Traduzione letteraria presso l’Università di Siena ed
è operante nell’attività di traduttrice dallo spagnolo all’italiano e viceversa
a partire dal 1985, anno della pubblicazione della traduzione di Don Juan
di G. Torrente Ballester; si occupa di critica letteraria, collaborando anche
con questa Casa Editrice.
Una caratteristica che la
poetessa ha voluto conferire a diverse sue composizioni poetiche - soprattutto
appartenenti alle raccolte Nelle fessure del senso e a Controcanto
- sono le citazioni in esergo di autori di varia nazionalità, epoca e genere,
scelta che sta ad indicare l’ampio orizzonte culturale a cui attinge la sua
preparazione: si va da poeti in lingua spagnola (Antonio Machado, Juan Ramòn
Jimenez, Jorge Manrique) e anglosassone a campioni della spiritualità cristiana
(San Giovanni della Croce, David Maria Turoldo, Karol Wojtyla) fino a poeti
italiani. Queste dediche sono spesso riprese nel corpo delle poesie ad
arricchire il testo della Ambrosini.
Il suo linguaggio lineare cela
diversi livelli di lettura, come sottolinea un’annotazione di Daniella Gambini
nella prefazione a Silentes anni: “…La riflessione sul mondo
extrasensoriale, linfa portante della sua poesia, parte proprio dal mondo dei
sensi, fitto reticolo di immagini trascese per mezzo della metafora dalla
volontà di conoscenza che assume la parola poetica, spesso vissuta sul filo
dell’allitterazione, della sinestesia, di un circolarità d’impianto sovente
quasi impercettibile a una prima lettura...”. Notevole appare la presenza
nell’ultima raccolta poetica Ora che è tempo di sosta di poesie in
endecasillabi sciolti.
Le pagine di Angela Ambrosini
presentano altresì componimenti di frequente adagiati in una sola lunga strofa,
mentre la versificazione è di estensione variabile, ma sempre trasparente e
cristallina. Vanno segnalate infine alcune anafore, come “Lontano sotto il peso
/ della luna...” (Lontano da Controcanto) che viene
reiterata ritmicamente.
L’approccio al mondo per la
poetessa avviene con la mediazione della natura rivissuta spesso nei luoghi
dell’infanzia: Era estate è una di quelle liriche che rievocano la vita
dei campi tra “le zolle mute di pioggia”, mentre Scialle amaranto è
sospesa tra le brune sere d’ottobre e i neri rami d’abete che a giugno ardevano
come brace a riscaldare l’attesa del sole. Ma vi sono alcune terre d’elezione
che hanno attratto l’affetto particolare della poetessa per i loro richiami e le
loro suggestioni remote, come la Toscana e la Dalmazia. Alla prima, tra le
altre, ha dedicato una lirica intitolata Madrigale (da Silentes Anni):
“È sempre lei. / Reclinata nell’ocra delle crete / fra sussulti di cipressi
bruni / a squarciare la caligine /... / Solo lei: terra antica / che mi duole
all’anima, / sconosciuta e mai sopita / Toscana”. Alla seconda, tra le tante
poesie, è ispirata Vecchia casa in Dalmazia (da Controcanto) che,
introdotta da versi in esergo di Umberto Saba: “Nella mia giovinezza ho navigato
/ lungo le coste dalmate. /…/ Oggi il mio regno è / quella terra di nessuno”,
chiude evocando la figura paterna: “Così mio padre dice / e nello sguardo ha il
mare, / il mare che assorta scia / d’infanzia lento accoglie”.
La vita domestica, gli affetti
familiari, la memoria e tutto quanto fa parte della rete di relazioni e luoghi
degli albori della sua esistenza, costituiscono un altro motivo d’ispirazione
per la poesia elegiaca di quel mondo. Occorre citare alcuni versi per penetrare
nelle atmosfere e nei ricordi vissuti talora con nostalgia, senza alterarne la
delicata trama. In Infanzia (da Fragori di rotte) ecco la
rievocazione della sua gente: “Sentivo il tepore degli orti / farsi germoglio a
sera, / quando stanchi / i vecchi deponevano / sogni al sagrato / e quiete
pupille / offrivano alla notte…”. In Ora che dirama il grano (da
Controcanto) abbiamo invece i sogni dell’infanzia: “Ora che dirama il
grano / a stormo nella luce prima / di giugno, non ricordo, sai, / se fu solo
miraggio di cuore / l’infanzia accovacciata...”.
Questo diario della memoria non
può che concludersi per Angela Ambrosini con il ricordo della immagine paterna,
sempre fondamentale. Leggiamo il testo Tornata è la stagione, apparso
nella silloge omonima pubblicata in Alcyone 2000 - Quaderni di poesia e di
studi letterari n° 7, 2014, il cui finale è molto significativo di un legame
di sangue e psicologico mai scisso: “… Portami con te, padre, / portami di nuovo
con te per mano, / ombra nell’ombra, come quando / bambina inseguivo felice / la
crisalide obliqua che il sole / stampava al selciato / e i passi nostri lesti
s’aprivano / al canto fidente del cuore”. E la scelta della citazione in esergo
è di Camillo Sbarbaro, dove si afferma il valore di una paternità spirituale:
“Padre, se anche tu non fossi il mio / padre, se anche fossi a me un estraneo, /
per te stesso ugualmente t’amerei”. Il cammino esistenziale sigilla tale poesia
dell’autrice verso le nuove frontiere dello spirito, nella direzione di una
Trascendenza che è speranza e amore. Dapprima la palude terrena ci sottopone
alla prova della sofferenza, poi la luce del futuro sprigionerà raggi sulla
solidarietà umana e infine l’abbraccio del Signore ci accoglierà nella sua
totalità. Così vi sarà un “...petalo d’ombra / a scrutare tizzoni di speranza /
sotto la cenere del dubbio, / ad annusare la strada del ritorno / sotto il fango
del dolore…” (Lontano). E vi sarà chi ascolterà il nostro lamento:
“Perché se resterà qualcosa ancora / di questo peregrino interrogarsi / sul
périplo muto del domani, / non temete, inascoltati non saremo, / ... io vi dico:
snidate le vele / al vento dello spirito, prestate / ascolto al grido del
gabbiano / che tenace tesserà i vostri cieli / e il fratello abbeverate quando /
sfatto incrocerà le rotte…” (Testamento del vecchio marinaio da
Controcanto). E la presenza divina riscatterà ogni attesa: “…Ti ho
ascoltato, Signore, / tra le spire delle nubi silvestri, / nei gorghi che al
ruscello / la notte impiglia, / nello sguardo livido / di chi soffre deserti / e
non ama…” (In questo crepuscolo da Silentes Anni).
Enzo Concardi
Il titolo della
raccolta Ora che è tempo di sosta, del 2017, rimanda, come informa
Nazario Pardini in una sua puntuale recensione1), ad una breve pausa
poetica, finalizzata alla stesura del racconto della giovinezza del
padre, esule dalmata, durante le persecuzioni perpetrate dal regime di Tito
contro gli italiani dell’Istria e della Dalmazia nel 1945. Alcune poesie della
silloge, tradotte in russo da Daniela Bonciani, sono state pubblicate nella
rivista “Glagol” nel 2018. La natura è l’elemento cardine della raccolta, divisa
in quattro sezioni: Altrove, Stagioni, Parole di creta, La mia città in versi;
i componimenti prendono avvio dall’osservazione di quadri, foto o da citazioni
in esergo. L’uso privilegiato della sinestesia consente la compenetrazione tra
codice visivo e codice verbale, sviscerandone con felici risultati tutte le
potenzialità; parola e immagine si uniscono ad evocare una natura sensuale e
misteriosa, fatta di “gemme di seta a sgranare la luce / tra folate d’azzurro”
(Mistero del risveglio di primavera), ma colta altresì nei suoi
aspetti più minacciosi o inquietanti, che si concretizzano ad esempio nell’
“immota ruggine” che “annaspa nell’indaco / gonfio di giugno”
(Immota ruggine).
L’alternarsi di quiete e
trepidazione, di luci ed ombre, produce un ritmo martellante, in un continuo
passaggio, accentuato dal succedersi degli enjambement, dal mondo
esteriore a quello della propria soggettività. Il mare può così essere approdo
sicuro o barriera insuperabile, mentre la navigazione, metafora della condizione
esistenziale, è spesso messa in pericolo dalla “improvvisa
furia di tramontana” che “batte gomene ostinate” e gli
uccelli, “assorti nell’erta coltre del canto” (All’imbrunire nel porto),
per analogia si trasfigurano nel baudelariano emblema della poesia a cui
affidare i palpiti del cuore. Ineludibile emerge il sentimento della morte
attraverso una fitta rete di ossimori; il soggetto lirico avverte la sua
presenza che angosciosamente “ci rotola accanto famelica”, ma subito dopo
l’aggettivo “splendida” suggerisce che il breve lasso di tempo rimanente è
avvertito come cammino verso un altrove quasi desiderato, “verso
una Trascendenza - come affermato prima da E. Concardi - che è speranza e amore”.
L’opera successiva,
Memento. Giorno del ricordo, del 2018, è divisa in tre sezioni: sei
poesie edite, il racconto Esilio, di cui si è tenuta a Perugia una
coinvolgente messa in scena con i quadri di Lorenzo Fonda (scenografo di Giorgio
Albertazzi), e il monologo teatrale Memorie dal sottosuolo, dedicato ai
martiri delle foibe, dal 2015 a tutt’oggi rappresentato ogni anno in Umbria e in
Toscana nell’ambito delle commemorazioni istituzionali del 10 febbraio, Giorno
del Ricordo. Qui i nuclei tematici ruotano intorno al forzato allontanamento
dalla propria terra, con il conseguente senso di abbandono e solitudine: “l’urlo
lento del gabbiano” (Canto a un esule) sottolinea lo stato d’animo e il
dolore di chi ha subito orrendi soprusi, amplificato dalla figura etimologica
esile-esilio, richiamando alla mente Ulisse di Saba, mentre nel
racconto Esilio la rinuncia alla propria lingua come segno di
appartenenza comunica il senso di sradicamento e perdita della propria identità.
Nella lirica
Memento (dedicata A tutti i martiri delle foibe), voce del coro nel
monologo teatrale, si eleva un canto ricco di pathos affinché il “filo
sdrucito del ricordo” non svanisca e la cieca “banalità del male” (per dirla
alla H. Arendt) non torni a colpire; il tessuto anaforico, le allitterazioni
vocaliche e le iterazioni conferiscono una straordinaria “efficacia emotiva”2).
Il lettore è trascinato come in un vortice nella discesa agli inferi, dove
ascoltare il potente grido di “una progenie sconosciuta / taciuta, azzerata” e
l’ossimorico verso finale “silentes loquimur” diviene un’epigrafe per
sempre impressa nella memoria.
Gabriella Veschi
NOTE
1) Nazario Pardini, Una Navigazione verso un
faro che illumini le memorie, la poetica di Angela Ambrosini, recensione del
12.09.2019, pubblicata sul blog “Alla volta di Leucade”.
2) Citazione dalla recensione di N. Pardini; vedi
nota 1).
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